Controcopertina

Paderno Dugnano, il ragazzo omicida e la strage con 68 fendenti: «Se avessi la possibilità, tornerei indietro, ora avverto dolore»



Dopo il brutale omicidio di famiglia, il giovane R. esprime rimorso, cercando di dare senso al suo gesto in un contesto di profonda solitudine e disagio.



LA TEMPISTICA

Nella penombra del carcere Beccaria, R., un ragazzo di soli 17 anni, è coinvolto nel terribile delitto avvenuto a Paderno Dugnano, dove ha massacrato a coltellate i suoi familiari. La scorsa notte, il giovane ha confessato di aver inflitto 68 colpi mortali, la maggior parte dei quali al fratello dodicenne. Prima del delitto, aveva trascorso il tempo a giocare con lui alla PlayStation, evidenziando un drammatico contrasto tra la vita quotidiana e l’inaudita violenza che sarebbe seguita. Immediatamente dopo il massacro, R. si è presentato alle autorità con un’apparenza di tranquillità, cercando inizialmente di addossare la responsabilità al padre, Fabio. Oggi, mentre riflette sul suo gesto, il ragazzo si mostra pentito e afferma di provare un profondo dolore.

Il giovane ha raccontato di essere stato in preda a una profonda angoscia, descrivendo il suo stato d’animo come un’agonia esistenziale che lo accompagnava da tempo. «Non riesco a capire cosa mi sia scattato quella sera», ha dichiarato, cercando di dare un senso al suo comportamento, mentre si trovava al cospetto del suo avvocato, Amedeo Rizza, nominato dai nonni per sostenere il ragazzo in questo tragico momento.

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Le autorità hanno interrogato R. per un’ulteriore ora e mezza, ponendo domande sui dettagli del delitto, sulla tempistica e sugli spostamenti che ha effettuato all’interno della casa famigliare. I pubblici ministeri stanno valutando l’ipotesi di premeditazione, un’accusa che il giovane ha cercato di ridimensionare. In una delle sue dichiarazioni, R. ha suggerito di avere cavalcato l’idea di un omicidio “per trovare una soluzione al mio disagio”. Sebbene avesse covato pensieri di morte, il giovane sostiene di non aver mai immaginato di uccidere i propri cari fino a quella sera fatale.

R. ha descritto il triplice omicidio come un atto di emancipazione da un’apparente prigione costituita dalla sua vita quotidiana, inclusa la scuola e la sua famiglia. Ha parlato di un senso di estraneità, di sentirsi solo anche quando circondato da altri, descrivendo una mancanza di dialogo profondo con le persone a lui vicine. Questo malessere, ha spiegato il suo avvocato, era radicato e complesso, coinvolgendo molteplici aspetti della sua esistenza.

Le indagini continuano a rivelare quanto R. abbia calcolato ogni suo movimento. Infatti, ha partecipato ai festeggiamenti per il compleanno del padre e ha atteso il momento preciso in cui i suoi familiari si sarebbero ritirati a letto. Intorno alle due del mattino, ha deciso di agire, prendendo un coltello per infliggere il colpo decisivo. Secondo i magistrati, ci sono segni di pianificazione e un progetto che si è lentamente concretizzato, dettagli che R. ha cercato di minimizzare in seguito.

La difesa sostiene che la premeditazione non esiste, e che il gesto è stato un errore estemporaneo. «Se avesse riflettuto, non lo avrebbe fatto», ha affermato Rizza, ribadendo il carattere estemporaneo della violenza. I prossimi giorni saranno cruciali: l’esame del contenuto del telefono e del computer di R. potrebbero rivelare tracce di pianificazione del delitto. Inoltre, nei prossimi giorni verranno eseguite le autopsie e verrà nominato un tutore legale per il giovane. Nonostante la situazione, R. ha espresso un unico desiderio: rivedere i nonni, un collegamento con un passato più sereno che ora appare irraggiungibile.

Durante la sua permanenza in carcere, ha avuto l’opportunità di incontrare Don Claudio Burgio, il cappellano, che ha descritto R. come un ragazzo fragile ma lucido. Il prete ha notato una consapevolezza della gravità del gesto da parte del giovane, il quale ha espresso un dolore profondo e autentico per la perdita dei suoi familiari. L’avvocato Rizza ha affermato che il dolore di R. non è legato solamente alle conseguenze legali che dovrà affrontare, ma si concentra in modo predominante sulle vite perdute dei suoi cari.

L’indagine continua, ma il percorso di restituzione alla normalità, se mai sarà possibile, è ancora lungo. La procuratrice Ditaranto avverte che il pentimento è un processo delicato e che richiede tempo per essere autentico.



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