Mercoledì 12 settembre 2001 tutti nel mondo si svegliarono con la consapevolezza che mai più nulla sarebbe stato come prima. Il giorno precedente, tra le 8.46 e le 10.03, due aerei dirottati da terroristi di Al Qaeda avevano colpito le Torri Gemelle di New York. Un altro velivolo si era schiantato contro l’edificio del Pentagono ad Arlington, in Virginia.
Un quarto aereo, lo United 93, precipitò in un campo accanto a una miniera di carbone in prossimità della frazione di Shanksville, in Pennsylvania, dopo che i passeggeri avevano tentato di bloccare i dirottatori. L’11 settembre morirono 2.977 persone, esclusi i diciannove dirottatori: 2.606 persero la vita nel crollo delle Torri, 125 nell’attacco al Pentagono; 246 erano i passeggeri dei quattro aeroplani. Morirono 343 vigili del fuoco, 72 agenti di polizia e 55 militari.
Le vittime appartenevano a 90 Paesi. Le conseguenze di quella giornata di terrore furono immense, per le nazioni e per i suoi abitanti. Gli Stati Uniti non considerarono gli attacchi come atti di terrorismo ma come un atto di guerra. E risposero con la guerra. L’Occidente contro il terrorismo di matrice islamica, radicato in molti Paesi. Guerra di civiltà, fu anche chiamata. Da allora non solo il mondo è cambiato, sono mutate le relazioni tra i Paesi, alcune dittature sono cadute, altre hanno preso il loro posto.
È mutata anche la mappa del terrorismo internazionale. Dopo l’11 settembre George W. Bush, che era stato eletto e si era insediato come quarantatreesimo presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio del 2001, rivoluzionò completamente la sua politica. Era arrivato alla Casa Bianca promettendo agli americani il disimpegno dalle azioni militari in tutto il mondo. Dopo l’11 settembre lo scenario cambiò radicalmente: il leader del più importante Paese dell’Occidente disse che la democrazia andava esportata là dove non era presente. Che il terrorismo andava scovato e distrutto dove proliferava.
Nemmeno un mese dopo l’attacco alle Torri Gemelle, gli Stati Uniti con i loro alleati invasero l’Afghanistan, dove erano ospitati molti capi di Al Qaeda e dove trovava rifugio Osama Bin Laden, fondatore e capo del gruppo terrorista. I talebani, allora al potere a Kabul e grandi protettori di Bin Laden, furono velocemente sconfitti. Si ritirarono sulle montagne e nelle zone più inaccessibili attendendo con pazienza la loro rivincita.
Ma non c’è stato solo l’Afghanistan. Il 20 marzo 2003 gli Stati Uniti con i loro alleati, tra cui l’Italia, invasero l’Iraq. L’obiettivo era la deposizione del grande nemico, Saddam Hussein, e il controllo di un altro Paese, che secondo l’amministrazione americana forniva appoggio ai terroristi e preparava armi di distruzione di massa per colpire l’Occidente. Saddam Hussein fuggì ma venne arrestato due anni dopo. Successivamente un tribunale iracheno lo giudicò colpevole e lo condannò a morte: venne giustiziato il 30 dicembre 2006. Nel frattempo la caccia ai terroristi di Al Qaeda continuava.
Osama Bin Laden fu individuato e ucciso in Pakistan da un commando americano il 2 maggio 2011. Era allora presidente Barack Obama, il suo vice era Joe Biden. Al Qaeda, ormai quasi completamente smantellata, è stata però soppiantata da un’altra organizzazione terrorista, nata tra Iraq e Siria: l’Isis. Spietata quanto Al Qaeda ma più radicata nel territorio, capace anche di creare uno stato, sebbene non riconosciuto: lo Stato islamico, con capitale a Raqqa, in Siria.
I sommovimenti in Afghanistan e in Iraq, le guerre civili in Siria e in Libia, le diaspore dei curdi incalzati dall’Isis da una parte e dallo Stato turco dall’altra, e degli yazidi, perseguitati dallo Stato islamico, hanno portato alla migrazione di milioni di persone in fuga verso Occidente. La guerra in Afghanistan è terminata soltanto vent’anni dopo. Le immagini della fuga da Kabul di migliaia di persone e del ritorno al potere dei talebani le abbiamo ancora tutti negli occhi. Sono trascorsi vent’anni dall’11 settembre 2001 e il mondo è ancora in cerca di un baricentro di stabilità.
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