Adottata da bambina, Simona ha vissuto un percorso emotivo complesso culminato nell’incontro con i genitori biologici. Una storia di amore, ricerca e accettazione che ha segnato la sua vita.
Da quando era piccola, Simona sapeva di essere stata adottata. I suoi genitori adottivi avevano trovato un modo delicato per parlarle della sua storia. “Mamma e papà – racconta – mi spiegavano sempre che ero stata adottata attraverso una favola che avevano scritto e incorniciato. Parlava di due genitori che non riuscivano ad avere figli e di una bambina che desiderava tanto una famiglia. Un giorno, la vita ci ha fatto incontrare”.
Un amore profondo ha sempre legato Simona ai suoi genitori adottivi, ma il suo percorso non è stato privo di difficoltà. Durante l’adolescenza, ha iniziato a soffrire di forti dolori allo stomaco, un problema che nessuno riusciva a spiegare. “A 11-12 anni – racconta – il dolore era talmente intenso che spesso finivo in ospedale. I medici parlavano di cause psicosomatiche legate all’adozione, ma io non volevo crederci. Ho sempre vissuto la mia adozione come un dono, mai come un problema”.
A 18 anni, l’impegno come volontaria presso l’associazione Italia Adozione le ha aperto una nuova prospettiva. “Ho iniziato a capire che l’adozione ha un prima, quello dell’abbandono. Era un aspetto che non avevo mai affrontato”.
L’annuncio online e l’incontro con la madre biologica
Un giorno, Simona è tornata a casa con un’intuizione: “Mamma, ho capito che il mio dolore potrebbe essere psicosomatico”. Ma la madre adottiva aveva qualcosa di più importante da rivelarle: “Mi ha detto di sedermi perché doveva raccontarmi di un annuncio che aveva trovato online. Una donna stava cercando sua figlia e poteva essere la mia mamma biologica”.
La famiglia decise di rispondere all’annuncio, e qualche settimana dopo arrivò il tanto atteso incontro. “Abbiamo parlato tutto il giorno, pianto e guardato vecchie foto. Era come riassumere vent’anni di vita in poche ore”, ricorda emozionata. In quell’occasione, Simona ha incontrato anche la sorella maggiore: “Quando l’ho abbracciata, mi è venuto spontaneo dirle che era piccolina come me. Per la prima volta ho visto da dove arrivavano i miei tratti fisici, persino i difetti che non mi piacciono, come il naso o il seno piccolo”.
Le difficoltà emotive e il bisogno di tempo
L’euforia iniziale dell’incontro ha lasciato spazio a momenti di difficoltà. “Abbiamo saltato molte tappe, travolti dalle emozioni. Questo ci ha causato dolore, rabbia repressa e la necessità di fermarci per riflettere”. Nel dialogo con i genitori biologici, Simona ha cercato risposte alle domande più difficili, come il motivo dell’abbandono. “Le loro versioni erano diverse. Oggi non so quale sia la verità, ma li giustifico: il dolore può portarti a nascondere la realtà fino a convincerti di una storia diversa”.
Nonostante le difficoltà iniziali, Simona guarda con gratitudine al rapporto che ha costruito con la famiglia biologica. “Sono innamorata della mia vita e lo sono ancora di più ora che loro ne fanno parte. Tuttavia, penso che affrontare tutto questo a vent’anni fosse troppo presto. Consiglio sempre di aspettare i 25 anni previsti dalla legge, quando si è più maturi per gestire il carico emotivo”.
La scrittura come mezzo per condividere l’esperienza
Dalla sua esperienza è nato il libro “Ti stavo aspettando così”, scritto e illustrato da Simona per parlare dell’adozione in modo autentico. “È un tema ancora tabù. Molte persone si vergognano di affrontarlo. Io ho deciso di mettere a disposizione ciò che ho imparato per aiutare gli altri”. Il libro vuole essere una guida per chi vive l’adozione, ma anche uno strumento per sensibilizzare il pubblico. “Spero che le persone possano sentirsi accompagnate nel loro percorso, proprio come se tenessi loro la mano”.
Oggi, Simona è in contatto con i genitori biologici e la sorella, ma precisa che i suoi genitori adottivi restano “mamma e papà”. “Sono le persone che mi hanno cresciuta e hanno affrontato un percorso incredibile per avermi. Provo una gratitudine immensa, anche se a volte questo mi ha portato a sentire la pressione di dover essere la figlia perfetta”.
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