Allan Rechtschaffen, un importante ricercatore nel campo del sonno, alla fine degli anni ’70 ha dichiarato che se il sonno non fosse una funzione vitale, sarebbe l’errore più significativo dell’evoluzione. Con circa un terzo della nostra vita trascorso dormendo, deve esserci una giustificazione; anche se sembra improduttivo, il sonno è una necessità fondamentale per tutti gli esseri viventi, paragonabile a mangiare, bere e respirare.
Nel regno animale il sonno è un’attività rischiosa a causa della mancanza di consapevolezza dell’ambiente circostante durante il sonno, che lo rende più vulnerabile ai pericoli. Nonostante ciò, il sonno si è conservato nel corso dei secoli, a dimostrazione del fatto che si tratta di un processo necessario. Il professor Luigi De Gennaro, docente di Psicofisiologia del sonno normale e patologico alla Sapienza Università di Roma e segretario dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (www.sonnomed.it), spiega che il sonno ha due funzioni principali: il recupero e la ritmicità. La prima si riferisce al tentativo dell’organismo di ripristinare il proprio equilibrio fisiologico.
Mangiare è essenziale per reintegrare i nutrienti di cui il nostro corpo ha bisogno per funzionare e, allo stesso modo, il sonno aiuta a ristabilire l’ordine nel cervello, riorganizzando i dati e i ricordi che abbiamo accumulato durante la giornata e ripulendo le sostanze di scarto che si sono accumulate durante la veglia. Il sonno fa parte dei fenomeni ritmici naturali dell’organismo, regolati da un orologio interno, con cicli come quello sonno-veglia che durano circa 24 ore, proprio come avviene in natura.
È chiaro che i nostri modelli di sonno si sono evoluti nel tempo e che l’aumento dello stress, degli impegni e degli stimoli luminosi della vita moderna ha portato a una diminuzione della quantità media di sonno che otteniamo ogni notte, che a sua volta è stata collegata a un maggior rischio di malattie cardiovascolari, diabete e disturbi neurodegenerativi come il morbo di Alzheimer. Tuttavia, è importante notare che le sette-otto ore di sonno raccomandate per notte sono solo una media generale e che le esigenze individuali di sonno possono variare notevolmente. Il professor De Gennaro sottolinea che questa media non ha una vera base scientifica.
Gli individui possono essere classificati come dormitori brevi o lunghi. Coloro che hanno bisogno di meno di sei ore di sonno a notte sono spesso esemplificati da Napoleone Bonaparte, Winston Churchill, Thomas Edison, Leonardo da Vinci e Tiger Woods. Tra le persone che hanno bisogno di nove-dieci ore di sonno o più, invece, ci sono Albert Einstein e Roger Federer. Questa necessità di dormire di più o di meno è determinata dalla predisposizione genetica; alcuni geni determinano il cronotipo di una persona, favorendo un sonno breve e ristoratore o un sonno più prolungato, ma questo può essere modificato con alcuni comportamenti.
Il lavoro a turni può portare a disturbi del sonno e a vari problemi di salute a causa del conflitto tra orologio biologico e orologio sociale. Inoltre, gli impegni sociali, il lavoro, le attività sportive e l’uso degli smartphone la sera possono ostacolare la produzione di melatonina, l’ormone responsabile dell’induzione del sonno.
I disturbi del sonno possono avere un impatto significativo sulla qualità del sonno, con conseguente diminuzione della vigilanza durante il giorno. L’insonnia è il disturbo più comune e può essere classificata come acuta o cronica, a seconda che i sintomi durino rispettivamente meno di tre mesi o più di tre mesi. Questo è stato chiarito dal professor De Gennaro.
Occasionalmente, possiamo sperimentare una forma di insonnia che non è considerata patologica. Queste notti insonni sono solitamente causate da situazioni di stress o da emozioni intense e possono essere gestite. Per aiutarci, dovremmo lasciare il letto e dedicarci a un’attività calmante, come la lettura di un libro o l’ascolto di musica, finché non ci sentiamo assonnati. Bisogna evitare di guardare l’orologio, perché questo può provocare ansia e ulteriori difficoltà ad addormentarsi.
Nei casi di insonnia acuta, spesso si ricorre a farmaci ipnotici (comunemente noti come sonniferi) per risolvere il problema. Per l’insonnia cronica, si consiglia una terapia cognitivo-comportamentale, adattata alle esigenze dell’individuo. Questa terapia mira a modificare i comportamenti, le convinzioni e i ritmi, aiutando l’individuo a riprendere il controllo sul proprio sonno. I farmaci da soli non sono sufficienti e possono portare a tolleranza e dipendenza.
Gli altri disturbi Insonnia a parte, altri disturbi del sonno piuttosto frequenti sono quelli motori, come la sindrome delle gambe senza riposo o il disturbo da movimenti periodici degli arti, che possono causare micro-risvegli, spesso incoscienti, frammentando il sonno notturno e provocando sonnolenza diurna. «Se non esiste un centro di medicina del sonno vicino al proprio domicilio, lo specialista a cui riferire l’eventuale urgenza di muovere le gambe da sdraiati o altri fastidi agli arti inferiori è il neurologo», consiglia il professor Francesco Fanfulla, presidente dell’Associazione italiana di medicina del sonno e direttore dell’Unità operativa di Medicina del sonno dell’Irccs Istituti clinici scientifici Maugeri di Pavia.
«Un capitolo a parte è rappresentato invece dai disturbi respiratori, come la sindrome delle apnee ostruttive, caratterizzata da pause nella respirazione durante il sonno che sono dovute all’ostruzione parziale o totale delle prime vie aeree, oppure alcune forme di ipoventilazione alveolare, dove la respirazione è incapace di fornire una quantità di ossigeno sufficiente ai polmoni e di espellere quantitativi adeguati di anidride carbonica. In genere, sono i pneumologi che si occupano di diagnosticare e trattare queste problematiche». Più complessi sono i disturbi del ritmo circadiano del sonno, che si manifestano quando il ciclo sonno-veglia della persona (orologio biologico) non è allineato con il ciclo terrestre di buio (notte) e luce (giorno) per cause endogene, come la sindrome da fase di sonno ritardata e la sindrome da fase di sonno anticipata, oppure esogene, come le classiche sindromi da jet-lag o da turnismo.
«Chi ne soffre si addormenta in orari sbagliati e non riesce a prendere sonno o svegliarsi quando vuole oppure deve», espone il professor Fanfulla. «Diventa allora essenziale l’aiuto di specialisti come cronobiologi, cronopsicologi, medici del lavoro e del sonno per evitare non soltanto la conseguente comparsa di fatica e le scarse performance lavorative e scolastiche, ma anche patologie come ipertensione gastrite cronica, tumori e altre malattie organiche di varia natura e gravità». A che cosa prestare attenzione Quando dobbiamo sospettare un disturbo? In generale, i principali sintomi a cui prestare attenzione sono la sensazione di un sonno non completamente ristoratore, la difficoltà ad addormentarci e a mantenere il sonno, un’abbondante sudorazione notturna e un senso di soffocamento al risveglio, la necessità di assumere numerosi cè per vincere la sonnolenza diurna, ma anche il partner che lamenta i nostri continui movimenti delle gambe, comportamenti anomali, russamento o pause respiratorie mentre dormiamo.
«Per arrivare a una diagnosi certa, l’esperto deve raccogliere innanzitutto l’anamnesi per capire se il tempo che dedichiamo al riposo è sufficiente rispetto al fabbisogno personale, quali sono le nostre abitudini di vita, se ci sono comorbilità “disturbanti” o se assumiamo farmaci che possono ostacolare il sonno», descrive Fanfulla. «A quel punto, ci si può avvalere di test diagnostici specifici, come la polisonnografi a o l’actigrafia, per studiare la durata e la qualità del sonno, i risvegli, i movimenti notturni, i livelli di ossigeno, l’attività cardiaca, la pressione arteriosa e respiratoria, ma anche le fasi di sonno e veglia durante l’intera giornata. E poi ci sono il test del livello di vigilanza, con cui si misura la capacità di restare svegli in situazioni potenzialmente soporifere; il test di latenza multipla del sonno, che valuta la sonnolenza diurna; l’elettroencefalogramma dinamico delle 24 ore, che rileva la propensione ad addormentarsi nella vita quotidiana». Una volta inquadrato il problema, viene scelto il trattamento più efficace e si imposta un piano di monitoraggio periodico, che spesso dura anni: «Per fortuna, nel prossimo futuro, verrà sempre più in aiuto la telemedicina con applicazioni scaricabili su smartphone o dispositivi indossabili che favoriranno il dialogo a distanza con gli specialisti», conclude il professor Fanfulla.
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