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Riforma pensioni e Reddito di cittadinanza: applicazione Quota 100 al comparto scuola



I beneficiari di quota 100 saranno oltre 300.000 e sono queste le stime del governo, secondo cui la misura previdenziale che sarà approvata nei prossimi giorni darà la possibilità a migliaia di lavoratori di poter accedere a questa pensione prima di quanto previsto dalla riforma Fornero. Quota 100 è una delle misure più attesa di tutto l’impianto pensionistico e si presenta come quella misura che darà la possibilità di poter andare in pensione una volta maturati i tuoi requisiti ovvero quello anagrafico e quello contributivo. Nello specifico si parla di 62 anni di età anagrafica e 38 anni di contributi versati, ma ad ogni modo per conoscere bene tutti i dettagli della misura bisognerà attendere il decreto che arriverà sicuramente entro il prossimo 14 gennaio. Ciò che ci si chiede è come possano trovare applicazione questi requisiti richiesti per quota 100 nel comparto scuola, ovvero se si dovranno raggiungere i requisiti al 31 agosto oppure al 31 dicembre di ogni anno per poter usufruire della prima finestra utile, al primo settembre.



Nella bozza del decreto, che sarà approvata nei prossimi giorni dal Consiglio dei Ministri e che è stata resa pubblica nei giorni scorsi per il personale della scuola ed AFAM sembra che rimangono in vigore le disposizioni dell’articolo 59 comma 9 della legge numero 449 del 1997. Questo articolo della legge 449 recita in questo modo: “Per il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione dal servizio ha effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico e accademico, con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell’anno”.

Questo fa capire come effettivamente per il personale della scuola, il pensionamento al primo settembre sia possibile anche se per il computo dei mesi necessari ai fini dell’accesso tiene conto di settembre, ottobre, novembre, dicembre anche se non sono mesi in cui si è prestato effettivamente servizio, nel caso in cui però il pensionando maturi i requisiti per il pensionamento al 31 di dicembre. Rimane un punto interrogativo per quei dipendenti del comparto scuola che non avendo presentato domanda di cessazione di servizio a dicembre del 2018, per poter richiedere il pensionamento il prossimo primo settembre 2019, dovranno attendere delle indicazioni da parte del Miur.

I docenti purtroppo sarebbero stati tagliati fuori da quota 100, almeno questo è il grido di allarme da parte del coordinatore nazionale di Gilda degli insegnanti, ovvero Rino Di Meglio. Lo stesso sostiene che con l’allungamento delle tempistiche relative alla finestra ad essere stati tagliati fuori ad essere più penalizzati di tutti sono proprio i dipendenti pubblici, perché dovranno attendere il prossimo 2020 per poter andare in pensione.

I rom che riceveranno il reddito di cittadinanza saranno undicimila o più. Oltre il doppio di quanto stimato all’inizio, quindi. È un calcolo tuttora prudente: a cose fatte, probabilmente, ci si accorgerà che i numeri reali saranno più grandi. Collegata a questa novità c’è quella che riguarda gli immigrati, per i quali le maglie del provvedimento si fanno ancora più larghe. La bozza inviata nei giorni scorsi dal ministero del Lavoro alla presidenza del Consiglio stabiliva infatti che il titolare del sussidio dovesse essere «residente in Italia in via continuativa da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda». La regola è stata riscritta ieri a palazzo Chigi: il testo che dovrebbe essere approvato domani pomeriggio in consiglio dei ministri prevede ancora un decennio di residenza e il permesso di lungo soggiorno, ma il periodo trascorso nel nostro Paese in modo continuativo riguarda solo «gli ultimi due anni».

In poche parole, per gli stranieri comunitari ed extracomunitari sarà più facile ottenere soldi dallo Stato italiano. L’ampliamento della platea di rom e sinti ammessi al beneficio è figlio della decisione di Luigi Di Maio di includere gli immigrati. Scelta imposta, peraltro, dal diritto italiano e comunitario, sebbene il vicepremier fino a pochi giorni abbia finto che così non fosse. Ancora una volta è stato Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 luglio (finanziata dalla fondazione Open Society di George Soros, ma questa è un’altra storia), a fornire una stima approssimativa dell’impatto che la legge avrà sulle popolazioni di cui la sua organizzazione si prende cura.

Ad ottobre Stasolla aveva detto che i rom con la cittadinanza italiana «sono circa cinquemila. Sicuramente loro potranno usufruire del reddito di cittadinanza». Da allora ad oggi la prebenda è stata estesa ai non italiani, che rappresentano la gran parte della popolazione zingara in Italia. Così ieri, ospite di Radio Cusano Campus, il presidente della 21 luglio ha fornito le stime aggiornate: «Circa 10mila rom che vivono nei campi potrebbero ricevere il sussidio, poi ci sono quelli che vivono in case popolari. Molti mi hanno chiesto informazioni sul reddito di cittadinanza, aspettano di conoscere con certezza la misura per fare eventualmente domanda». Che la stima di 10-11mila sia bassa, lo dicono gli altri numeri.

I rom e sinti che vivono nelle baraccopoli italiane sono circa 26.000, dei quali solo il43%ha la cittadinanza italiana.Anche gli stranieri sono stanziali (chiamarli “nomadi” è un controsenso), tanto che tra loro ce ne sono ancora molti con il passaporto dell’ex Jugoslavia, venuti qui prima che lo Stato in cui erano nati si dissolvesse. Poi ci sono i romeni (i più numerosi) e i bulgari. E a quelli di loro residenti nei campi censiti vanno aggiunti i rom che vivono nelle case popolari e altrove. In tutto, il Consiglio d’Europa valuta tra i 120mila e i 180mila i rom, sinti e caminanti che vivono sul territorio italiano. Se uno su quattro di costoro chiedesse la carta ricaricabile finanziata ogni mese dal ministero del Tesoro, molti conti salterebbero.

Anche perché, avendo parametri Isee più bassi, zero proprietà e un numero di figli superiore in media a quello degli italiani, la loro paghetta di Stato sarà mediamente più alta. E dover dimostrare solo due anni di residenza continuativa in Italia, anziché dieci, renderà le cose più facili pure a molti di loro. Non piacerà a nessuno dei beneficiari, invece, il taglio al budget del reddito di cittadinanza deciso ieri e inserito nell’ultima versione del decreto. Dai 6.110 milioni di euro che il testo precedente stanziava per il 2019 si è scesi infatti a 5.974 milioni. Non cambia la platea prevista dal governo, ferma a quota 1.734.932 famiglie, e nemmeno l’inizio dell’operazione, confermato per aprile. Significa che ogni bonifico, in media, sarà di 382 anziché di 390 euro.



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