Giuseppe Difonzo, condannato a 29 anni per l’omicidio della figlia di soli 3 mesi, un caso aggravato dalla diagnosi di “sindrome di Munchausen”.
La notte tra il 12 e il 13 febbraio 2016 segnò una tragedia familiare che ha scosso la comunità di Altamura: la piccola Emanuela Difonzo, di appena tre mesi, morì soffocata per mano di suo padre, Giuseppe Difonzo. Quasi otto anni dopo il tragico evento, la giustizia ha raggiunto una conclusione definitiva nella lunga battaglia legale, condannando Difonzo a 29 anni di carcere.
La ricostruzione degli eventi da parte degli inquirenti rivelò dettagli inquietanti. Durante i tre mesi di vita, Emanuela aveva trascorso 67 giorni in ospedale, affrontando ripetute crisi respiratorie. Le indagini hanno poi evidenziato come questi problemi di salute fossero esacerbati dal comportamento del padre, che in almeno due occasioni avrebbe tentato di soffocare la bambina. Questi tentativi di aggressione culminarono nella notte del decesso, durante un ricovero ospedaliero.
Originariamente, Giuseppe Difonzo fu condannato a 16 anni di reclusione, una sentenza successivamente trasformata in ergastolo. Tuttavia, in seguito a un appello, la Corte d’Assise d’Appello di Bari ha ridotto la pena a 29 anni di carcere. Oltre a questo caso, Difonzo è stato trovato colpevole anche di violenza sessuale su una minorenne di 14 anni, per cui ha scontato tre anni di prigione.
La sindrome di Munchausen: un fattore complicante
Un elemento chiave nel processo è stata la diagnosi di “sindrome di Munchausen” di Difonzo, una rara patologia psichica che spinge gli individui affetti a causare danno agli altri per attirare attenzione su di sé. Questa condizione è stata analizzata attraverso numerose perizie psichiatriche che hanno cercato di fornire una spiegazione al comportamento apparentemente incomprensibile dell’imputato. Nonostante la diagnosi, la gravità degli atti commessi ha portato a una condanna severa, sottolineando la serietà con cui il sistema giudiziario affronta crimini di tale natura.
Il caso di Emanuela Difonzo ha sollevato questioni importanti riguardo la sicurezza dei bambini e la responsabilità parentale, stimolando discussioni sia a livello locale che nazionale. La comunità di Altamura e l’opinione pubblica italiana hanno seguito con trepidazione gli sviluppi del caso, esprimendo sollievo per la conclusione del lungo processo giudiziario ma anche dolore per la perdita innocente di una vita così giovane.
In conclusione, la storia tragica di Emanuela e la condanna di suo padre rimarranno un doloroso promemoria delle vulnerabilità dei minori e della necessità di vigilanza e intervento nelle dinamiche familiari problematiche. Il caso continuerà a essere un punto di riferimento nelle discussioni su come migliorare la protezione dei bambini e su come trattare i disturbi psichiatrici gravi che possono influenzare drasticamente il comportamento degli individui.
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