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“Non capisco perché lo faccia”: la storia di Giulia che a 16 anni si è tolta la vita, narrata dalla madre



Il 10 settembre rappresenta la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio. Rocchina Stoppelli, madre di Giulia, che si è tolta la vita a soli 16 anni, condivide il suo dolore e l’importanza di affrontare questo tema delicato. Come sottolinea il gruppo “La Sad”, con cui ha condiviso il palco dell’Ariston: “Non parlarne è un suicidio”.



Rocchina Stoppelli ha attirato l’attenzione del pubblico intervenendo al Festival di Sanremo. Durante la performance del gruppo “La Sad”, ha mostrato un cartello azzurro con scritto: “Giulia, 16 anni. Non so perché lo faccio”. Attraverso la musica, il gruppo ha affrontato un argomento tabù: il suicidio tra i giovani, un tema di cui si discute ancora troppo poco.

Nella Giornata Internazionale per la Prevenzione del Suicidio, Rocchina condivide con Fanpage.it il significato profondo della frase scritta sul cartello e la sofferenza che ha vissuto dopo la perdita di Giulia.

Quando Giulia si è suicidata, Rocchina ha scritto in una profonda lettera che non riusciva a comprendere perché avesse preso quella decisione. Né le amiche né i famigliari, neppure il fratello, hanno capito. Rocchina riflette su come, il giorno prima della tragedia, Giulia avesse scelto di acquistare un nuovo outfit per arrampicare, evidenziando che i segnali di allerta sono spesso difficili da interpretare. “Mia figlia non era depressa. Ora lottiamo affinché adulti e ragazzi possano comprendere l’importanza di discutere di suicidio. Giulia ha lasciato delle bellissime parole per noi, ma non ha mai spiegato realmente il suo malessere,” racconta Rocchina.

Sono passati sette anni da quel tragico evento che ha segnato la vita della famiglia. Sebbene il dolore rimanga, nel tempo ha trovato una sua collocazione e ha portato Rocchina a fondare un’associazione, “La Tazza Blu”. Questa iniziativa mira a sensibilizzare sul tema del suicidio tra i giovani, affinché nessun altro ragazzo o ragazza si senta come Giulia, impossibilitato a riconoscere il proprio dolore, arrivando a percepire il suicidio come l’unica via d’uscita.

Chi era realmente Giulia? “Era una ragazza come tante,” continua Rocchina. “Attiva, circondata da amici e con un ottimo rapporto con noi genitori. Viveva un’esistenza apparentemente normale, fino a quando una sera, dopo aver trascorso una piacevole cena con noi, ha deciso di togliersi la vita. Il giorno dopo non c’era più.”

Alla domanda se abbiano notato dei cambiamenti in Giulia, Rocchina risponde: “Con il senno di poi, abbiamo riconosciuto alcuni segnali, ma allora non sapevamo come interpretarli. Giulia appariva molto stanca, dormiva male e poco. Le abbiamo chiesto più volte se ci fosse un motivo per quella stanchezza, e ricordo di averle chiesto anche se fosse incinta, ma lei continuava a ripetere che andava tutto bene, anche se non era vero. Un altro segnale era legato alla sua alimentazione; era vegetariana, l’unica della famiglia, ma in quei giorni ha iniziato a mangiare carne.”

Rocchina ammette che non erano pronti ad affrontare un evento di tale gravità e che molte delle avvisaglie non sono state comprese in tempo.

Cosa accade a chi resta dopo un simile evento? Rocchina risponde: “Alla famiglia rimane un vuoto incolmabile e un dolore profondo. Anche a distanza di sette anni, il dolore si è trasformato, ma è tuttora presente. Anche le amicizie di Giulia cambiano, e non ci sono sufficienti risorse psicologiche disponibili. Io e mio figlio abbiamo affrontato una terapia, ma a spese nostre.”

Rocchina non nasconde di provare un perenne senso di colpa. “Ogni giorno mi chiedo se avessi potuto fare di più: ‘Se avessi usato le parole giuste’, ‘Se avessi agito diversamente’. Ma ho compreso che non avrei potuto conoscere tutto di Giulia. Ad esempio, mi ha richiesto un libro che ho rifiutato di acquistarle. Dopo la sua morte, l’ho trovato tra altre cose nella sua stanza. Quel senso di colpa, in realtà, non cambia nulla. Giulia non c’è più e non lo rimedierà nessuno”.

L’associazione che Rocchina ha fondato non mira a raccontare la storia di Giulia, ma vuole focalizzarsi sulla prevenzione del suicidio tra i ragazzi. “Leggendo le lettere che Giulia ha lasciato, ho capito che era fondamentale agire. Aveva dipinto tutti noi come persone fantastiche, ma il suo messaggio finale era chiaro: ‘Non so perché lo faccio’.”

Rocchina spiega che il nome “La Tazza Blu” deriva da un regalo delle amiche di Giulia, che le portarono una bella tazza blu, ispirata alla serie “Il Dottor Who”. Si sono unite per formare l’associazione in onore di Giulia.

Cosa fa concretamente l’associazione? Rocchina afferma: “Organizziamo eventi di sensibilizzazione perché c’è un enorme tabù riguardo al suicidio. Ci proponiamo di coinvolgere le istituzioni, sanitarie e politiche, affinché affrontino una piaga sociale in forte crescita. Secondo i dati ISTAT, il suicidio è una delle prime cause di morte tra i giovanissimi. Nel 2023, abbiamo addirittura registrato il suicidio di un bambino di 9 anni.”

Rocchina confida che la strada per entrare nelle scuole è in salita. “Spesso ci troviamo di fronte a una barriera. Le scuole sembrano timorose di trattare l’argomento. Non riusciamo a intervenire anche nei momenti di crisi, come dopo un suicidio avvenuto in classe. Tuttavia, i ragazzi ci contattano e riusciamo a partecipare a giornate di autogestione. Quando chiediamo perché siano lì, ci dicono sempre: ‘Nessuno ne parla e noi abbiamo bisogno di farlo’.”

Se un adolescente esprime pensieri di morte, quale deve essere la reazione? Rocchina avverte: “È fondamentale contattare esperti. Personalmente, mi sono chiesta se, in caso Giulia avesse manifestato la volontà di suicidarsi, avrei saputo come comportarmi. Purtroppo, lo sai solo dopo che accade. È vitale che gli adulti parlino e comprendano i propri figli”.

Quali consigli darebbe ai genitori? “Il suicidio può capitare anche a famiglie che non hanno ‘elementi tipo’. È un fenomeno complesso e spingere i ragazzi a cercare aiuto è cruciale. Giulia non mi ha lasciato tempo per una valutazione adeguata, e, seppur avesse dato indizi, non sarei riuscita a percepirli”.

Rocchina sottolinea che non è corretto pensare che solo i ragazzi con evidenti sintomi di depressione possano arrivare a suicidarsi. “Ho imparato che un malessere invisibile può portare a decisioni estreme. Giulia viveva una vita attiva; non piangeva continuamente o restava in casa. Il pensiero che solo chi mostra tristezza possa suicidarsi è errato e distoglie l’attenzione dal vero problema”.

Nonostante si dica che gli adolescenti di oggi siano fragili, Rocchina insiste: “La realtà è che i ragazzi provano un dolore profondo. Il suicidio non è una scelta, ma una reazione a un dolore insopportabile. Un ragazzo ci ha raccontato che il pensiero del suicidio era entrato nella sua mente senza che lui lo realizzasse. Ultimamente, si era affacciato per compiere l’atto, ma un ostacolo lo ha fatto riflettere su ciò che stava per fare.”

Raccontare la storia di Giulia al festival è stata un’esperienza catartica per Rocchina. “È un atto di coraggio che ha raggiunto tante case e ha dato voce a chi soffre in silenzio”.

Il cartello in suo possesso riportava il messaggio chiave di Giulia, un’autentica espressione di confusione e vulnerabilità. “Questa frase riflette bene la sua incapacità di comprendersi, di riconoscere il dolore. Comprendere e articolare sentimenti complessi è difficile, soprattutto quando non si ha chiarezza”.

In conclusione, Rocchina afferma: “In Italia, c’è una scarsa disponibilità a confrontarsi sulla morte e ancor di più sul suicidio. Spesso ci si concentra su chi potenzialmente ha responsabilità, come genitori o insegnanti, e questo porta a una mancanza di comprensione e sostegno”.

La vita di chi rimane dopo una perdita del genere rappresenta una continua lotta per adattarsi e sopravvivere. “Ho fondato l’associazione per cercare di affrontare questo dolore, perché sia le istituzioni che la società devono essere pronte a supportare le famiglie che vivono un’esperienza simile. Le conseguenze sono devastanti. Non si vive più, si sopravvive, e ogni giorno è una sfida nel ricomporre i pezzi di una vita che non sarà mai più la stessa”.



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