A distanza di 40 anni da “La casa dalle finestre che ridono”, Pupi Avati ha deciso di tornare con un nuovo horror. Il regista torna con “Il signor Diavolo”, che andrà in scena il prossimo 22 agosto al cinema. Stando a quanto riferito, si tratterebbe di una storia piuttosto inquietante, con le radici in bianco e nero e parla di un’ Italia anni 50, ovvero quella di Don Camillo e Peppone soltanto che non è affatto divertente ma è una storia piuttosto drammatica. Questa storia, intorno all’omicidio di un adolescente che è considerato dall’opinione pubblica un indemoniato. L’ispettore del ministero di Grazia e Giustizia, Furio Momentè parte per Venezia per leggere i verbali degli interrogatori. L’omicida si chiama Carlo ed è un quattordicenne che ha un amico di nome Paolino. La vita di questi due amici sembra piuttosto tranquilla, fino a quando non è arrivato Emilio un essere deforme figlio unico di una Possidente terriera, interpretata da Chiara Caselli.
Paolino per fare lo spavaldo e farsi bello, umilia Emilio pubblicamente suscitando la sua IRA. Emilio Infatti mette in mostra la sua dentatura da fiera. Succede che durante la cerimonia della prima comunione, Paolino mentre sta per ricevere l’ostia, viene spintonato da Emilio ed una particola cade al suolo costringendo Paolino a pestarla. Da lì nascono tutta una serie di eventi sconvolgenti che chiamano in causa sia il bene che il male, sia la menzogna che la verità, sia la chiesa ma anche il diavolo. Questo film è tratto dall’omonimo romanzo scritto dallo stesso Pupi Avati.
Lo scrittore e regista in nel corso di un’intervista ha raccontato come è nato questo film. “Quando scrivo la mia tastiera è come se avesse due modalità, modalità film e modalità libro. Se scrivo per il cinema innesto un’applicazione in cui tutti valori quantitativi vengono segnalati con un bip: 150 cavalieri pib, pib diventano sempre meno fino a che rientro nel budget. Se scrivo un romanzo invece l’applicazione la rimuovo e faccio come mi pare. In questa storia nel passaggio tra romanzo a film ho dovuto innestare l’applicazione soprattutto per quello che riguardava la vita di questo funzionario ministeriale nella Roma degli anni Cinquanta, che sarebbe stato troppo costoso ricostruire. Ciò che per me contava era che fosse un film gotico, padano, rurale, volevo rifare un cinema così, come lo avevo fatto tanti anni prima”. E’ questo il racconto di Pupi Avati sul come è avvenuto il passaggio dal romanzo al film.
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