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Eitan Moshe torna in Itlia, il nonno ha perso il ricorso: la storia



Peleg Shmuel ha inseguito la chimera di salvare sé stesso -che certamente è stato, a sua volta, profondamente segnato dall’immane tragedia del Mottarone – non già Eitan Moshe. Riportare ‘a casa’ il bambino, e cioè ‘trasportarlo’ in Israele ha corrisposto forse a una legittima, e finanche comprensibile aspirazione a che questi crescesse in una più stretta connessione verso le proprie radici ebraiche e il ramo materno della sua famiglia.



Era però una chimera, poiché… non considerava l’inerme Eitan Moshe. Il bambino non era un oggetto da trasbordare ma una persona in condizioni di indicibile fragilità che, nonostante la tenerissima età, con coraggio e forza, stava cercando a sua volta di salvare il suo piccolo mondo, orrendamente deprivato dopo la morte dei genitori e del fratellino, resisteva ancora nella famiglia di sua zia, della piccola comunità di Travacò, e negli affetti della comunità pavese.

È la libertà che l’11 settembre 2021 l’indagato calpestava, portando via con sé suo nipote come fosse un oggetto; ed è perciò che Peleg Shmuel ha senz’altro commesso, quel giorno, il reato di sequestro di persona”. Con queste parole il gip di Pavia Pasquale Villani ha emesso due ordinanze di custodia cautelare in carcere, con conseguente mandato d’arresto internazionale e richiesta di estradizione, per il nonno del piccolo Eitan, Shmuel Peleg, 58 anni, tenente colonnello in pensione dell’esercito israeliano, che l’11 settembre ha rapito il piccolo portandolo in Israele, e per Gabriel Abutbul Alon, l’autista 50enne, residente a Cipro, complice del sequestro.

Quest’ultimo, come ha scritto il giudice, ha una grande esperienza «come soldato di ventura arruolato dalla BlackWater (compagnia militare privata tra le più importanti al mondo, annoverata tra i contractor di riferimento del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti), che gli consente di muoversi sottotraccia, ancor più in contesti… quali quelli civili, e nel più assoluto disprezzo delle leggi e della sovranità di Stati esteri».

I due sono accusati, «unitamente alla connazionale Esther Athen Cohen», la nonna materna, «dei reati di sequestro di persona, sottrazione e trattenimento di minore all’estero e inosservanza dolosa di provvedimento del giudice» ai danni del bambino e della zia Aya Biran, tutrice legale. Intanto, in questi giorni Eitan potrebbe far ritorno davvero nella sua Pavia grazie alla sentenza di secondo grado della Corte di Tel Aviv che ha riconosciuto la tutela legale alla zia Aya Biran e ha stabilito il suo rientro in Italia entro 15 giorni. Il punto è che per il giudice pavese «Shmuel Peleg potrebbe rapire ancora Eitan, se rimanesse in libertà».

Secondo gli investigatori italiani, infatti, l’azione dell’uomo e dell’autista, Gabriel Abutbul Alon, è stata compiuta con «tecniche paramilitari e di intelligence» e quindi può essere ripetuta. I legali di Peleg hanno già depositato ricorso al Tribunale del Riesame di Milano. E mentre continua la battaglia legale, lo zio “italiano” del bimbo Or Nirko ha detto: «Noi vogliamo soltanto che torni e stiamo aspettando speranzosi, Eitan deve iniziare la scuola». Per l’avvocato italiano dei Biran Armando Simbari: «Il mandato di arresto è un gesto coraggioso del giudice verso il ristabilimento della verità e del benessere di Eitan».

L’11 settembre Shmuel Peleg intorno alle 11.30 portò via il bambino dalla casa di Travacò Siccomario, in provincia di Pavia, in cui viveva con la famiglia della zia Aya, alla quale era stato affidato dopo la tragedia della fUnivia, in cui aveva perso i genitori, il fratello e i bisnonni. L’incontro era autorizzato, ma ad agosto il giudice aveva vietato che Eitan fosse portato fuori dall’Italia senza il consenso della zia, obbligando il nonno a riconsegnare il passaporto israeliano del nipote. Il nonno però non lo aveva fatto. Alle 11.26 Peleg fece salire Eitan su una Golf noleggiata il giorno prima all’aeroporto di Malpensa e in cui si trovava anche l’autista Alon che era a Milano già dall’inizio di settembre, a dimostrazione che il “piano strategico e militare” era stato ben studiato. A quel punto iniziò il viaggio verso la Svizzera, dove furono fermati, ma senza conseguenze. I tre si imbarcarono su un Cessna 680 noleggiato per 42mila euro che alle 15.00 decollò, destinazione Tel Aviv.



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