Controcopertina

Patrick Zaki, al fermo è stato bendato per 17 ore



L’8 dicembre, alle 14, Patrick Zaki ha fatto i suoi primi passi da uomo libero fuori dal carcere. È uscito dal commissariato di Mansura, a 110 chilometri dal Cairo, indossando la divisa bianca dei carcerati egiziani, dopo venti mesi di quella che Amnesty International ha definito «una detenzione illegale ». Zaki, studente egiziano dell’Università Alma Mater di Bologna, iscritto a un master sulla parità di genere, era stato arrestato il 7 febbraio 2010 all’aeroporto della capitale egiziana.



Stava tornando da Bologna nella sua città natale, Mansura, per una visita alla famiglia. Le accuse erano, e sono ancora, durissime: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda per il terrorismo. A Zaki, la cui famiglia è di religione cristiana copta, vengono imputati soprattutto una serie di post pubblicati sulla sua pagina Facebook in cui aveva aspramente contestato il regime del presidente Abdel Fattah al-Sisi.

Ma soprattutto a essergli contestata è la sua collaborazione con l’Ong Eipr, Egyptian Initiative for Personal Rights. Appena varcato il portone del commis- Lo studente egiziano dell’Università Alma Mater di Bologna arrestato al Cairo nel febbraio 2020 per reati politici è stato finalmente liberato. «Non vedo l’ora di tornare da voi, dove mi sento a casa», ha detto. Ma il processo non è ancora finito sariato, Patrick è stato sommerso dall’abbraccio della mamma Hala e della sorella Marise.

La fidanzata, Reny, si è lasciata andare a un pianto incontrollabile. Patrick ha sorriso, si è fatto fotografare. Una delle prime cose che ha detto è stata «Grazie Italia» e poi «Forza Bologna», in omaggio alla città che l’ha ospitato e in cui molti cittadini e studenti si sono battuti per la sua liberazione. Poi, scortato dall’avvocatessa Hoda Nasrallah, è partito verso casa. Non può parlare, la sua situazione è tuttora delicatissima. Zaki è libero solo parzialmente dopo che finalmente un giudice ha accolto la richiesta di scarcerazione.

Ma a febbraio dovrà tornare in tribunale: per l’accusa di diffusione di notizie false e dannose per lo stato egiziano rischia fino a cinque anni di carcere mentre per quella di associazione terroristica, che viene contestata a quasi tutti i detenuti politici egiziani, che si calcola siano 60 mila, la pena può arrivare a 12 anni. Sono state le trattative sottotraccia dei diplomatici italiani a consentire questo primo risultato.

E i contatti continueranno: la speranza è che cada l’accusa di terrorismo e che per quella di diffusione di notizie false si possa arrivare a una condanna minima, inferiore o uguale ai 20 mesi che Zaki ha già trascorso in carcere. Il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio ha detto: «Il primo obiettivo è stato raggiunto e lo abbiamo ottenuto aprendo canali diplomatici senza tanto clamore. È la dimostrazione che le strade diplomatiche vanno sempre tenute aperte e mai chiuse».

Patrick ha potuto dire pochissime cose ai giornalisti che sono riusciti a parlargli dopo l’uscita dal carcere. «Grazie a tutti gli italiani», ha detto alla collega de La Repubblica che è andata a trovarlo a casa, «e grazie a Bologna, la mia città. Tornerò il prima possibile perché lì c’è la mia gente. E grazie alla professoressa Rita Monticelli, la mia mentore». Lei lo ha tranquillizzato sugli studi: «Li riprenderà al più presto e spero che possa tornare quanto prima tra noi».

Non ha fatto nessun accenno ai mesi trascorsi in carcere e soprattutto alla prima notte quando, secondo quanto rivelato dalla sua avvocatessa, fu tenuto bendato per oltre 17 ore, colpito allo stomaco e alla schiena e torturato con scariche elettriche. La polizia egiziana formalizzò l’arresto solo la sera dell’8 febbraio dicendo che era stato fermato a un posto di blocco. Dopo pochi giorni Patrick è stato portato nel carcere della sua città, Mansura.

Il 5 marzo, un nuovo trasferimento, nella prigione di Tora, al Cairo, considerato uno dei peggiori di tutto l’Egitto. Solo dopo cinque mesi e mezzo a Patrick è stato permesso di ricevere una visita dei suoi familiari. Nel frattempo, e per altre volte ancora, è comparso in tribunale: ogni volta la sua detenzione è stata rinnovata. Fino al 7 dicembre quando finalmente le porte del carcere si sono aperte e Patrick Zaki è potuto tornare libero.

La prima vera intervista dopo la sua liberazione l’ha rilasciata a Che tempo che fa. «Il momento peggiore è stato quando in aeroporto mi hanno chiesto di aspettare. Mi chiedevo cosa sarebbe successo». Poi, l’incarcerazione. «Ma ho sempre creduto nella mia innocenza. Quando mi hanno rilasciato ero confuso. “Cosa sta succedendo?”, mi chiedevo. La prima cosa che ho fatto a casa, appena arrivato, è stata una doccia calda». Un pensiero lo ha dedicato alla senatrice Liliana Segre. «Avrò il grandissimo piacere, se potrò, di incontrarla. È stata, per me, fonte di grande ispirazione».



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