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Diego Armando Maradona, la verità sulla sua morte: gli eccessi tra droga e alcol



Diego Armando Maradona è morto soltanto da qualche giorno eppure sul suo conto ne sono state dette di tutti i colori. La morte del calciatore è stato un duro colpo per tutti e non solo per tutti gli appassionati del mondo del calcio e dello sport in generale. Con la morte di Diego Armando Maradona, il mondo dello sport ha perso davvero tanto. Sappiamo che in quest’ultimo periodo Maradona non era stato bene e che aveva anche subito un’operazione piuttosto delicata. Eppure nei giorni successivi sembrava che le cose andassero meglio e che stesse recuperando le forze. Poi due giorni fa ecco arrivata la notizia terribile, Diego Armando Maradona è morto a causa di un arresto cardiaco. Ma è davvero così?



Diego Armando Maradona, il campione morto per colpa di un arresto cardiocircolatorio

Ebbene si, Diego Armando Maradona è morto il 25 novembre 2020, in seguito ad un arresto cardiocircolatorio. Purtroppo le sue condizioni di salute pare fossero piuttosto compromesse da tempo. Ma perché? Di quali patologie soffriva Diego Armando? Il campione è morto proprio mentre stava trascorrendo la convalescenza all’interno della sua casa di Tigre in Argentina. Nell’ultimo periodo, infatti, il campione era stato sottoposto ad un importante intervento chirurgico alla testa, per poter rimuovere un ematoma subdurale al cervello.

Il campione, tanti problemi di salute

E’ stato curato alla clinica di Olivos e poi è stato dimesso ma pare continuasse ad essere seguito e ad essere sotto stretto controllo medico. Ad un certo punto poi sembra che si sia verificata una difficoltà cardiocircolatoria e l’uomo sembra sia andato in arresto. Va detto che Maradona ha vissuto una vita “spericolata” ed ha avuto problemi con la dipendenza da alcol e droghe, tra cui anche la cocaina. Ad ogni modo, in tutti questi anni il campione ha dovuto anche subire due interventi di bypass gastrico per potersi salvare dalla bulimia, interventi subiti sia nel 2005 che nel 2015.

Una vita di eccessi e tante volte sotto i ferri

Ma non finisce qui, perché nel 2000 Diego Armando aveva avuto anche un infarto dopo un’overdose e nel 2004 aveva anche avuto una crisi cardiaca per via del peso eccessivo. Sembra che proprio in seguito a questa crisi cardiaca, Maradona venne operato allo stomaco e poi nel 2007 l’alcol lo aveva costretto a tornare in ospedale. Recentemente, oltre all’operazione al cervello, pare che l’uomo abbia subito un altro intervento per inserire una protesi alle ginocchia.

Quanto è difficile parlare di Diego Armando Maradona, scriverne. Pare che nel vocabolario non sia rimasta una parola vergine, che non sia già stata usata per descriverlo, per provare a capirlo. Raccontare la sua morte, le sensazioni che sta generando, è l’ultima grande sfida di qualcuno che ha messo in discussione tutte le leggi possibili. Quelle umane, quelle divine, quelle della natura, della medicina, della logica, della gravità. Volando sempre un po’ più in alto. Allungando i limiti. Raggiungendo ciò che era impossibile per tutti.

Quelle parole che ora mancano per dipingerlo sono l’inizio di un immenso vuoto. Delle tante angosce che ci porta la morte del D10S, una delle più profonde è il silenzio insopportabile: ci stiamo rendendo conto che non ci sarà più una sua frase che ci faccia ridere. «In clinica c’è uno che si crede Robinson Crusoe e non credono che io sia Maradona!». «Blatter mi ama come un figlio. Come un figlio, sì ma di puttana». «Sono nato in un barrio privato. Privato di acqua, luce, gas e telefono». «Mi sarebbe piaciuto fare 2 gol al Loco Gatti, però adesso mi ha chiamato grassoccio e sono costretto a fargliene 4» (1980, due giorni prima del poker in Argentinos Juniors-Boca Juniors 5-3). Basta, è finito tutto.

E’ cominciato il DD, il Dopo Diego, ahinoi. Ci mancava il suo fútbol, certo, ma ci eravamo abituati e ci bastavano le immagini della tv o l’archivio del cuore. Diego aveva smesso da tempo di vestire i panni di calciatore sovrannaturale per trasfigurarsi in eroe, monumento alla rebeldìa, patrono dei poveri. Un Robin Hood con le frecce sulla lingua.

A Buenos Aires la gente è passata davanti al feretro formando un trenino che aveva la sua locomotiva lì, nella Casa Rosada, con l’ultimo vagone alla fine del mondo. Passano e qualcuno applaude, come nelle case senza campanello, come per svegliarlo da un pisolino che sarà infinito. Una siesta senza sogni perché si sta realizzando l’ultimo: unirsi a La Tota e a Don Diego, ormai consumato dal vivere senza di loro. Pochi metri più in là, fuori, sotto il sole di Plaza de Mayo, la gente straripa. Sì, straripa: una metafora della vita del D10S. C’è chi ride, chi piange, salta o canta. Perché no, non esiste un manuale per sopravvivere a un immenso dolore.

La veglia a Casa Rosada è onore più che meritato. Diego ha regalato all’Argentina gioie genuine, molto più di opportunisti e ladri di illusioni che sono passati e passeranno di lì. Diego è un’unica bandiera. E’ padre e figlio del calcio. Inconcepibile paradosso, il cuore al D10S non era mai mancato. Fosse giusto o sbagliato, ha sempre fatto ciò che dettavano i sentimenti, ben al di sopra della ragione. Un essere profondamente emotivo, da amore o odio. Grigio mai. Grasso o magro. Moro o biondo. Eroe o provocatore. Genio. Un autodidatta della vita protagonista della fine del secolo XX. Non l’assist a Caniggia contro il Brasile e nemmeno quello a Burruchaga contro la Germania in finale in Messico. Il passaggio del secolo è quello del 25 novembre 2020, quando ha deciso di andare ad occupare il trono che è sempre stato suo. Perché ci siamo sbagliati, tutti, per tanto tempo, ripetendo che Maradona era El Dios. Dio è Maradona.



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