Andrew Morton dixit. «La performance di Emma Corrin è di gran lunga la rappresentazione più compiuta di Diana che abbia mai visto». Parola del primo biografo delle principessa di Galles, autore di quella pietra miliare tra gli scritti sulla moglie di Carlo che è Diana – Her True Story del 1992.
A un mese dalla uscita su Netflix della quarta stagione di The Crown il giudizio è unanime: l’attrice che ha dato il volto alla principessa del popolo nei suoi anni giovanili ne ha saputo cogliere e riproporre quel mix di malinconia, ingenuità ed eccitazione che hanno scolpito la sua personalità misteriosa e contraddittoria nell’immaginario collettivo.
Merito della capacità attoriale, non c’è dubbio. Ma ci piace anche pensare che tra questa ragazza di 25 anni appena compiuti e la donna che ha segnato gli ultimi due decenni del Novecento ci sia una certa continuità biografica, come se le loro storie fossero destinate a incrociarsi.
Entrambe sono figlie della buona società. Diana discendeva da lord Edward John, terzo conte Spencer; sua madre Francis era figlia del barone Fermoy, intimo amico di Giorgio VI, padre della regina Elisabetta. Emma nasce dalla borghesia boomer: suo padre Chris è uomo d’affari, la madre Juliette, di origini sudafricane, una logopedista che, vedremo, sarà determinante nel suo percorso in The Crown.
Ottimi studi dunque per la ragazza: prima al collegio femminile di Woldingham, nel Surrey, non dissimile dalla West Heath Girls’ School, nel Kent, frequentata, pur con modesti risultati, da Diana. Emma si è poi laureata al St John’s College di Cambridge, ma nel frattempo ha fatto la volontaria in una scuola di Knysna, in Sudafrica, dimostrando una propensione per l’altruismo comune a quello della madre di William ed Harry.
Entrambe sono in breve tempo passate dall’anonimato al successo planetario, dal dividere spesa e spese in un appartamento in condivisione a posare per le copertine dei giornali di mezzo mondo. Ma curiosità biografiche a parte, che cosa ha portato Peter Morgan, il deus ex machina della serie su Elisabetta, a scegliere questa giovane attrice con pochi ruoli nel curriculum? Il caso stavolta non c’entra. C’entra, invece, la capacità di cogliere l’attimo.
Emma fu inizialmente chiamata dalla produzione per leggere le battute attribuite a Diana durante la selezione dell’attrice per il ruolo di Camilla, parte poi assegnata a Emerald Fennell. «Insomma, il mio agente mi spiegò che non si trattava di un’audizione.
Ma io mi preparai come se lo fosse, macinando articoli e documentari sulla principessa». E così Emma fu scelta mentre leggeva un copione per dare la possibilità a un’altra di entrare nel cast. «A un certo punto mi dissero di varcare la porta di una stanza dove c’era una telecamera, e di fissarla. In quella stanza si giocò il mio futuro ». Non che Diana fosse una sconosciuta per Emma. Pur non avendo memoria diretta della principessa – che è morta il 31 agosto 1997, quando l’attrice non aveva ancora compiuto due anni – ha raccontato di aver sempre sentito un legame con lei perché sua madre le rassomigliava in modo incredibile.
«Quando ero piccola la gente ci fermava per strada. Mamma non si scocciava. Era solidale verso quella donna che dispensava amore ed era mancata in modo così traumatico». Ottenuta la parte, toccava entrare nel ruolo. «Ho saputo instaurare una sintonia con il suo spirito», ha detto Emma, «e con la sua anima così straordinaria. Mi ha molto aiutato il team di ricerca storica che mi ha affiancato per distinguere le speculazioni dalla verità». La Corrin ha incontrato Patrick Jephson, segretario privato della principessa dal 1988 al 1996, per conoscere la vera donna dietro l’immagine pubblica.
E ha studiato attentamente il documentario di Channel 4 Diana – In Her Own Words, per perfezionare le intonazioni e le inflessioni della sua voce. Il risultato è stupefacente, forse perchè dietro questo dettaglio c’è stato lo zampino di mamma Juliette, professionista del settore. «Mi diceva: “Ricordati sempre che, sul finire delle frasi, la voce deve volgere verso un’intonazione bassa, come a sottolineare che in lei c’è sempre stata una tristezza latente ».
E questa malinconia nell’interpretazione è stata la chiave del successo di Emma. Per agevolare la somiglianza fisica sono state necessarie tre parrucche. Pettinata e vestita come Diana, l’attrice ha suscitato uno stupore generalizzato. «Seduta davanti a uno specchio con una sua foto dietro di me come riferimento, ricordo di aver inclinato la testa nello stesso modo in cui faceva lei, provocando una catena di “oohh”. Il ballo è stata l’unica nota dolente. «Ho le gambe lunghe e, lo ammetto, sono parecchio scoordinata, a differenza di Diana.
Con Josh O’Connor, che nella serie è il principe Carlo, ndr] ci siamo allenati talmente tanto per la scena ambientata in Australia che ho superato tutte le paure». Ma immergersi nella vita di Diana non significa solo sfiorare le vette della sua grazia, ma anche conoscere gli abissi del suo disagio.
Quello alimentare, in primis. «Quando ho ricevuto la sceneggiatura e ho visto che avrebbero incluso la bulimia sono stata felice, perché volevo assicurarmi che fosse raccontata correttamente e non solo accennata. Diana ne parlò senza filtri, chiarendo che era stata una parte centrale di ciò che stava passando in quel momento storico. Un libro in particolare mi ha ispirata per girare quelle scene: Tre donne, scritto dalla giornalista Lisa Taddeo.
Una delle protagoniste soffre di disturbi alimentari. E vi si descrive il suo stato d’animo prima, durante e dopo i pasti, che ho interiorizzato per portare in scena quei momenti». Ma il disagio di Diana, soprattutto quando si trovava in pubblico, era spesso appena percettibile. «Mi hanno aiutato i vestiti a renderlo manifesto. Non quelli da sera, quelli della favola, ma le giacche in velluto, le gonne di lana. Li ho usati a volte come forma di armatura». Nascondersi in scena tra un colletto e un cappello ha dato a Emma la capacità di rappresentare l’implorante, e allo stesso tempo soffocato, grido di dolore della principessa di Galles
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