Riflessioni sul recupero del 17enne di Paderno Dugnano dopo un omicidio familiare inaccettabile
La premessa fondamentale è la resipiscenza, ovvero la consapevolezza del proprio errore e il successivo ravvedimento. Questo processo di cambiamento, auspicabilmente raggiunto da un minore, è essenziale dopo aver commesso crimini così gravi. Roberta Pieri, procuratore dei minorenni di Firenze, riflette sulle possibilità di recupero del 17enne di Paderno Dugnano, arrestato per aver ucciso il padre, la madre e il fratello a coltellate. Pieri si trova a gestire diversi casi complessi nel suo lavoro, tra cui l’ultimo, riguardante un giovane peruviano che ha ucciso la nonna, la sua unica familiare, due mesi fa.
I nonni del 17enne stanno dimostrando un forte appoggio al nipote, esprimendo pena e compassione per lui: “Vorremmo incontrarlo”. Inoltre, è in fase di nomina un tutore per il ragazzo.
Il nodo della messa in prova rappresenta un elemento cruciale in questa discussione. “In molti casi, questi giovani riescono a trovare una via di salvezza“, sottolinea la Pieri all’ANSA. La messa in prova, infatti, offre la possibilità di un reinserimento sociale attraverso il volontariato, supportato da diverse comunità. Tuttavia, la recente introduzione del dl Caivano complica le cose. Per il 17enne, la nuova normativa esclude i minori responsabili di omicidi e altri crimini gravi dalla possibilità di accedere a questo strumento di recupero, aumentando la probabilità di una detenzione prolungata. “Il decreto combatte le attività delinquenziali giovanili, ma limita le opportunità di recupero, equiparando ingiustamente il diritto minorile a quello degli adulti. Non ci sono altre opzioni per far uscire un minore da un circuito penale così severo”.
Il movente dell’omicidio a Paderno sembra essere legato a un sentimento di estraneità e depressione, raccontato dal giovane che, negli ultimi tempi, ascoltava musica triste e si sentiva “rimandato a settembre”.
La seconda possibilità è un tema delicato. Senza l’opzione della messa in prova, il destino del 16enne di Padova, che nel 2017 ha ucciso il padre con un colpo di fucile, sarebbe potuto essere ben diverso. Questo giovane ha scontato una pena di 10 anni, con i primi 18 mesi in carcere minorile, per poi ottenere la messa in prova dalla Corte d’Appello. Trascorrendo tre anni in una comunità nelle Marche, il ragazzo si è diplomato ed è stato attivamente coinvolto in progetti di volontariato. Alla fine del percorso ha ottenuto una certificazione di buon esito, che ha portato all’estinzione del reato, permettendogli di tornare in libertà nella primavera del 2023.
Quale sarebbe, quindi, il destino del 17enne di Paderno Dugnano? Ci sarà sicuramente un processo; nel frattempo, il minore riceverà un supporto psicologico costante. Ma oltre alla questione penale, verrà avviato un procedimento amministrativo. Tuttavia, potrebbe risultare difficile un affidamento ai servizi sociali, considerando che, a quanto pare, l’omicidio sarebbe stato premeditato. La drammatica storia di Erika e Omar, autori di un analogo delitto famigliare nel 2001, dimostra che, sebbene con le dovute distinzioni, c’è sempre una chance di reinserimento. Certamente, è fondamentale avere un sostegno familiare, ma in situazioni così tragiche spesso la famiglia non è più presente.
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