Avremo la risposta il 12 agosto. Allora sapremo se da lì a un mese nelle scuole arriveranno i famosi (famigerati) banchi, quelli che dovrebbero consentire, una settimana più tardi, il suono della prima campanella per l’anno scolastico 2020/21. Per la ministra Lucia Azzolina sarà il redde rationem. «Il lavoro è impegnativo ma il 14 settembre la scuola riapre per tutti», assicura anche a Gente la responsabile dell’Istruzione.
Le famiglie fanno naturalmente il tifo per lei che, a 37 anni e dopo una breve esperienza prima da membro della Commissione cultura, ricerca e istruzione della Camera, quindi da sottosegretaria all’Istruzione, si gioca tutto proprio sui banchi. Perché? Semplice: le postazioni, parlando burocratese, sono la sola strada per garantire il metro di distanza fra le “rime buccali” degli alunni, cioè da bocca a bocca come abbiamo imparato traducendo il documento del Comitato tecnico scientifico che ha dettato le linee guida per una riapertura in sicurezza.
Quindi devono essere banchi singoli. Ma non basta. All’Istituto tecnico economico Enrico Tosi di Busto Arsizio (Varese), la preside Amanda Ferrario ha scoperto che i suoi 2 mila banchi singoli, vecchi di appena 4 anni, non andavano bene: «Erano troppo grandi», spiega a Gente. È una questione di centimetri: «Le nostre classi sono di 28-31 studenti, ma per rispettare il distanziamento avrei avuto spazio per 20 ragazzi». Non è la sola. «In base alle ultime stime non troveranno posto 600 mila studenti», ha calcolato il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli. Ecco perché tutto ruota attorno ai banchi. «Gli istituti ce ne hanno chiesti 2,4 milioni.
Oltre 750 mila sono per la scuola primaria, mentre 1,7 milioni sono i banchi richiesti per le secondarie, di cui oltre uno su quattro di tipo innovativo», spiega Azzolina. E qui si è scatenato il putiferio: perché la ministra, peccando forse di inesperienza, è comparsa in Tv seduta al fino ad allora sconosciuto banco innovativo: una postazione dai colori vivaci che si può spostare perché munita di rotelle e che ha una ribaltina sulla quale, parole della ministra, ci sta anche il mitico Rocci, il dizionario di greco che ha formato generazioni di studenti del Classico.
Il “banco semovente” è diventato nel fuoco di fila di critiche il “banco autoscontro”. «Non ho mai dovuto prendere un provvedimento disciplinare per uso “inappropriato” di questi banchi», sorride Alessandra Rucci, preside dell’istituto superiore Savoia Benincasa di Ancona. Racconta al nostro giornale che nel suo istituto le rotelle sono comparse nel 2013: «Vengono usati questi banchi nelle aule dove la lezione non è solo una spiegazione “frontale” davanti a una cattedra: gli studenti sono chiamati a formare gruppi di lavoro e l’aula cambia la disposizione a seconda delle esigenze». Ebbene, oggi quella stessa versatilità potrebbe permettere ai presidi di garantire un posto a tutti. «Ne avevamo un centinaio; a maggio ne abbiamo acquistati altri 300 e al ministero ne abbiamo richiesti 500; in più abbiamo comprato 500 sedute simili a quelle usate nei congressi.
I vecchi banchi sono finiti in due container-deposito», riassume la preside, impegnata da mesi in un elaborato gioco a incastri. C’è però un dettaglio: il prezzo. Le postazioni innovative costano. «Li vendiamo a circa 300 euro più Iva l’uno», dichiara Stefano Ghidini, titolare della C2 group, l’azienda che in Italia commercializza la versione originale, progettata una decina di anni fa da un collaboratore di Steve Jobs, il fondatore della Apple. «Su quella postazione ci sono 80 brevetti», spiega anche per giustificare i costi. Che, per l’appunto, non sono bassi visto che un banco tradizionale costerebbe meno di 100 euro. Senza considerare, altra polemica, che in Rete i banchi con le ruote arrivano a costare anche solo 30 euro. «Ci sono diverse tipologie e c’è un bando europeo in corso.
A speculare sono solo quelli che danno numeri a caso senza verificare, per creare confusione», taglia corto Azzolina. E dal ministero fanno notare come quel prezzo è il classico specchietto per le allodole: «Alla fine il costo è più alto, e senza fornire le certificazioni necessarie», dice un dirigente. Comunque sia è lo stesso Ghidini ad annunciare che non parteciperà alla gara. Infine, un altro punto. I tempi. «Sono troppo brevi», fa notare Emidio Salvatorelli, presidente di Vastarredo, una delle più grandi aziende di arredo scolastico. Salvatorelli fa un calcolo: alla gara si può partecipare offrendo lotti minimi di 200 mila pezzi, «ma per farli ci vuole un milione di chili di acciaio, pari a 33 autotreni di materiale da lavorare. Non credo che ci sia nessuno al mondo in grado di fare questo nei tempi stretti previsti dal bando».
Si è esagerato? Ne sarebbero bastati di meno? «La richiesta arriva dai dirigenti scolastici. Abbiamo chiesto scuola per scuola, e il numero dice che in questo Paese non si investe sugli arredi. Da trent’anni le scuole hanno gli stessi banchi», si sfoga la ministra. Comunque non c’è via d’uscita: senza nuovi banchi non c’è spazio per tutti. Staremo a vedere, anche perché la gara è europea e le aziende possono unire le forze per garantire la fornitura. Forse, con le scuole di fatto chiuse dal 23 febbraio, si sarebbe potuto iniziare prima? È il commissario Domenico Arcuri ad assumere il ruolo di difensore: «Il 22 giugno il Comitato tecnico scientifico ha dato le indicazioni per la ripresa della scuola; due giorni dopo ci è stato chiesto di ricercare sul mercato fino a 3 milioni di banchi. Il decreto per procedere all’acquisto è stato pubblicato il 16 luglio e 4 giorni dopo è stata bandita la gara». Rimane che a Busto Arsizio, dove la preside si era mossa autonomamente per tempo, il 20 luglio i nuovi banchi sufficienti per garantire un posto a tutti erano già stati consegnati.
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