Sul set ce lo siamo detti più volte: la storia che recitavamo era così terribile e crudele che noi attori non potevamo fare altro che metterci al suo servizio. Dovevamo metterci a disposizione delle persone vere, di cui stavamo raccontando la sofferenza, la disperazione, l’ingiustizia subita».
A 61 anni appena compiuti, Enzo Decaro ha all’attivo una ventina di film e una trentina di serie tv. Ma dal tono con cui palla del suo ultimo lavoro si capisce che L’amore strappato, la fiction che da domenica 31 marzo riempirà la prima serata di Canale 5, nel suo curriculum e nel suo cuore ha già un posto particolare. «Sì, mi ha davvero turbato», racconta l’attore a “Spy”.
Preparatevi a soffrire e a commuovervi, insomma. Anche perché le tre puntate di L’amore strappato, diretto da Ricky Tognazzi e Simona Izzo, raccontano una storia accaduta veramente: la vicenda di una famiglia felice, la cui serenità d’improvviso viene spezzata da una falsa accusa di pedofilia. La calunnia trascina il padre in carcere e per 11 anni a lui e a sua moglie strappa anche la figlia bambina.
Liberamente ispirata al libro Rapita dalla giustizia (Rizzoli, 210 pagine, 12 euro), la storia che arriva su Canale 5 si è svolta a Milano tra il 1995 e il 2006. Ed è stata anche peggio di un sequestro: un’irreparabile ingiustizia. Perché la bimba, che nella realtà si chiama Angela (Arianna nella fiction), è stata chiusa in due centri d’affido temporaneo, dove ha molto sofferto, e poi è stata data in adozione a un’altra coppia. E tutto questo mentre in tribunale, al contrario, si dimostrava che il suo papà era innocente.
Nelle tre puntate della serie, gli occhi azzurri di Decaro si trasformeranno in quelli, disperati, di Rocco: il padre calunniato. Accanto a lui, una grande Sabrina Ferilli è Rosa, la madre-coraggio che si batte contro la giustizia impazzita per riavere con sé marito e figlia. Domanda. Decaro, non è il primo film in lui tej affronta casi importanti: per un attore è più difficile raccontare una storia vera? Risposta. «Dipende dalla storia. A volte ti limita, perché non ti permette di volare come vorresti. In questo caso, invece, la storia della bambina rapita dalla giustizia ci ha
costretto ad andare ancora più a fondo, dentro di noi. Sabrina e io siamo stati coinvolti. Moltissimo».
D. Lei e Sabrina Ferilli avevate già lavorato assieme, vero? R. «Sì. Ci conosciamo e ci vogliamo bene. E il rapporto positivo tra noi è stato fondamentale, perché abbiamo subito provato la stessa responsabilità: dovevamo raccontare questa storia, fatta di sentimenti così insoliti, con tanto rispetto per la coppia che l’aveva patita. Abbiamo avuto il desiderio di rammendare un sipario strappato. La voglia di creare qualcosa che per loro, alla fine, potesse rappresentare almeno un parziale risarcimento».
D. Lei è padre di tre figli: se mai le capitasse quel che è accaduto al suo personaggio, che cosa crede sarebbe capace di fare? R. «Quel che turba di questa storia è che è un errore giudiziario che può capitare a tutti. Per la fisicità del rapporto che ho sempre avuto con i miei figli, per esempio, io sono il prototipo del padre ingiustamente arrestabile. Che cosa avrei fatto io? Sarei diventato matto».
D. Lei ha incontrato il suo personaggio, il papà di Angela?
R. «Ci ho provato. Ha risposto che preferiva restare in disparte. Peccato. Gli avrei chiesto se aveva qualcosa da dire, se c’erano parole che non era mai riuscito a pronunciare: lo avrei fatto io al suo posto, gli avrei prestato la mia voce. Ma chissà, forse potremmo ancora farlo. Di questa storia io spero che si parlerà tanto. E a lungo».
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