Un importante avvenimento si è verificato nell’Oregon, dove il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha confermato il primo caso di maiale positivo al virus dell’influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità. Questa notizia arriva a pochi mesi dall’identificazione di infezioni in mucche da latte, evidenziando una preoccupante tendenza alla diffusione di questo virus tra diverse specie animali e un potenziale aumento del rischio di una nuova pandemia globale.
Per la prima volta, un maiale negli Stati Uniti è risultato positivo al virus H5N1 dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI). L’animale, rinvenuto in una fattoria nella contea di Crook, era in stretto contatto con polli infetti. Come riportato in un comunicato ufficiale dell’USDA, il bestiame e il pollame coinvolti “condividevano alloggi, attrezzature e fonti d’acqua”, un fattore noto per facilitare la trasmissione del virus. Si ritiene quindi che il contagio sia avvenuto dai polli al maiale.
Questo primo caso di positività nei maiali coincide con recenti segnalazioni riguardanti mucche infette, un fenomeno che ha suscitato forte interesse all’interno della comunità scientifica. Ilaria Capua, virologa di fama, ha evidenziato che si pensava che i bovini fossero relativamente immuni a questa infezione, ma la recente evoluzione del virus suggerisce il contrario. L’influenza aviaria H5N1 non colpisce frequentemente le cellule umane, ma la sua contagiosità tra le diverse specie animali è in crescita, segnalando un potenziale pericolo più ampio.
Negli ultimi anni, a partire dal 2021, il virus H5N1 ha mostrato una diffusione esponenziale a livello globale, colpendo uccelli domestici e selvatici e causando la morte di centinaia di milioni di esemplari. L’emergere del fenomeno conosciuto come “panzoozia” ha portato il virus a infettare numerosi mammiferi, incluso il recente caso di un orso polare trovato morto a causa dell’aviaria. Tale diffusione non solo minaccia la biodiversità, ma aumenta anche il rischio di nuove mutazioni che potrebbero rendere il virus più contagioso per gli esseri umani.
Secondo Robert Redfield, ex direttore dei CDC, ci si deve preparare a una pandemia di influenza aviaria H5N1 “non è una questione di se, ma di quando”. Il tasso di mortalità previsto potrebbe variare tra il 25 e il 50%, un dato estremamente allarmante rispetto a quanto visto con la COVID-19. Mentre alcuni allevatori sono già stati contaminati dalle mucche da latte risultate positive senza gravi sintomi, i gatti hanno mostrato tassi di mortalità sorprendentemente alti, che si attestano intorno al 70%.
In merito all’incidente dell’Oregon, l’USDA ha proceduto alla soppressione preventiva di tutti i cinque maiali presenti nell’allevamento, dove uno è risultato positivo e due negativi, mentre per gli altri due si attende conferma. L’animale infetto non presentava sintomi evidenti della malattia, e si sta monitorando da vicino anche il resto della fauna della fattoria, che include pecore e capre, per eventuali segni di infezione. A livello di biosicurezza, la struttura è stata chiusa e le autorità stanno collaborando attivamente per gestire la situazione.
In attesa di risultati sui test di sequenziamento del genoma virale, c’è una crescente preoccupazione tra gli esperti riguardo a possibili mutazioni del virus H5N1, che potrebbero facilitare la sua trasmissione all’uomo. Recentemente, tuttavia, analisi condotte sui campioni di polli della stessa fattoria non hanno evidenziato cambiamenti significativi nel virus, suggerendo attualmente un rischio basso per la popolazione. Tuttavia, la possibilità di uno spillover di ceppi più pericolosi rimane un tema di forte attenzione tra i virologi, evidenziando un futuro incerto anche a causa della diffusione globale del virus e delle sue potenziali evoluzioni.
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