Era un giorno come tanti altri. Avevo 25 anni e le mie giornate si dividevano tra l’università e un lavoro part-time come cameriere in un piccolo caffè del paese. Quella mattina avevo deciso di accompagnare mio nonno Marcello all’ufficio comunale per il ritiro della pensione. A causa dell’età avanzata, per lui era sempre più difficile affrontare da solo le pratiche burocratiche, e io sapevo quanto questo genere di incombenze lo affaticasse.
Mio nonno era una persona speciale. Umile, onesto, rispettato da tutti, con quella saggezza silenziosa che sembrava irradiarsi da ogni suo gesto. Il nostro rapporto andava ben oltre quello classico tra nonno e nipote. Era una vera e propria alleanza d’anime. Per me, lui era un mentore, un punto fermo in un mondo che spesso mi sembrava disordinato e incerto.
Mentre attraversavamo la piazza per entrare nell’edificio municipale, non potevo immaginare che quella giornata apparentemente ordinaria si sarebbe trasformata in una lezione di vita che non avrei mai dimenticato.
L’ufficio era affollato, com’era prevedibile a inizio mese. Una lunga fila di cittadini, per lo più anziani, attendeva pazientemente il proprio turno. Dietro il vetro dello sportello centrale sedeva la signora Lucilla, segretaria amministrativa da oltre quindici anni. Era sempre impeccabile nell’aspetto, ma i suoi modi erano freddi, lo sguardo altezzoso, come se ogni interazione con il pubblico fosse per lei un fastidio quotidiano. Era nota per la sua scarsa tolleranza, soprattutto nei confronti degli anziani, che ai suoi occhi rallentavano le procedure.
Proprio mentre stavamo per metterci in fila, una signora anziana, avvolta in un cappotto logoro, si avvicinò timidamente allo sportello per chiedere informazioni.
— Mi scusi, signorina… volevo solo sapere se la mia pensione è arrivata, sussurrò con voce tremula.
Lucilla non lasciò nemmeno che la frase venisse completata.
— Signora, lo sportello è aperto da due ore. Se non siete in grado di organizzarvi, non è colpa mia, rispose con tono gelido, senza degnarla di uno sguardo.
Poi, rivolta ai colleghi, aggiunse ad alta voce: — Ogni mese è la stessa storia. Non sanno nemmeno parlare, ma pretendono di capire le pratiche…
In sala calò un silenzio imbarazzato. Molti degli anziani abbassarono lo sguardo, quasi volessero scomparire. Dentro di me sentii montare la rabbia. Ma, come spesso accadeva, fu mio nonno a sorprendermi ancora una volta con la sua calma.
Fece un passo avanti e, con tono pacato ma fermo, si rivolse a Lucilla.
— Signora, ognuna di queste persone ha lavorato una vita intera. Ciò che oggi lei considera un’incombenza è il frutto del sacrificio di una generazione che ha costruito questo Paese. Un po’ di rispetto non guasterebbe.
Lucilla lo fissò con evidente fastidio.
— Se ha qualcosa da ridire, prenda appuntamento con il responsabile. Io ho altro da fare.
Rimasi senza parole. Era la seconda volta che incrociavo quella donna. Qualche giorno prima l’avevo servita al bar. Era entrata pretendendo di saltare la fila, ordinando con tono arrogante e sbattendo una moneta sul bancone:
— Ragazzo, ho fretta. Non farmi perdere tempo, aveva detto.
Le avevo risposto con educazione: — Mi scusi, signora, ma ci sono altre persone prima di lei. La invito ad attendere il suo turno.
Aveva reagito con uno sguardo carico di disprezzo. Ora capivo che non aveva dimenticato quel “sgarro” alla sua presunta autorità. E sembrava intenzionata a vendicarsi, con sottili crudeltà.
Quando finalmente arrivò il nostro turno, ci accolse con un sorriso falso e un tono sarcastico:
— Oh, ma guarda un po’ chi c’è. Il difensore dei deboli…, disse sfogliando distrattamente dei documenti.
Mio nonno, impassibile, spiegò il motivo della nostra visita. Ma Lucilla lo interruppe con un gesto della mano e finse di ricevere una telefonata urgente. Si allontanò per dieci lunghissimi minuti. Al suo ritorno, senza scusarsi, pronunciò parole che gelarono l’aria.
— Qui non siamo un centro assistenziale. Se pensate che qualcuno debba farvi da balia, siete fuori strada. Questo è un ufficio serio.
Rimasi impietrito, colpito dalla crudeltà gratuita. Ma mio nonno la guardò negli occhi e con tono fermo disse:
— Lei non sa con chi ha a che fare. Domani stesso parlerò con il sindaco. In questa sede non metterò mai più piede.
Lucilla sgranò gli occhi. Non poteva sapere che mio nonno era un ex artigiano molto stimato e un ex consigliere comunale. Il suo nome portava ancora un certo peso.
Il giorno seguente si recò davvero in municipio e raccontò l’accaduto al primo cittadino. Il sindaco, colpito e indignato, prese immediati provvedimenti: Lucilla venne sospesa e sottoposta a un’indagine disciplinare. Le numerose lamentele nei suoi confronti, fino ad allora ignorate, furono finalmente ascoltate.
Nel frattempo, il Comune istituì uno sportello dedicato esclusivamente agli anziani, gestito da personale formato e selezionato per empatia e gentilezza. L’iniziativa fu accolta con entusiasmo e divenne un modello da imitare anche nei paesi vicini.
Per me, quell’episodio fu una rivelazione. Compresi che la vera nobiltà d’animo si manifesta nella difesa dei più deboli, nella capacità di opporsi con fermezza ma rispetto all’ingiustizia.
Tornati a casa, mi sedetti accanto a mio nonno. Lo guardai con gratitudine e gli dissi:
— Nonno, oggi mi hai insegnato una lezione che non dimenticherò mai. Grazie per essere l’uomo che sei.
Lui mi sorrise con tenerezza e posò una mano sulla mia spalla.
— Ricorda sempre, Enrico: la dignità è l’unica cosa che nessuno potrà mai toglierti. Tratta tutti con rispetto, anche chi non lo fa con te.
Da quel giorno, qualcosa cambiò nel paese. La storia di mio nonno divenne un esempio. Un simbolo di civiltà, fermezza e giustizia. E per me fu l’inizio di una nuova consapevolezza. Nei piccoli gesti quotidiani, tra lo studio e il lavoro, imparai a vivere secondo i valori che lui mi aveva trasmesso: rispetto, umanità, coraggio.
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