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Come e dove vedere Juventus – Inter in Streaming
Continuano le indiscrezioni dalla Spagna, dalla capitale: ZìnedìneZìdane potrebbe lasciare (di nuovo, visto che già lo fece nel 2018) la guida tecnica del Real Madrid. Indiscrezioni, appunto, che vanno in crescendo ormai da tempo e che in un certo senso trovano riscontro costante in talune dichiarazioni dello stesso tecnico francese nelle quali tutto si trova, tranne la voglia di porre fine alle elucubrazioni, riflessioni, premonizioni legate ad un futuro lontano dai Blancos.
Per andare dove? Ecco, appunto, qua viene il bello. Quantomeno, viene il bell, per quella parte – mica tanto piccola – di tifoseria juventina che culla il sogno di rivedere Zizou a Torino, di nuovo nella squadra in cui militò tra il 1996 e il 2001, sia pure questa volta nelle vesti di allenatore. Ebbene -fermo restando che il destino di Andrea Pirlo non sarà condizionato soltanto dal raggiungimento o meno di un posto nella prossima Champions: pesano anche altre riflessioni – le ipotesi di sbarco di Zidane a Torino non sono peregrine. Esistono in virtù del legame ancora esistente tra il francese e la piazza, nonché dei buoni rapporti tra Zidane e il presidente Andrea Agnelli. Vien da sé che con la Juventus in Champions tutto sarebbe più facile (o un po; meno difficile), ma pure in questo caso potrebbero subentrare anche altre considerazioni.
L’eventualità Juve, comunque, non è l’unica che valuta Zidane il quale, anzi, è anche attratto dalla possibilità di prendersi un anno (e mezzo) sabbatico e poi ereditare la guida della Nazionale francese da Didier Deschamps.
Quale che sia la scelta di Zidane, in caso di addio al Reai potrebbe finire per influenzare comunque le sorti juventine. Il suo posto, infatti, potrebbe essere preso da Massimiliano Allegri, che uscirebbe così definitivamente e giocoforza dalla lista dei papabili sostituti di Pirlo. Per ora, però, resta in lizza e anzi i suoi frequenti blitz torinesi (non solo le partite del figlio: ieri anche un caffè in piazza Solferino con il dg Federico Cherubini e Fabio Grosso) alimentano le speranze dei nostalgici. Nella lista di cui sopra, comunque, figurano altresì Rino Gattuso e Simone Inzaghi.
Un gol solo in 23 partite di campionato. Un ruolino di marcia magro per uno abituato a segnare più reti. Peccato, però, che quell’unico gol messo a segno sia arrivato la notte del 17 gennaio, quando l’Inter ha posizionato uno dei mattoni più solidi della sua galoppata scudetto. Quella sera a San Siro si giocava la gara d’andata fra nerazzurri e Juventus e Arturo Vi-dal, fino a quel momento deludente nella sua prima metà di stagione da giocatore dell’Inter, sbloccò la partita con un colpo di testa.
Quello fu il primo gol in campionato di Vidal, rimasto poi l’unico in questa Serie A visto che il centrocampista cileno, a causa di problemi al ginocchio è sparito dai radar a metà marzo. I numeri dell’annata ’20-21 di “Re Arturo” sono senza dubbio insufficienti, ma quell’inserimento in anticipo su Danilo rimarrà un’istantanea indelebile sullo scudetto numero 19 dei nerazzurri, anche perché quella vittoria, resa ancor più netta dal bellissimo 2-0 sull’asse Bastoni-Barella, ha rappresentato molto più dei semplici tre punti conquistati in classifica.
Quella sera l’Inter si è tolta un peso, ha capito di aver azzerato il gap con la Juventus e di poter finalmente tornare a vincere il titolo. E così è stato. E tutto ciò grazie – anche – all’incornata di Vidal che, vai a vedere gli scherzi della vita, nel pre-gara aveva trovato il modo di far infuriare i tifosi interisti visto che aveva baciato il petto di Chiellini nel sopralluogo sul campo. Il fermo immagine che fece il giro dei social immortalava il bacio di Vidal proprio sullo stemma della Juventus e i tifosi si scatenarono contro il cileno che si fece poi perdonare sul campo.
FUTURO IN BILICO
Il centrocampista cileno, però, stasera non giocherà. Sarà lui il grande assente della partita, la sua partita. Il ginocchio sinistro operato il 12 marzo non gli ha dato tregua, doveva tornare a metà aprile, ma l’infiammazione non è passata e alla fine Vidal ha dovuto alzare bandiera bianca. Avrebbe voluto giocare Arturo, essere al fianco del suo mentore Antonio Conte nella serata di gala allo Stadium: niente da fare, il cileno proverà a esserci per la passerella finale della prossima settimana con l’Udinese (ieri ha svolto parte della rifinitura con la squadra). A dicembre
Vidal aveva raccontato così la sua esperienza in bianconero: «Ho trascorso quattro anni belli a Torino. Non ho mai avuto contatti con la Juve, con Conte parlavamo non solo pervenire all’Inter, ma in generale per stare insieme».E insieme hanno vinto, come alla Juventus.
D’altra parte se da un lato il rendimento di Vidal non è stato all’altezza della sua storia, dall’altro il cileno si è confermato una sorta di portafortuna. Dove va, si vince il campionato. Dopo i tre titoli nazionali in patria con il Colo Colo e lo sbarco da gregario in Europa al Bayer Lever-kusen, ecco iniziare con Conte il filotto di campionati prima con la Juve (4; ’12-15), quindi in Germania al Bayern Monaco (3; ’16-18) e al Barcellona in Spagna (’18-19).
Unica “cilecca” la scorsa stagione nella Liga, con il secondo posto alle spalle del Real. Ma quest’anno è ripresa la marcia. E chissà se proseguirà in Italia o in Francia, visto che l’ingaggio da 6.5 milioni per la prossima stagione pone Vidal fra i sacrificabili di Suning sull’altare dei conti. L’Olympique Marsiglia di Sampaoli, ex et del Cile vincente per due volte in Sudamerica, lo corteggia. L’Inter non sarebbe contraria. Bisognerà capire il pensiero di Conte e poi si vedrà se Vidal punterà a un nuovo scudetto o metterà nel mirino la Liguel.
Fine stagione, tempo di amarcord. Tra le tante emozioni vissute allo Juventus Stadium, ancora indelebile resta quel pomeriggio del 13 maggio 2012, grigio e uggioso, sembrava più autunno che primavera inoltrata, quando Alessandro Del Piero diede l’addio alla maglia bianconera. Pochi giorni prima era arrivato lo scudetto numero 30, non un titolo qualsiasi ma uno dei più importanti, dopo l’onta della B, il purgatorio, l’umiliazione di due esclusioni dall’Europa, la triste mediocrità. Uno scudetto strappato con i denti da Antonio Conte al Milan di Max Allegri, la cui festa straordinaria ed emozionante culminò proprio quel pomeriggio, 3-1 all’Atalanta con reti di Del Piero, la numero 290 della sua carriera in bianconero, del giovane Marrone (una promessa mancata) e di Andrea Barzagli su rigore, altro eroe acclamato dal popolo sugli spalti.
Quando il Capitano uscì, al minuto 57, accadde qualcosa che non avevo mai visto su un campo verde: il tempo si fermò a lungo, l’orologio del calcio rallentò i suoi battiti, tutto lo stadio si alzò in piedi per salutare chi alla Juventus aveva dato tutto, non avendo conosciuto mai altra maglia di dub sulle proprie spalle. A proposito di Del Piero si è parlato di ultima bandiera, stesso termine utilizzato per Paolo Maldini e Rancesco Totti, restando a giocatori di tempi recenti. Con una differenza però: se il milanista e il giallorosso sono stati patrimoni condivisi dd calcio italiano, Dd Piero ha incarnato la juventinità all’ennesima potenza, un simbolo soprattutto nostro, più divisivo che unitario, della sua squadra e non odia nazione intera. Altrove non hanno inteso appieno quanto sia stato immenso un giocatore di tale portata. Ricordo bene che era un ragazzo quando vinse la Champions, ricordo il gd nella notte dell’Intercontinentale, per non parlare di capdavoro che rovesciò la partita contro la Fiorentina, primo acuto ddla Juve anni ’90 che ha scritto capitoli fondamentali ddla leggenda. Dal settembre 1993 al maggio 2012, scoperto dal Trap, definitivamente lanciato da Lippi, capace sempre e comunque di prendere la squadra per mano, nd trionfi end momenti più bui. A mio avviso, Alex resterà ancora a lungo il giocatore più importante della Juventus, eppure di concorrenti ne ha avuti eccome. Se ripenso alla commozione di pomeriggio, la mente passa rapida mente in rassegna tutto ciò che di bello ci ha regalato lo Stadium in questi nove anni. Di quella squadra, dd tutto inconsapevole di ciò che sarebbe accaduto dopo, restano ancora Chiell ini, Bonucci, Buffon. E Andrea FIrio, in panchina. A loro, come ad Alex, dico grazie. Semmai d sarà un tempo altro per le critiche, non ora, non ancora.
Maestro di (sopran)nome, Andrea Pirlo. E maestro di fatto: Antonio Conte.
Non c’è stato sorpasso, in questo caso. Non ancora, quantomeno. Anzi, un passaggio di testimone – sì, insomma, di scudetto – che più emblematico e significativo non potrebbe essere. I nerazzurri festanti, i bianconeri invischiati nella lotta… salvezza, in un certo senso. Obiettivo salvare il salvabile. Epperò Pirlo, lo sa bene, non sarà facile. Pensare a un’Inter già appagata e rinunciataria – nonostante grigiate e scenette – non è raccomandabile.
«Conoscendo il mister, ma anche conoscendo cosa significa Juve-Inter a livello calcistico, immagino che T Inter arriverà con la formazione migliore. I nerazzurri cercheranno in tutti i modi di vincere la partita. Questo match sarà importante non solo per noi ma anche per loro per far vedere che sono i campioni d’Italia e dimostrarlo sul campo. Per quel che ci riguarda, però, affrontare la squadra che ci ha tolto il titolo deve darci stimoli in più: ci deve bruciare, vedere una squadra che viene allo Stadium in qualità di nuovo campione d’Italia. E di conseguenza questo ci deve dare qualcosa in più anche per l’obiettivo che dobbiamo raggiungere, perché abbiamo ancora delle possibilità per centrare la Champions e dobbiamo avere grande voglia di vincere la partita soprattutto per la classifica».
E ancora: «Non lo so se 1’Inter era più competitiva o no, le due rose sono molto valide. Ma se hanno vinto il campionato di sicuro hanno avuto più fame di noi. Lo ha vinto l’Intero lo abbiamo perso noi? L’ha vinto l’In- ter e le altre lo hanno perso ,compresa la Juventus. Quando una vince le altre perdono. Complimenti all’Inter ma noi potevamo fare di più».
Di buono, da cui (ripartire, c’è la prestazione offerta dai bianconeri contro il Sassuolo la scorsa giornata. «Abbiamo disputato una partita da squadra nonostante venissimo dalla la brutta sconfitta contro il Milan: ho visto una buona reazione anche se era difficile rialzarsi. Abbiamo fatto una partita da squadra: ci siamo aiutati, eravamo belli compatti anche nelle difficoltà che siamo riusciti a superare giocando insieme. Questo è stato l’aspetto più positivo perché avevamo bisogno soprattutto di ritrovarci a livello di squadra». Certo, se questa compattezza ci fosse stata anche in altre partite che invece sono state buttate via… «Dispiace soprattutto per questo, perché in certe occasioni c’è mancata la giusta compattezza per prendere qualche punto in più che ci sarebbe servito per il campionato e adesso per la Champions. Durante la stagione abbiamo avuto troppi cali di tensione e non siamo stati concentrati come l’altra sera, su un unico obiettivo. Succede che se non hai il fuoco dentro in tutte le partite poi perdi punti e perdi i campionati».
Altro motivo di rammarico, qualche partita a vuoto di Ronaldo e la quasi totale assenza di Dybala. Il rammarrico ripensando al passato è parecchio, e affiorano anche i dubbi sul futuro. Anche se Pirlo è tranciante: «Nel futuro ci saranno di sicuro. Quanto al presente, beh, sicuramente dei rimpianti ci sono se ripensiamo a questa stagione: ma ci sono anche per gli altri che non ho avuto a disposizione. Quando non riesci ad arrivare al tuo obiettivo per forza devi avere dei rimpianti altrimenti non saresti un allenatore in grado di poter vincere o in grado di essere ambizioso. Io lo sono quindi devo sempre avere rimpianti». E un po’ di, come dire, senso colpa: «Ci sono stati tanti errori e in testa ho già tutto e alla fine dell’anno parlerò con il mio staff di quello che abbiamo fatto bene e di quello che abbiamo fatto male. Se siamo arrivati così, a questo punto della stagione, vuol dire che ci sono stati degli errori E cercherò nel futuro di non commetterne piu».
Ulteriore spunto di riflessione: «Il progetto cambiato in corsa? Mi sono adattato ai giocatori e alle loro caratteristiche. Di solito si ha in mente un progetto, poi hai a che fare con le caratteristiche dei singoli e ti adatti. Ti accorgi che i giocatori che hai a disposizione non sono magari quelli che hai in testa perché non li conoscevi bene finché non hai avuto modo di lavorarci direttamente. Decidi poi come metterli meglio in campo. Mi sono adattato come fanno tutti gli allenatori alle caratteristiche dei giocatori. Il mio compito è di mettere i giocatori nelle posizioni in cui rendono di più».
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