Stiamo vivendo la terza guerra mondiale.Questo virus attacca ovunque. Non guarda in faccia nessuno. Il mondo intero ha in questo momento un unico nemico. Ed è un nemico invisibile». Così Albano Carrisi commenta su “Chi” il dramma di questi giorni. Ma poi aggiunge: «Non possiamo perdere la speranza. Dobbiamo essere vigili, prudenti ma anche coraggiosi, battaglieri e stringere forte l’arma della fede. La guerra contro la malattia la vinceremo e allora, il giorno in cui l’avremo sconfitta, farò una grande festa alla quale inviterò chiunque vorrà partecipare ». È un Al Bano impensierito, ma risoluto quello che raggiungiamo al telefono.
La sua voce è forte e decisa come sempre, ma anche offuscata da un velo di preoccupazione per la situazione attuale. «La cosa più assurda di questa epidemia», continua, «è che tuo fratello può diventare, senza volerlo, il tuo nemico. Un nemico involontario, ma non meno pericoloso». Il cantante è chiuso da settimane nella sua tenuta di Cellino San Marco, vicino a Brindisi. Trascorre l’isolamento con la compagna Loredana Lecciso e i figli avuti da lei, Jasmine e Albano jr. che è rientrato a casa dalla Svizzera, dove studia. «Con noi c’è anche Yari», aggiunge. «Mentre le altre mie figlie sono all’estero. Romina jr. è bloccata in Spagna e si potrà muovere solo quando sarà possibile viaggiare. Cristel invece vive a Zagabria con il marito e i loro bambini. Ma le sento ogni giorno e stanno tutti quanti bene», Gli chiedo come trascorre le sue giornate e mi risponde senza esitazione: «Sono tornato a fare il contadino.
Da mattina a sera sto all’aria aperta e sfogo la mia iperattività nei campi. Ho sempre avuto un grande amore per la terra, l’ho sempre considerata una fonte di energia pura. Ma da quando ho cominciato la carriera di cantante, più di 50 anni fa, non ho più smesso di girare il mondo. Cellino era una parentesi felice tra i viaggi e i concerti. Adesso invece mi ritrovo a vivere come quando ero ragazzo e andavo in campagna all’alba insieme con mio padre. Zappo, pianto fave e piselli, taglio la legna per fare il fuoco, lavoro nella vigna e la preparo alla raccolta che ci sarà tra qualche mese. Poto gli ulivi e anche loro hanno avuto la loro dose di epidemia a causa della xylella. Sto anche facendo esperimenti con le piante di pomodoro dell’anno scorso e sto ottenendo risultati straordinari.
Insomma, le tradizioni contadine della mia infanzia sono diventate il mio quotidiano. E mi sento rinnovato, vicino come non mai ai miei nonni, a mio padre, a mia madre che è scomparsa pochi mesi fa. Purtroppo la quarantena mi impedisce di andare al cimitero a trovare i miei genitori, di pregare sulla loro tomba. Questa è una ferita in più. Ma attraverso i gesti del lavorare con gli attrezzi agricoli, dell’usare la zappa, la scure o il trattore, della fatica fisica e del sudore sento i miei cari accanto. È una sensazione molto intensa». «In questo modo, mi prendo cura anche di me stesso», continua il cantante, «perché è come fare ginnastica all’aria aperta.
Cammino molto, almeno diecimila passi al giorno, soprattutto nel bosco della tenuta. Quello è davvero un luogo spirituale, una cattedrale di alberi. L’antidoto più efficace contro il male e la paura è la preghiera. E nel bosco, in mezzo ai lecci, alle querce, ai pini d’Aleppo, ai cespugli di lentisco e ai corbezzoli, alzo la mia preghiera a Dio. Questo bosco di 60 ettari che ha visto tutta le tappe della mia vita ora è il mio confidente.
È antico e molto importante perché è una delle ultime zone rimaste di quella che nel Medioevo era conosciuta come foresta Oritana, che ricopriva questo territorio. Il mio bisnonno, che faceva il carbonaio, veniva a lavorarci e così pure mio nonno. Io ci saltavo dentro con gli amici quando ero ragazzino perché era una specie di prova di coraggio. Si scavalcava il muro di recinzione e poi ci si inoltrava nel folto, camminando fino ad incontrare il muro dalla parte opposta. Lo faccio anche adesso, ogni giorno. E camminando vedo gli al beri, sento gli animali che si nascondono, scopro le loro tracce. Esseri che non sono stati attaccati dal virus. E allora rifletto sulla forza della vita che è sempre più potente di qualsiasi tragedia».
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