La tragica storia di Alfredo Rampi, caduto a sei anni in un pozzo a Vermicino: un evento che ha segnato l’Italia



Alfredo Rampi, conosciuto da tutti come Alfredino, è stato un simbolo di tragedia e resilienza per l’Italia. Il 10 giugno 1981, a soli sei anni, è caduto in un pozzo artesiano a Vermicino, un comune in provincia di Roma. Per tre lunghi giorni, una mobilitazione straordinaria di soccorritori, polizia e cittadini ha cercato di salvarlo, ma senza successo. Questo drammatico evento ha lasciato un segno profondo nella nazione, portando alla creazione della Protezione Civile. Per commemorare il piccolo Alfredino, la Rai Uno trasmetterà “Alfredino, una storia italiana” nei giorni 11 e 12 giugno.



La disavventura di Alfredino inizia durante una vacanza con la famiglia nella loro casa estiva a Selvotta. In compagnia del padre e di alcuni amici, il bambino ha chiesto di rientrare da solo. Ma la sua innocente richiesta si è trasformata in un incubo quando è caduto nel pozzo, profondo 80 metri e di soli 30 centimetri di diametro. La notizia della sua caduta ha subito mobilitato le forze dell’ordine e i cittadini locali, ma l’emozione e l’ansia che ne sono seguite hanno tenuto l’intero Paese col fiato sospeso.

Per la prima volta in Italia, le telecamere hanno seguito in tempo reale la disperata operazione di soccorso. La situazione ha attirato milioni di spettatori, che hanno seguito con apprensione le speranze di salvataggio. Il 12 giugno, alle 16:30, il presidente della Repubblica Sandro Pertini è giunto sul posto, cercando di incoraggiare il piccolo e restando lì per tutta la notte. La lunghezza della diretta, che ha superato le 18 ore, ha mantenuto incollati davanti ai teleschermi ben 25 milioni di italiani.

Il 13 giugno, con il passare delle ore, la speranza si è trasformata in disperazione. La madre di Alfredino ha tentato di chiamarlo, ma non ha ricevuto alcuna risposta. Un stetoscopio calato nel pozzo ha confermato le paure: nessun battito cardiaco. Nel pomeriggio, una videocamera calata nel buco ha mostrato il corpo immobile di Alfredino.

La famiglia Rampi era composta da Franca, la madre dolente, Ferdinando, il padre, e il piccolo Riccardo, di soli due anni al momento della tragedia, entrambi con problemi cardiaci. Inizialmente, le ricerche si sono concentrate su pozzetti e aree circostanti, credendo inizialmente che il bambino potesse trovarsi in un’altra zona. La nonna paterna ha suggerito di controllare il pozzo recentemente scavato e la polizia ha trovato la lastra di metallo che lo chiudeva. La scoperta ha segnalato l’inizio di un disperato tentativo di salvataggio.

I tentativi di estrazione sono iniziati senza successo. Una prima operazione ha visto il calo di una tavoletta legata a una corda, ma l’operazione si è bloccata a 24 metri di profondità. Purtroppo, le attrezzature e le tecniche del momento non erano adeguate a un’emergenza così complessa. Gli speleologi intervenuti hanno tentato di calarsi nel cunicolo, ma senza risultati fruttuosi. Nel frattempo, la tensione cresceva non solo sul campo, ma anche tra i milioni di spettatori in attesa di notizie.

Il secondo tentativo di soccorso ha visto il tentativo di costruire un tunnel parallelo al pozzo, ma la situazione si è ulteriormente complicata. L’uso degli attrezzi sembrava peggiorare la situazione, spingendo Alfredino sempre più a fondo. Una mancanza di coordinamento e preparazione ha aggravato una tragedia già devastante.

Un’ultima speranza è giunta da Angelo Licheri, desideroso di contribuire alla causa con il suo fisico esile. Licheri si è calato nel pozzo e, purtroppo, è stato impossibile estrarre il piccolo. Il suo racconto rimane nel cuore di tutti: ha visto Alfredino, ha cercato di confortarlo, ma ha dovuto affrontare il tragico esito della missione.

La diretta ha segnato un momento senza precedenti nella storia della televisione italiana, entrando nella vita di ogni cittadino. Il dolore e l’ansia si sono trasformati in un evento mediatico di grande portata, che ha acceso riflessioni sulla spettacolarizzazione della tragedia.

Il recupero del corpo di Alfredino, purtroppo, è avvenuto solo un mese dopo la tragedia, grazie all’intervento di squadre di minatori di Gavorrano. Questo evento ha portato alla creazione della Protezione Civile in Italia, una risposta necessaria a situazioni di emergenza simili.

A distanza di decenni, la memoria di Alfredino continua a vivere. Recentemente, la sua tomba al cimitero del Verano è stata vandalizzata, ma l’amore per il piccolo rimane indiscusso. La sua storia è diventata un simbolo della lotta per la sicurezza dei bambini in Italia, contribuendo a una maggiore consapevolezza sui pericoli e sull’importanza della protezione civile. Oggi, il Centro Alfredo Rampi continua a operare, perseguendo l’obiettivo di educare e sensibilizzare le nuove generazioni, affinché tragedie come quella del piccolo Alfredino non si ripetano mai più.



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