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Testimone di Geova gay si racconta: bene parlarne e non vergognarsi



Le testimonianze di episodi e situazioni non troppo lusinghieri sono la voce di storie di gente comune. Che, spesso, vuole denunciare o semplicemente sensibilizzare. E questa è la storia di Massimo che non solo racconta il suo vissuto, ma lo fa con la speranza che i testimoni Geova possano capire.



Con la mia storia spero di aiutare chi ha passato o sta vivendo le mie stesse difficoltà. Vorrei dire ad un fedele con tendenze omosessuali di non sentirsi oppresso, di trovare il coraggio di parlarne”. E’ così che inizia il suo racconto. “Prima ero un predicatore omofobo e adesso collaboro per un telefono amico gay”.

Chi è Massimo

Massimo è un testimone di Geova. Anzi, lo è stato. Ma Massimo è gay. E, quando non lavora come impiegato presso un’azienda, è volontario al telefono amico Lgbt. “Quando andavo in predicazione porta a porta, mi capitava di incontrare qualche gay. In quei casi ripetevo i versetti della Bibbia e quanto avevo studiato nelle pubblicazioni dei testimoni di Geova, in cui si spiegava come combattere l’omosessualità”.

Nei suoi ricordi, molte le proibizioni. Dai film alle lettura, molto gli era vietato. “La pornografia era ovviamente proibita, ma altrettanto censurati erano anche quei film, come ad esempio quello sulla vita dello scrittore Oscar Wilde, o quei libri che potevano avere una tematica gay”.

Ma ci tiene a specificare che “Geova non giudicava le tendenze omosessuali, stava al fedele lottare contro i suoi desideri. Altro discorso era metterli in pratica. In quel caso diventava un vero e proprio peccato”. Sembrerebbe, dunque, una questione più orientata al credo di oggi. “Per i testimoni di Geova, non fa differenza siano etero o gay, è vietato l’atto sessuale al di fuori del matrimonio. Se gli anziani lo vengono a sapere scatta il comitato giudiziario che si può anche concludere, se c’è il pentimento, solo con un monito”. Così spiega quella che era sulla religione.

Accettazione

Accettare la mia sessualità è stato un percorso lungo e molto difficile. Ho scoperto di essere attratto da persone del mio stesso sesso quando ero adolescente. Pensavo fosse una cosa passeggera, perché consideravo sbagliata l’omosessualità, contraria ai miei insegnamenti religiosi”. E solo da adulto ha avuto l’ardire di compiere quel passo che, fino ad allora non era riuscito a compiere: ammettere a sè stesso e ai suoi di essere gay. “In tutto quel tempo, però, ho vissuto con un senso di oppressione perché continuavo a reprimermi”.

Esilio

I problemi iniziano quando Massimo, ormai ragazzo, inizia a frequentare i locali gay. Con lui, un altro ragazzo. Anche quest’ultimo testimone di Geova e omosessuale. Un’amicizia che gli costerà l’espulsione dalla congregazione. “Nel mio caso, sono stato disassociato non per immoralità sessuale, ossia per essere gay. Quanto piuttosto per condotta dissoluta, cioè per aver mantenuto contatti con questo amico, che nel frattempo era stato cacciato”.

Il trauma, dovuto non solo ad un esilio forzato, riguardava il dolore soprattutto arrecato alla propria madre. Quanto a suo padre: “Ricordo che mio padre ha chiamato gli anziani per chiedergli che mi riammettessero. Credo lo abbia fatto per proteggermi, perché aveva timore del mio orientamento sessuale”.

Una confessione, quella di Massimo, che ha il sapore della denuncia e della sensibilizzazione, dicevamo. Perchè, sebbene come lui stesso ci tiene a precisare “non tutti i fedeli, tuttavia, sono omofobi”, è pur vero che la sua storia non è un caso isolato. E questo genere di crescite personali, accompagnate da esili forzati inflitti a persone non volute sono casi spesso avvolti dal buio, dalla solitudine e dalla scarsa consapevolezza.



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