La mascherina di tessuto nera ha lo stemma monegasco ben visibile ai lati. Non è un caso: la principessa Stéphanie, ultimogenita di Grace e Ranieri, è una fervente patriota. Tanto che, per dirne una, durante tutta la fase di Lockdown del Principato, ha organizzato con le figlie Pauline e Camille – che hanno trascorso con lei Pisolamento – cori dal terrazzo del suo attico. Intonavano l’inno di Monaco, sbandierando i colori del piccolo Stato. Una dimostrazione di scanzonato nazionalismo che ha contagiato – lo si è visto nel profilo Instagram di Camille – tutto il vicinato. Ma Stéphanie ha dato il proprio contributo alla lotta contro il covid-19 anche agendo sul campo.
Il 27 maggio la principessa ha fatto visita al centro per lo screening degli infettati dal virus allestito all’Espace Léo Ferré, nel quartiere di Fontvieille. Lì è stata accolta da Didier Gamerdinger, ministro della Salute e degli Affari Sociali, da alcuni funzionari e medici, ma soprattutto dai tanti volontari che in queste ultime settimane hanno sottoposto 6.500 cittadini monegaschi – su poco più di 38 mila complessivi – al test sierologico per la rilevazione degli anticorpi IgM e IgG. Duecento sono risultati positivi, benché asintomatici.
Sono 99 i casi di malati conclamati di covid-19 nel Principato. Novanta di questi hanno avuto necessità di ricovero all’ospedale Princesse Grace, dove attualmente c’è ancora una persona degente.
Con la sua visita Stéphanie, che ha seguito di qualche giorno quella fatta dal fratello Alberto, ha voluto rendere omaggio ai sanitari impegnati a fronteggiare l’epidemia che ora è, si spera, alle battute finali anche lì. Ma in particolare ha voluto incontrare un gruppo di otto persone che lei stessa ha inviato nella struttura, volontari che provengono dall’associazione che Stéphanie ha fondato nel 2004: Fight Aids Monaco.
Un ente che non soltanto ha finanziato l’apertura di un centro nel comune francese di Carpentras, sulle Alpi Marittime sopra Avignone, dove chi è affetto da immunodeficienza può trovare conforto, ascolto psicologico e accoglienza, ma che ha anche sviluppato un protocollo all’avanguardia per tutto quello che riguarda il sistema di screening per l’Aids. Dunque gli otto volontari sanno come si interagisce con le persone che si sottopongono a un test diagnostico e sono in grado di effettuarlo loro stessi tramite il mini prelievo di sangue dal dito. Certo, lo hanno sempre fatto per testare la positività ad Hiv, ma le procedure per il coronavirus sono molto simili.
Perciò il governo monegasco ha chiesto alla principessa che questo efficiente gruppo di lavoro aiutasse le autorità sanitarie a fronteggiare l’emergenza. La richiesta ovviamente non è caduta nel vuoto. «Abbiamo risposto con entusiasmo», ha detto la sorella minore di Alberto II al quotidiano Monaco-Matin. «Siamo stati lusingati e onorati di poter aiutare. Significa che siamo ritenuti un centro ad alta competenza e i risultati che abbiamo ottenuto in passato sono stati notati», ha detto Stéphanie.
La principessa, nonostante il suo nome sia scolpito nell’immaginario collettivo per l’esuberanza e la volubilità di carattere manifestate negli anni giovanili, oggi è molto popolare nel Principato per le attività filantropiche. Presiede il Centro per la gioventù, che organizza attività anche sportive dedicate ai bambini, ed è membro onorario della Fondazione intitolata a Grace che opera negli Stati Uniti, dove finanzia gli artisti impossibilitati a emergere senza aiuto. Ma certo, il suo nome è molto legato alla lotta contro l’Aids, tanto che il fratello monarca, nel 2005, le ha conferito la Gran Croce dell’Ordine Grimaldi per l’impegno profuso. L’anno successivo Stéphanie ha parlato alle Nazioni Unite, che l’hanno nominata ambasciatrice di Unaids, il programma Onu per coordinare l’azione globale contro il virus che causa immunodeficienza acquisita. E questa la nuova dimensione di Stéphanie: aiutare gli altri.
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