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Tiziano Ferro si confessa nel documentario: ”Io, a 34 anni ero un alcolista”



Tiziano Ferro si confessa e lo fa nel documentario intitolato Ferro. Quest’ultimo andrà in onda su Amazon Prime a partire dal 6 novembre e si preannuncia già un grande successo. In questo documentario il noto cantante e cantautore si racconterà e farà emergere un altro lato, quello più intimo, quello che il pubblico conosce ben poco.



Tiziano Ferro si confessa nel documentario intitolato Ferro

Sembrerebbe che il cantante si lascerà andare a delle confessioni piuttosto importanti e interessanti. A quanto pare prima che Tiziano confessasse di essere omosessuale, i produttori e le persone del mondo della musica avevano intenzione di preservare la sua immagine di cantante, mettendo a tacere le voci sulla sua omosessualità. In che modo? Sembrerebbe che alcuni produttori gli avessero proposto di farlo fidanzare per finta, un po’ come è accaduto a Gabriel Garko e ad altri attori e personaggi del mondo dello spettacolo. Non è di certo la prima volta che il cantante si lascia andare a delle confessioni piuttosto intime. Questo è quello che ha fatto anche su Sette, l’inserto del Corriere della Sera che pubblica una lettera di Tiziano Ferro dove vela il suo problema passato con l’alcool.

La proposta “indecente” dei produttori

Sempre su questo inserto sono stati pubblicati alcuni stralci di quello che vedremo nel documentario. Tiziano parla di non detti che purtroppo hanno causato in lui dei danni inimmaginabili e dei tormenti interiori. “Dopo il rapporto con il cibo e con il corpo, ecco un altro grande problema: si parlava di me come gay e non andava bene. Mi gelo perché il problema non era più mio, solo mio”. Questo quanto raccontato da Tiziano Ferro. Quest’ultimo, quindi, non avrebbe ceduto a queste proposte sottolineando di aver avuto da sempre una posizione e di averla conservata. “Ma decido di non mentire, non invento fidanzate”. Il 40enne ha voluto da sempre essere sincero con il suo pubblico, che oltre per il suo grande talento, lo ama anche per questo. Purtroppo sembra che a qualche compromesso sia dovuto scendere.

Le dichiarazioni del cantante

La sua casa discografica francese, sembra che ogni volta che Tiziano arriva a Parigi gli fa indossare degli abiti con codici più maschili. “Non sono mai stato il primo della classe, ero anonimo, non bello, per niente atletico, anzi grasso, timido, i ragazzi mi chiamavano ciccione, femminuccia, sfigato. Aspettavo che qualcuno intervenisse per difendermi, ma non succedeva mai. Vivevo perennemente frustrato, e incaz*ato e anche umiliato. Poi ho cantato per la prima volta e il mondo è cambiato. La musica è diventata il canale per esprimermi in un mondo nel quale non mi riconoscevo”. Questo quanto ammesso dallo stesso Tiziano.

 

Nessuno mi poteva sopportare quando bevevo. E chi ci riusciva o aveva pietà, o era come me. O più disperato di me. Oggi che non bevo da diversi anni ho capito che quella disperazione aveva un senso, uno solo: aiutare qualcun altro. È diventato chiaro circa un anno fa, durante un meeting di recupero a Milano. Entra un ragazzo nuovo, distrutto, al suo terzo o quarto giorno di sobrietà.

Aspetta la fine del meeting, poi mi si avvicina e mi dice: «Io non ce la faccio più, eppure non ci volevo venire qua. Avevo deciso che sarei entrato e uscito. Sono rimasto perché ho visto te. E se anche tu sei qui significa che devo tornare». Avrà avuto venticinque anni.

Io devo smettere di bere, mi ripetevo. Avevo le transaminasi alte. Iniziavo ad avere problemi di fegato. Non volevo morire per una cosa simile. No. Pensavo «non berrò» e si spalancavano il buio, l’ansia, il terrore di tante ore di vuoto che mi separavano da chi non lo faceva, da chi non aveva bisogno di rifugiarsi nella dimensione parallela dell’alcol. Da chi non aveva necessità di creare un sé diverso, fatto di cose nuove, gesti che vanno bene al mondo, un mondo in cui si è capaci di essere «socialmente adeguati» e di piacere a tutti, per non rischiare mai di farsi vedere brutto, antipatico, noioso, una delusione.

Ed ero invidioso. Non riuscivo a non bere ma ero invidioso di chi vedevo forte del privilegio di essere astemio, che non lo sapeva e manco voleva saperlo cosa fosse l’ubriachezza; ero invidioso di chi, di fronte a un momento di vuoto, lo accetta per quello che è – e va incontro a ciò che la giornata non ha da offrire. L’ignoto. Ma gli alcolisti non contemplano l’ignoto. Una volta ho sentito dire che i cani non soffrono il trascorrere del tempo e che non hanno riferimenti temporali.

L’alcolista è esattamente l’opposto. L’alcolista fraziona le settimane, i giorni, le ore, e tutte quelle finestre di tempo, anche le più piccole, devono essere piene, utili, remunerative, in un certo modo epiche. Magari questo non è il perfetto e reale profilo clinico di chi dipende dall’alcol ma sicuramente è il perfetto profilo psicologico mio. E mi ripetevo: oggi so che non berrò, sono stanco, arriverò a casa, disferò la valigia, giocherò al computer, ordinerò qualcosa da mangiare e guarderò la tv.

Programmare non aiuta la sobrietà, semmai la raggira, e in realtà nemmeno gli obiettivi la aiutano, rendono solo più patetico il fallimento. Mi svegliavo la mattina dopo col telefono pieno di sms di persone nuove che mi scrivevano, che speravano di rivedermi perché gli avevo promesso qualcosa che nemmeno ricordavo: una vacanza, l’autografo su un disco, una cena… la cittadinanza italiana – e adesso pensandoci mi scappa un sorriso. Però loro non cercavano me, non lo sapevano ma cercavano un altro, cercavano quello bevuto.

E quello non bevuto non era così simpatico, pronto a rispondere, a lanciarsi. Era uno sfigato di provincia che ai loro occhi faceva un bel lavoro, che aveva pure una discreta quantità di soldi, anche se non li sapeva usare, che aveva più di trent’anni e meno di quaranta, fisicamente ok – un 5 e ½ circa secondo gli standard estetici incrostati di preconcetti, un 2 e ½ secondo me –, che aveva fatto meno sesso della media dei suoi coetanei eterosessuali e molto, molto meno sesso dei suoi coetanei omosessuali.

Uno sfigato di provincia che aveva pure le transaminasi alte. Forse le transaminasi sono state le mie uniche vere alleate in quel periodo, le più sincere inevitabilmente. Mi dicevano in faccia che indietro non si tornava, passata una certa soglia si poteva solo andare avanti. L’alcol, come qualsiasi altra dipendenza, ti butta giù ma dal punto più alto ed eccitante. Diventi migliore sapendo di essere la versione peggiore di te stesso. È come barare a poker. Lo sai, vinci e te ne freghi, ma poi non hai vinto, non sei un campione, sei un baro. E ogni notte pensavo: da domani ricomincia la guerra. La guerra a immaginarmi nel mondo senza l’alcol, a immaginarmi tra la gente senza bere ma senza sottrarmi. Perché avvicinarmi mi richiedeva quella fuga, quella bombola d’ossigeno per sentirmi «all’altezza». Per evitare di bere dovevo evitare le persone.



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