In un contesto globale dominato dalle organizzazioni mafiose, l’attenzione si rivolge sempre di più ai giovani. La facilità con cui questi possono essere manipolati e introdotti nel crimine organizzato ha spinto le mafie a considerare i ragazzini come una risorsa preziosa. Il recente omicidio di Emanuele Tufano, avvenuto a soli 15 anni, mette in luce queste dinamiche inquietanti. Roberto Saviano, scrittore e sceneggiatore, offre un’analisi approfondita sul fenomeno in Rapporto con Fanpage.it.
Un fenomeno in crescita
La criminalità organizzata sta evolvendo, e i giovani di oggi non sono più semplici “pali” o trasportatori di droga. I ragazzi sempre più giovani vengono reclutati e trasformati in membri attivi delle mafie, in piena connessione con le logiche interne di appartenenza e fedeltà al clan. Saviano sottolinea che ciò non è un problema confinato a Napoli, ma si estende a varie organizzazioni mafiose in tutto il mondo, dalle Latinoamericane a quelle filippine e scandinave. «Le organizzazioni rivolgono sempre di più i loro sguardi verso individui di età compresa tra i 13 e i 17 anni», afferma Saviano, esprimendo la preoccupazione per la trasformazione in vere e proprie strutture militari all’interno della criminalità.
L’omicidio di Emanuele Tufano rappresenta un tragico esempio di questa tendenza. Ucciso il 24 ottobre, Tufano evidenzia non solo il dramma della violenza giovanile, ma anche l’indifferenza dell’opinione pubblica nei confronti della crescente presenza di giovani nelle organizzazioni mafiose.
Il clan Sibillo e la paranza dei bambini
Nel suo romanzo “La paranza dei bambini”, Saviano descrive il fenomeno dei baby criminali che ha interessato Napoli nel 2010, quando clan come i Sibillo e i Buonerba si fronteggiavano per il controllo del territorio. La narrativa di Saviano rivela che il fenomeno della criminalità giovanile è radicato in un contesto storico ben preciso, dove i giovanissimi non sono visti più come semplici trasgressori ma come affiliati a tutti gli effetti pronti a rispondere a ordini e a salire nella gerarchia criminale. L’omicidio di Emanuele Sibillo, avvenuto a soli 19 anni, è emblematico di questa ascesa e della pericolosa normalizzazione di queste dinamiche violente.
Perché le mafie investono sui giovani?
Saviano offre una spiegazione chiara del motivo per cui le mafie si rivolgono ai giovani: «I ragazzi non temono la morte e, non avendo responsabilità familiari, accettano anche stipendi base». I giovani cercano opportunità e, percependo il crimine come l’unica via per un avvenire economico, si dedicano con generosità al mondo della criminalità. La loro visione spensierata del carcere, unita alla mancanza di opportunità legali, rende i mafiosi interessati a investire in loro. «In Italia, le uniche entità che si preoccupano di investire sui giovani sono le mafie», afferma Saviano. Queste ultime garantiscono compensi, opportunità di carriera e ruoli di responsabilità, generando un’attrazione ineguagliabile rispetto al lavoro legale.
Le conseguenze di politiche inadeguate
Saviano critica aspramente il decreto Caivano, approvato dal governo Meloni, che impone multe ai genitori dei minori coinvolti in piccoli reati. Secondo lo scrittore, questa iniziativa ha avuto effetti controproducenti, portando a un aumento della connessione tra la camorra e le famiglie vulnerabili. «L’affollamento delle carceri impedisce qualsiasi percorso di recupero e riabilitazione», avverte Saviano, sottolineando la natura fallimentare del decreto che, piuttosto che risolvere il problema, ha amplificato le difficoltà esistenti.
Un allarme da non ignorare
La recente vicenda di Gennaro Ramondino, un ventenne assassinato da un sedicenne, riporta in primo piano la drammaticità del fenomeno. Il ragazzo, coinvolto in un omicidio per ordine del clan, svela una realtà angosciante: le nuove generazioni non solo agiscono nell’ambito criminale, ma vi si inseriscono sempre più giovani ed esperti. Questo reportage di Saviano serve da monito per una società che deve riconoscere la gravità e l’urgenza di affrontare un problema ormai radicato e complesso.
In conclusione, l’omicidio di Emanuele Tufano non è un caso isolato, ma il simbolo di un fenomeno che richiede attenzione e intervento immediato. La lotta contro la mafia deve passare attraverso una maggiore consapevolezza e un ripensamento delle politiche giovanili, dove si punta a restituire ai ragazzi un futuro lontano dalle influenze criminali.
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