La 55enne Joanne Sharkey, originaria del Regno Unito e residente a Liverpool, ha vissuto per oltre due decenni nascondendo un segreto terribile: l’uccisione del suo secondogenito appena nato. La donna, ex funzionaria del consiglio comunale di Liverpool, ha soffocato il bambino subito dopo il parto, avvenuto in solitudine nella sua abitazione, e ne ha occultato il corpo in un bosco. Nonostante la gravità del crimine, il tribunale britannico ha deciso di non infliggerle una pena detentiva immediata, tenendo conto delle condizioni mentali dell’imputata al momento dei fatti.
Il caso è giunto a una svolta solo nel 2023, quando un esame di routine sui casi irrisolti ha permesso di collegare il DNA del primogenito di Sharkey, arrestato anni prima per un reato non correlato, a quello del neonato trovato morto nel 1998. La scoperta ha portato gli investigatori a rintracciare la donna, che è stata arrestata e accusata di omicidio. Durante il processo, conclusosi oggi, il tribunale ha riconosciuto che Sharkey soffriva di una grave depressione postnatale non diagnosticata, una condizione che aveva compromesso la sua capacità di giudizio e autocontrollo.
Il giudice, nel pronunciare la sentenza, ha definito il caso “terribile e tragico allo stesso tempo”, sottolineando che “nessuno scopo utile sarebbe raggiunto con la reclusione immediata”. La pena di due anni di carcere è stata quindi sospesa, con il tribunale che ha optato per un approccio compassionevole. “Questo caso molto triste richiede compassione”, ha dichiarato il giudice, aggiungendo che la sospensione della pena era giustificata dalla natura eccezionale della vicenda.
L’episodio risale al 1998, quando il corpo del neonato fu rinvenuto avvolto in sacchi della spazzatura in un parco vicino a Liverpool. La scoperta diede il via a una caccia nazionale alla madre del bambino, che però non portò a risultati concreti. Solo molti anni dopo, grazie ai progressi nelle tecniche di analisi del DNA, gli investigatori sono riusciti a identificare Sharkey come la madre del neonato. Durante l’interrogatorio, la donna ha ammesso di aver nascosto la gravidanza e il parto a tutti, compresa la sua famiglia. Dopo aver soffocato il bambino con della carta velina, ne aveva avvolto il corpo in sacchi della spazzatura e lo aveva seppellito nel parco.
Secondo quanto riferito dalla polizia, Sharkey ha manifestato sentimenti di colpa e sollievo al momento dell’arresto, confessando di aver pensato di rivelare il suo segreto “un milione di volte” senza mai trovare il coraggio di farlo. Gli investigatori hanno sottolineato che il suo stato mentale al momento del crimine era gravemente compromesso, una condizione che ha influenzato anche le sue azioni successive.
Durante il processo, il tribunale ha valutato se una punizione appropriata potesse essere ottenuta solo con la custodia immediata. L’accusa aveva richiesto una pena tra i 7 e i 12 anni di reclusione, ma la corte ha respinto questa richiesta, riconoscendo l’impatto della depressione postnatale sulla capacità di giudizio dell’imputata. Il giudice ha affermato che, in assenza del disturbo mentale accertato, la donna avrebbe potuto essere condannata a un minimo di 20 anni di prigione.
La decisione di sospendere la pena ha sollevato interrogativi sull’equilibrio tra giustizia e compassione nei casi di crimini legati a disturbi mentali. Sebbene il verdetto abbia evitato la reclusione immediata, il caso di Joanne Sharkey rimane uno dei più tragici nella storia recente del sistema giudiziario britannico, evidenziando la necessità di una maggiore attenzione ai problemi di salute mentale, soprattutto in situazioni di vulnerabilità come la depressione postnatale.
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