Perché il leader dei Radicali Blengino ha deciso di autodenunciarsi per aver guidato dopo l’uso di cannabis



Filippo Blengino si autodenuncia a Roma per sfidare il Codice della Strada modificato dal ministro Salvini, accusando la norma di criminalizzare conducenti lucidi.



Il 23 dicembre 2024, Filippo Blengino, attivista e rappresentante di Radicali Italiani, ha messo in atto un gesto di protesta singolare a Roma: si è recato presso una stazione di polizia per autodenunciarsi. Blengino ha ammesso di essersi messo alla guida della sua auto dopo aver assunto cannabis tre giorni prima, pur dichiarandosi completamente lucido al momento della guida.

In un video diffuso sui social, Blengino ha spiegato la sua iniziativa come un’azione di disobbedienza civile: “Ho voluto dimostrare l’assurdità della norma introdotta dal ministro Salvini, che punisce l’assunzione di sostanze senza verificare l’effettiva alterazione delle capacità di guida”.

Le critiche alla normativa: residui nel corpo e non alterazione

Blengino ha sottolineato come tracce di cannabis possano rimanere nell’organismo per giorni, anche quando non vi è più alcuna influenza sulle capacità psico-fisiche. “Lo Stato punisce individui perfettamente lucidi, trattandoli alla stregua di chi guida in stato di alterazione. È una norma punitiva che calpesta la libertà e non salva vite”, ha dichiarato.

Il nuovo Codice della Strada, entrato in vigore il 14 dicembre 2024, ha eliminato il requisito di dimostrare l’alterazione psico-fisica per contestare la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. La sola presenza di residui rilevata dai test biologici è sufficiente per incorrere in pesanti sanzioni, tra cui la revoca immediata della patente e il rischio di un procedimento penale.

Le conseguenze per Blengino

Dopo essersi autodenunciato, Blengino è stato accompagnato in caserma per ulteriori accertamenti e successivamente trasferito in ospedale per sottoporsi ai test richiesti. La sua patente è stata revocata come previsto dalla nuova normativa. Ora dovrà affrontare un processo penale con la prospettiva di un anno di carcere e una multa fino a 6.000 euro. Nonostante ciò, ha promesso di continuare la sua battaglia legale e civile contro il Codice della Strada.

“Andremo avanti con altre azioni di disobbedienza civile fino a quando questa legge non sarà revocata o dichiarata incostituzionale”, ha dichiarato Matteo Hallissey, presidente dei Radicali Italiani.

La nuova norma e le sue implicazioni

Il nuovo Codice, voluto dal ministro Matteo Salvini, ha introdotto importanti modifiche alle modalità di accertamento. Gli agenti di polizia possono effettuare tamponi salivari direttamente sul posto, anche in assenza di kit idonei, basandosi su un semplice “ragionevole motivo di sospetto”. Se il test preliminare è positivo, si procede con analisi di secondo livello. Anche in attesa dei risultati, le autorità possono disporre il ritiro cautelare della patente per un massimo di dieci giorni.

Le sanzioni previste non distinguono tra droghe leggere e pesanti. L’arresto può arrivare fino a un anno, con multe da 1.500 a 6.000 euro, e la sospensione della patente varia da uno a due anni. In caso di recidiva, la revoca della patente diventa definitiva.

La posizione delle associazioni dei consumatori

Molte associazioni, tra cui Federcontribuenti, hanno espresso preoccupazione per l’impatto sproporzionato della norma. Secondo loro, il sistema di accertamenti attuale non distingue adeguatamente tra alterazione psico-fisica e semplice presenza residua di sostanze nel corpo. “Questo approccio penalizza inutilmente cittadini che non costituiscono alcun pericolo per la sicurezza stradale”, ha dichiarato l’associazione.

Federcontribuenti ha anche sollevato il problema di chi assume farmaci a base di THC per uso terapeutico, sedativi o analgesici come la morfina. In questi casi, la positività ai test potrebbe derivare da trattamenti medici perfettamente legali, ma comporterebbe ugualmente gravi conseguenze per i conducenti.

“Durante l’intero iter giudiziario, che può durare anni, i cittadini si trovano privati della possibilità di guidare, affrontando ingenti spese legali e danni economici e sociali”, ha aggiunto l’associazione, che chiede al governo di intervenire per rivedere l’articolo 187 del Codice della Strada.

Una battaglia tra sicurezza e libertà

Il caso di Filippo Blengino rappresenta il primo gesto eclatante di protesta contro una norma che ha sollevato un acceso dibattito. Da un lato, il governo sostiene che le modifiche al Codice servano come deterrente per ridurre incidenti legati a sostanze stupefacenti. Dall’altro, attivisti e associazioni denunciano un approccio eccessivamente punitivo, che rischia di colpire ingiustamente persone lucide e non pericolose.

Il confronto tra sicurezza stradale e diritti personali sembra destinato a proseguire, alimentato da casi come quello di Blengino, che promette di continuare la sua battaglia contro una norma considerata lesiva delle libertà individuali.



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