Il cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, Don Claudio Burgio, ha avuto un incontro straordinario con il giovane che ha commesso un tragico omicidio. La sua confessione ha rivelato un ragazzo fragile, segnato da un dolore profondo e difficile da decifrare.
«Appena mi ha visto, ha esclamato: “Tu sei quello di ‘Non esistono ragazzi cattivi’” e poi si è confidato con me», racconta Don Claudio, la voce colma di improvvisa commozione. Incontrando il diciassettenne che nella notte tra sabato e domenica ha ucciso il padre, la madre e il fratellino di 12 anni a Paderno Dugnano, il cappellano ha notato una lucidità sorprendente in lui, nonostante le gravi circostanze che avevano portato a questo drammatico evento. «È stato davvero un incontro molto intenso».
La fragilità di un ragazzo in crisi
Don Claudio Borghio, storicamente a contatto con adolescenti in grandi difficoltà, esprime una profonda valutazione del ragazzo: «Sono convinto che in lui non ci sia il prodotto di una famiglia disfunzionale. Anzi, sembrava un ragazzo normale, immerso invece in un abisso interiore che né lui né gli adulti sanno come affrontare». Questa osservazione porta alla luce un tema spesso trascurato, quello del dolore diffuso in molte famiglie, dove le difficoltà emotive dei giovani non vengono riconosciute. «I giovani vivono un vuoto interiore che non riescono a comunicare. Sono analfabeti emotivi, incapaci di esprimere le loro emozioni e mettere ordine nei loro sentimenti».
Durante l’intervista, Don Claudio sottolinea l’importanza di avere un approccio umanistico quando si affrontano tragedie come questa. «Siamo semplicemente incapaci di rispondere alle domande profonde, eppure pretendiamo di dare spiegazioni a situazioni che non possono essere comunicate con parole semplici. E, come in questo caso, le risposte veloci non colmano il vuoto esistente», aggiunge, chiarendo che la realtà è ben più complessa di quanto appaia.
Un’analisi sulla difficoltà comunicativa
In questo dramma, il cappellano conferma che il giovane ha espresso una sensazione di oppressione all’interno della lui famiglia. «Lo ha ripetuto anche a me, sentendosi estraneo non solo alla sua famiglia, ma anche nelle altre relazioni sociali. Questa estraneità riflette un vuoto educativo presente nella nostra società», sottolinea Don Claudio, che si preoccupa assai per il futuro dei giovani.
È chiaro che il linguaggio stesso utilizzato per descrivere situazioni simili tende a ridurre le complessità a una mera analisi medica. «Parole come “follia” o “psicofarmaci” non dovrebbero definire questioni che sono invece radicate in un contesto sociale e educativo. Questo approccio riduttivo è dannoso e non aiuta a esplorare i vari livelli di un problema così profondo», aggiunge il cappellano.
La necessità di una riflessione silenziosa e profonda
Infine, Don Claudio avverte che iniziare a comprendere il perché di tali episodi richiede un silenzio attento e una sospensione del giudizio. «Dobbiamo davvero riflettere su come riusciamo a cogliere il dolore umano in tutte le sue sfaccettature e non limitare la nostra comprensione a un linguaggio che abbandona l’aspetto umano in favore di freddi e distaccati termini medici», conclude. Questa osservazione ci invita a riflettere sull’attuale condizione dei giovani nella nostra società. Un invito ad ascoltare prima di giudicare e a cercare di capire la fragilità che caratterizza l’adolescenza in un’epoca così complessa.
Questa tragica vicenda di Paderno Dugnano non deve solo scuotere l’opinione pubblica, ma servire anche da stimolo a una profonda riflessione su come offre il supporto emotivo necessario ai nostri giovani. Solo così potremo sperare di colmare quel vuoto che tanti adolescenti, come il giovane di cui abbiamo parlato, sentono dentro di sé.
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