Ginevra Taddeucci e Giulia Gabrielleschi raccontano le loro esperienze nella 10 km di fondo a Parigi
Le nuotatrici italiane Ginevra Taddeucci e Giulia Gabrielleschi, reduci dalla faticosa competizione di fondo di 10 km alle recenti Olimpiadi di Parigi 2024, hanno rivelato i pericoli e le difficoltà che hanno affrontato durante la gara. “Speriamo di non avere problemi di salute, incrociamo le dita,” hanno detto dopo aver esibito braccia segnate da profondi graffi. Questi segni di battaglia sono il risultato della loro strategia durante la corsa, in cui hanno deciso di nuotare vicinissime all’argine della Senna per evitare la forte corrente del fiume.
“Ci hanno detto di rimanere attaccate al muro e ci siamo impigliate nei rovi,” hanno spiegato, mentre stavano riprendendo il fiato dopo una competizione così intensa. Durante il loro percorso, le nuotatrici hanno sfiorato continuamente non solo i muretti ma anche i cespugli e le erbacce che affollano l’argine. Mentre Taddeucci si è fregiata di una medaglia di bronzo, Gabrielleschi ha conquistato un rispettabile sesto posto.
Perché le azzurre hanno nuotato rasentando l’argine della Senna
Le azzurre, per mantenere una strategia vincente, hanno dovuto prendere la difficile decisione di restare il più vicino possibile al bordo del fiume. Questa scelta era fondamentale per evitare la potenza della corrente, che si faceva sempre più sentire man mano che la gara proseguiva. Infatti, “se ti allargavi anche di 20 centimetri, la corrente si faceva sentire,” hanno confermato entrambe. La situazione si complicava ulteriormente ad ogni giro, dove la navigazione contro corrente diventava praticamente impossibile. Con la necessità di trovare il passaggio corretto nei giri di boa, ogni errore poteva significare essere trascinati a decine di metri più indietro nella gara.
Tuttavia, nuotando così in prossimità dell’argine, le nuotatrici si sono anche messe in una posizione sfavorevole per gli spettatori. Infatti, il pubblico, posizionato lungo il percorso, ha avuto difficoltà a vedere le azzurre in azione a causa di questa scelta strategica. La lotta per posizionarsi in modo corretto ha richiesto velocità e precisione, con le due nuotatrici che si trovavano frequentemente a scrutare le acque per evitare di essere risucchiate in tratti pericolosi.
La forza della corrente ha aumentato le difficoltà della gara
Le atlete, sapendo di dover adottare una tattica prudente, hanno faticato a mantenere un ritmo costante. Gabrielleschi ha ricordato come “il primo giro fosse davvero terribile, con il sole che ci batteva in faccia e la visibilità pressoché nulla.” Infatti, c’era una preoccupazione costante riguardo alla qualità dell’acqua. Gli atleti erano ben consapevoli delle polemiche relative all’inquinamento del fiume; nonostante gli ingenti sforzi fatti per depurare le acque, rischi di malattie e infezioni erano all’ordine del giorno.
Proprio per questo motivo, in anticipo alla gara, Taddeucci e Gabrielleschi hanno messo in atto una profilassi specifica, anche se l’ansia riguardo alla sua efficacia rimaneva. “Anche ieri abbiamo deciso di non provare le acque in gara… abbiamo lasciato a Stefano (Rubaudo, il ct della nazionale) il compito di farlo per noi,” ha raccontato Taddeucci con una sottile ironia. C’era una sincera speranza che tutto sarebbe andato bene.
“Né Coca Cola né Sprite,” ha commentato con vivacità una triatleta belga, riferendosi alla sgradevole esperienza di avere ingurgitato liquidi contaminati durante la sua prova. “Che sapore aveva l’acqua? Non lo so, ma abbiamo ingurgitato un po’ e io ho iniziato a sentirmi strana,” ha aggiunto, esprimendo le sue preoccupazioni per possibili effetti collaterali dell’acqua inquinata.
Le dichiarazioni di Taddeucci e Gabrielleschi mettono in luce non solo le sfide fisiche ma anche le paure relative alla salute e al benessere degli atleti che competono in condizioni così difficili, un vero e proprio campione di resilienza per le nuotatrici italiane.
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