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Claudio Baglioni, in questa storia che è la mia: un’opera-concerto realizzata al Teatro dell’Opera di Roma



La vita è adesso». A 70 anni Claudio Baglioni è il protagonista di un eccezionale progetto, un’opera-concerto realizzata al Teatro dell’Opera di Roma, tratta dal suo ultimo album In questa storia che è la mia.



Un evento eccezionale che ha coinvolto orchestra, artisti, coro e parte del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma, oltre a musicisti, vocalist, danzatori e performer e acrobati, andato in onda la sera del 2 giugno sulla piattaforma ITSART (il sipario digitale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte live e on-demand con contenuti disponibili in Italia e all’estero). Una bella occasione per una chiacchierata con il grande cantautore.

Baglioni ci racconti questa ultima, felice esperienza. «Anche se alle spalle ho una lunga e consolidata carriera, confesso che ogni qualvolta mi sperimento in una nuova mission artistica è un po’ come se giocassi alla lotteria, cercando di inventare qualcosa che sia ancora stimolante, emozionante e che sia soprattutto nuova.

Un artista è per tutta la vita un artigiano, ma la sua battaglia la combatte non solo a colpi di qualche canzone fortunata che sollecita l’attenzione del pubblico, ma anche quando diviene un artefice che fa accadere degli eventi.

I questo caso, è successo che qualche mese fa, quando l’Italia era chiusa per la pandemia, un giorno sono andato a trovare Carlo Fuortes, il Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma per chiedergli cosa avremmo potuto decidere circa la programmazione di dodici miei concerti previsti alle Terme di Caracalla, rimandati per la seconda volta causa emergenza Covid 19.

Entrando in teatro e vedendolo completamente vuoto, senza un’ombra di vita, ho provato una sensazione di angoscia e pensando al mio ultimo album In questa storia che è la mia mi sono chiesto: perché non rappresentarla anche in versione teatrale su quel palcoscenico? La mia proposta è stata accettata con molto entusiasmo dal sovrintendente ed in soli quattro giorni di lavorazione abbiamo messo su uno spettacolo eccezionale dopo un’elaborazione meticolosa ed articolata del progetto di circa un mese».

Cosa l’ha affascinata in maniera particolare? «L’idea di assemblare in una magica sinergia più forme d’arte come era nei grandi sogni, spesso realizzati, dei compositori dell’800 come, ad esempio, Richard Wagner, che professava il concetto di “arte totale”, auspicando di coniugare tante discipline, tutte espressioni d’arte, affinché potessero diventare vasi comunicanti». Quale giudica il brano più toccante del suo ultimo album?

«Credo che sia Come ti dirò, una sorta di romanza che trae ispirazione da tutto quello che i grandi poeti e gli scrittori del passato hanno declinato sul tema del “grande amore”, quando addirittura è così grande da risultare impossibile. Questo concetto relativo all’avventura dell’amore va esteso anche all’avventura della vita, nell’auspicio di un mondo migliore».

L’opera è andata in onda su ITSART il 2 giugno, un giorno che ha avuto per lei un particolare significato, di tutt’altro genere «Sì, ho ricevuto a Palazzo Valentini a Roma l’onorificenza di Grand’Ufficiale dalle mani del Presidente della Repubblica Mattarella e sono molto orgoglioso di ciò; l’unico rammarico è che ho vissuto 20 anni da commendatore e questa nomina mi ha appesantito un po’».

Baglioni, lei è stato candidato ai Nastri d’Argento 2020 per Gli anni più belli, la canzone originale dell’ultimo film di Muccino; tra un po’ la vedremo con la sua ultima opera anche sul grande schermo? «È probabile, considerato che si pensa alla proiezione di questo lavoro in qualche Festival. Presto annunceremo una bella sorpresa».

Non ha mai pensato di realizzare un musical? «Ci penso da 50 anni ed era nella mia mente già all’epoca di Questo piccolo grande amore e di E tu. Non ho mai abbandonato l’idea di questo progetto musicale, l’ho semplicemente accantonato». Ma non potrebbe quest’opera-concerto diventare lei stessa un musical? «Penso che ci siano tutti i presupposti, si tratta però di un’operazione molto delicata e complessa, bisogna scrivere le sotto-parti, cominciare a fare cantare i protagonisti di scena, creare un telaio narrativo ulteriore.

Ne sarei molto felice, sarebbe un coronamento della mia carriera di compositore al di là della mia attività di cantante in senso stretto». Nel suo ultimo lavoro, oltre all’amore, ci sono continui riferimenti al tema del tempo come la clessidra e gli orologi. «Il tempo che scorre mi fa ricordare i successi conseguiti nel passato, ma al tempo stesso mi spinge a fare sempre meglio , a non deludere il mio pubblico, continuando a trasmettergli forti emozioni. Si può battere il tempo, ma solo a tempo di musica».

Ed il tempo riferito all’amore? «Il tempo è più forte dell’amore stesso, è un medico miracoloso che guarisce anche le ferite più profonde, al punto che alcune volte c’è il rammarico che quel mal d’amore si attutirà fino a scomparire del tutto con lo scorrere degli anni». Se volesse realizzare un film sulla sua vita, un “biopic”, a quale regista si affiderebbe? «Ho molti amici nell’ambiente cinematografico e televisivo: oltre a Gabriele Muccino, ho buoni rapporti con Gabriele Salvatores, Giuseppe Tornatore e Paolo Sorrentino.

Mi considero un privilegiato perché se davvero dovessi realizzare un “biopic” potrei fare un consulto tra questi grandi nomi della regia». Lei è un artista “sempreverde”, amato dal pubblico di ogni età «Ho appena compiuto 70 anni e questo numero mi perseguita dal giorno del mio compleanno me lo ritrovo dovunque, sulle bottiglie, sui biglietti di auguri. Questo 70 ce l’ho marchiato a fuoco nel mio animo credo che fino alla fine del 2021 per me sarà una specie di “Anno Santo”, ovvero ci sarà una celebrazione mensile sull’argomento».

Oggi è meno emozionato in concerto rispetto a quando muoveva i primi passi nel mondo della canzone? «Nient’affatto: prima di ogni esibizione, si è sempre terrorizzati al pensiero di non essere in splendida forma, all’altezza delle aspettative del pubblico, sia in uno stadio, che in una piazza o sul palcoscenico di un teatro». Dopo 50 anni di attività la sua adrenalina è sempre a mille?
«Certamente, l’adrenalina è una forte sensazione che produco costantemente ogni volta che mi esibisco, evitando il ricorso a sostanze chimiche. È un grande privilegio salire su un palco, con la consapevolezza che migliaia di persone hanno speso al di là del biglietto, il proprio tempo per applaudirti.

Si tratta della gratificazione più grande che un artista possa ricevere» Ma lei, in realtà, da ragazzino cosa voleva fare? «Ho intrapreso la carriera artistica per puro caso, convinto che il successo non sarebbe mai arrivato. La mia è una strana storia nel senso che i miei genitori, al contrario di tanti altri, erano favorevoli all’idea che facessi il cantante. Mia madre in particolare mi diceva spesso: “È meglio che provi a cantare perché a studiare ti si rovinano gli occhi”.

Sia mamma che papà sono stati i miei primi tifosi. Io ero un ragazzo molto riservato al punto che mi avevano soprannominato “agonia” La mia prima esperienza canora fu all’età di 13 anni, partecipando per puro caso al “Centocelle Festival di Canzoni Nuove”; in quella occasione mio padre assunse il ruolo di direttore artistico suggerendomi di interpretare il brano Ogni volta, mentre mamma che faceva la sarta, mi confezionò gli abiti per l’esibizione: pantalone celeste e camicia rosa, praticamente ero vestito come un confetto».

Il suo sport preferito? “Il calcio: sono un accanito tifoso della Roma, di padre laziale: del resto la colpa è sua, perché la prima volta che mi portò allo stadio mi fece assistere ad un derby Roma-Lazio. Sono molto contento di vedere Josè Mourinho sulla panchina della Roma e gli faccio i miei migliori auguri. Di certo, grazie a lui, gli incontri pre e post partita saranno più divertenti. Il calcio italiano ha bisogno di qualche banalità in meno».

Sogni nel cassetto? «Bisogna sempre sognare nella vita. C’era chi diceva che l’uomo che non sogna è come l’uomo che non suda, tutto rimane dentro ed alla fine produce una malattia, una cancrena. Al termine di una carriera probabilmente ci saranno più sogni che opere realizzate, soprattutto per chi come me svolge un’attività intellettuale, direi invisibile. Shakespeare diceva “Gli uomini sono fatti della stessa sostanza dei sogni” pertanto sognare fa bene all’anima».



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