Sara, ventunenne di Bergamo, combina studio e lavoro in un negozio di abbigliamento, ma affronta ingiustizie sul posto di lavoro tra obblighi e mancanze in cassa.
Sara, una giovane bergamasca di 21 anni, divide il suo tempo tra studi universitari e lavoro in un negozio di abbigliamento. Nonostante il contratto preveda per lei la mansione di scaffalista, si trova spesso impiegata in cassa, dove, in caso di discrepanza nei conti, è costretta a compensare le mancanze di tasca propria, come raccontato in una lettera inviata alla nostra redazione. Questa situazione ci è stata segnalata da molti lavoratori e spinge a riflettere sulle condizioni del mercato del lavoro. Invitiamo dunque i nostri lettori a condividere le loro esperienze.
Sara frequenta l’università, studiando Lingue e culture europee, con il sogno di raggiungere il fidanzato in Svizzera. Un’esistenza comune, se non fosse per le irregolarità lavorative che deve affrontare. Sebbene contrattualmente impiegata come scaffalista, Sara si trova spesso a lavorare come cassiera. In questi momenti, se alla fine della giornata mancano dei soldi, è lei a doverli rimettere di tasca propria.
“Cercavo un lavoro che mi permettesse di dedicarmi allo studio, agli amici e alla famiglia,” racconta Sara. Dopo aver trovato un annuncio online e aver fatto un colloquio, il 23 maggio ha iniziato a lavorare per una nota catena di abbigliamento, firmando un contratto da scaffalista di sesto livello. “Dovrei sistemare i prodotti, prezzarli, stare nei reparti e aiutare i clienti, ma spesso mi trovo alla cassa.”
Sara spiega: “Dopo un giorno di prova, sono stata assunta ufficialmente, e mi hanno messa subito in cassa, nonostante non fosse nella mia mansione.” Senza una indennità di cassa prevista dal contratto, qualsiasi mancanza di denaro alla fine della giornata deve essere coperta dai dipendenti stessi, come Sara spiega a Fanpage.it: “A fine giornata, potrebbero mancare dai 5 ai 10 euro, e dobbiamo rimetterli noi.”
Per Sara, questa situazione è inaccettabile, dato che rimettere 10 euro “significa regalare almeno un’ora del mio lavoro. Non è giusto”. Spiega anche che spesso gli errori non sono nemmeno colpa loro: un giorno, una cliente ha chiesto di cambiare un paio di scarpe che avevano un prezzo errato sullo scontrino. Alla fine, Sara è stata costretta a rimettere 10 euro di tasca propria.
Questo incidente le ha aperto gli occhi: “Il mio fidanzato, i miei genitori, e gli amici mi dicevano che questa prassi non era giusta.” Rivolgendosi a una sindacalista, Sara ha scoperto che non doveva svolgere mansioni da cassiera senza essere retribuita di più. Si è rifiutata di coprire la mancanza di denaro e ha denunciato la situazione tramite un video su TikTok, che è poi diventato virale, raccogliendo molti consensi e testimonianze di lavoratori in situazioni simili.
Con il video diventato virale, il clima di lavoro è peggiorato: “Non lavoro più in cassa, ma c’è ancora un biglietto con il mio nome che richiede quei 10 euro. Mi rifiuto di darli.” Sara racconta di un ambiente lavorativo ostile, con colleghi che non le rivolgono la parola. “Rimarrò lì fino alla fine del contratto. Sono una persona tosta, ma è una situazione difficile.”
Sara lancia un appello alle colleghe: “Non dovrebbero prendersela con me. Sto combattendo anche per i loro diritti. Questo modus operandi potrebbe sembrare normale, ma non lo è.”
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