Antonella aveva 10 anni. Il 20 gennaio è entrata nel bagno di casa, ha preso la cintura dell’accappatoio e ha iniziato a stringersela intorno al collo. Lo ha fatto per vincere la Blackout Challenge: chi partecipa fa la stessa cosa fin quasi a soffocarsi per provare la propria resistenza.
Una trappola mortale assai in voga sul Web, in particolare su TikTok, la piattaforma social preferita da ragazzi e adolescenti. Antonella non ce l’ha fatta: i genitori l’hanno trovata agonizzante, il telefonino acceso vicino a lei per riprendere tutto. È morta poco dopo in ospedale e il video che avrebbe dovuto testimoniare la sua vittoria è diventato la cronaca di una nuova, assurda morte in diretta.
Nell’aprile del 2019 allo stesso modo, seguendo la stessa insensata sfida, era morto Igor, che di anni ne aveva 14. E il medesimo copione potrebbe aver portato, il 25 gennaio, alla morte un altro bambino a Bari: aveva 9 anni ed è stato trovato soffocato da un cordoncino stretto intorno al collo.
Lui un cellulare non l’aveva, ma potrebbe aver utilizzato quello della madre come era solito fare. C’è più di una ragione, quindi, per mettere sotto la lente d’ingrandimento l’uso che ragazzi e adolescenti fanno dei loro smartphone e delle piattaforme social. E allora si scopre che, secondo un sondaggio di Skuola.net su 1.500 ragazzi di scuole medie e superiori, il 31 per cento dei ragazzi afferma di conoscere il Blackout Challenge, e tra loro il 18 per cento ammette di aver anche partecipato al gioco.
Le piattaforme come TikTok ora sono sotto accusa. Secondo la legge, i minori di 13 anni non possono aprire un profilo social su Internet, mentre fino a 16 anni per farlo devono avere il consenso di un genitore, il quale deve iscriversi alla stessa piattaforma e quindi autorizzare il figlio. Perché Antonella aveva accesso a TikTok?
A dicembre, il Garante della privacy aveva accusato la piattaforma di “scarsa attenzione alla tutela dei minori”. All’indomani della tragedia di Palermo ha disposto “il blocco immediato dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica”.
Finora nulla è cambiato. «Il vero punto da affrontare è quello di rendere riconoscibile l’uso di un telefonino o di un account da parte di un minore: una sorta di bollino blu come quello che certifica l’autenticità dei profili social dei vip», suggerisce a Gente Stefano Aterno, docente di Diritto delle tecnologie all’Università di Foggia.
Dall’altra parte la richiesta di maggiori controlli cozza con l’interesse delle stesse piattaforme ad avere tra i propri utenti minori da “profilare”, per studiarne il comportamento anche a fini commerciali.
La palla passa allora ai genitori. «Lo smartphone è un grande strumento di socializzazione, è inclusivo, consente ai figli di partecipare al gruppo, ma è anche uno strumento pericoloso», riassume Daniele De Martino, responsabile della Polizia postale del Lazio.
Proprio la Polizia postale ogni anno organizza la campagna Una vita da social per mettere in guardia i ragazzi dai pericoli della Rete. «Quando eravamo piccoli noi i rischi arrivavano dalla strada, oggi dagli strumenti che ti permettono di interfacciarti con il mondo». La domanda, provocatoria, che gli esperti pongono ai genitori è semplice: «Quando sei in strada con tuo figlio gli insegni ad attraversare, non lo abbandoni da solo ai margini.
Perché non fai lo stesso con Internet? ». Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva, è contraria a concedere l’uso dei telefonini ai minori di 12 anni, e quello che accade lo spiega così: «Siccome questi oggetti sono usati in casa, il nido sicuro dove tuo figlio è protetto, da genitore immagini che non esistano pericoli. I bambini hanno una visione ottimistica della vita, non pensano che potrebbe esserci qualcuno impegnato a tramare nell’ombra».
Magari potrebbe accadere di farsi convincere a scappare di casa in compagnia di un’amica conosciuta proprio su TikTok. È successo a Selena, sedicenne della provincia di Firenze, scappata il 14 gennaio e ritrovata giorni dopo nel torinese: «È stata plagiata», aveva denunciato la mamma. «Quando tuo figlio si apre ai social, tu genitore devi tenere un canale di comunicazione con lui costantemente aperto», consiglia De Martino.
Già, ma come spiegare i rischi? «Senza traumatizzarli, devi mostrare loro gli esempi negativi prendendo spunto proprio dai fatti di cronaca per dimostrare come sia solo un’illusione l’idea di avere tutto sotto controllo». Aterno va oltre: «Da genitore hai il diritto- dovere di sorvegliare tuo figlio e puoi anche arrivare a controllare il suo smartphone, le chat e i siti che visita. I nostri diari, da piccoli, potevano essere letti di nascosto da mamma o papà, la stessa cosa deve accadere oggi: i figli possono essere controllati e non c’è in questi casi alcun diritto alla riservatezza».
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