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Tim e Vodafone, idue colossi della telefonia mettono insieme le forze sul 5G



La «normalizzazione» di Tim, come l’ha definita Luigi Gubitosi, inizia dai numeri. Ieri il consiglio del gruppo telefonico ha approvato i conti del 2018, in cui è stata fatta pulizia per oltre 2,6 miliardi, chiusi con ricavi in crescita a 19,2 miliardi, un margine operativo lordo di 8,1 miliardi e un rosso di 1,4 miliardi dopo le svalutazioni. È il punto di partenza del percorso disegnato da Gubitosi nel nuovo piano strategico di Tim approvato ieri dal board (con i voti anche di Vivendi, al netto delle astensioni di Amos Genis e Arnaud de Puyfontane), che ha nell’immediato l’obiettivo di normalizzare il gruppo telefonico dopo il varo di quattro piani strategici in quattro anni da parte di tre diversi amministratori delegati.



La rete, elemento centrale della strategia, non solo di Gubitosi ma anche del governo, resta un capitolo aperto. Un «work in progress», almeno per la rete in fibra, che attraverso il confronto con Open Fiber dirà qual è la soluzione migliore per arrivare a costruire un’unica infrastruttura. Intanto, però, Tim fa un passo avanti decisivo sulla rete mobile alleandosi per il 5G con il principale concorrente, Vodafone. L’alleanza, su cui sta lavorando Mediobanca, non è una semplice collaborazione ma prevede un’integrazione in Inwit — in cui le due società avrebber0 quote paritetiche— delle torri di trasmissione di Vodafone, per la quale è stata avviata una trattativa in esclusiva. Una mossa che consentirà a ognuno dei due gruppi di ottimizzare gli investimenti sulla rete e accelerare il lancio del 5G.

Con 22 mila torri, Inwit diventerebbe l’operatore di rete leader nel mobile di nuova generazione. Per l’accordo sulla fibra con Open Fiber bisognerà invece aspettare. Il piano di Gubitosi si limita a fissare un principio: «La convergenza delle due reti porterebbe vantaggi a tutti gli stakeholders — è scritto nel comunicato diffuso da Tim —: le aziende coinvolte, il mercato, gli azionisti e il Paese intero che beneficerebbe di un’infrastruttura veloce e di avanguardia ». Al di là del tema infrastrutture, il nuovo piano di Tim segna una netta discontinuità rispetto a quello presentato un anno fa da Genish. Conoscendo probabilmente il mercato meglio del suo predecessore, Gubitosi ha fissato degli obiettivi più realistici. Il 2019 è visto come un anno di transizione in cui, insieme al varo di una nuova organizzazione e alla trasformazione dei processi per aumentare l’efficienza e le possibilità di raggiungere gli obiettivi, è previsto un taglio di costi che nel triennio sarà dell’ 8%.

Per quest’anno il piano di Tim indica una lieve contrazione dei risultati, destinati a migliorare nel biennio successivo in tutte le aree di business grazie all’ottimizzazione degli investimenti, alla migliore generazione di cassa e, più in generale, a un rilancio del business. Sono previsti 3 miliardi di investimenti l’anno e una diminuzione del debito a 22 miliardi (dagli attuali 25,3) al 2021. A breve potrebbe uscire dal perimetro Persidera, la società dei multiplex digitali, per la quale è arrivata un’offerta da F2i. Mentre per Sparkle è previsto un rilancio sotto la guida di un nuovo amministratore delegato che dovrebbe essere Mario Di Mauro, attuale chief strategy, innovation & quality officer di Tim. Per sapere se nei prossimi tre anni arriverà l’integrazione con Open Fiber bisognerà invece attendere l’esito del confronto in corso. Gli advisor (Vitale & C. e Rothschild per Tim, Jp Morgan e Unicredit per Open Fiber), stanno lavorando su diverse opzioni. Viste le poche risorse a disposizione, mettere insieme la cassa di Open Fiber con le competenze di Tim appare quasi una scelta obbligata.



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