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I meccanismi messi in gioco dal Reddito di cittadinanza sono maledettamente complessi e prevedono la condivisione di informazioni cruciali sui singoli beneficiari. Mac’è una tecnologia, quella della blockchain, che può risolvere la maggior parte dei problemi. Ne parliamo con Silvia Ciucciovino, professore ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università degli StudiRomaTre. Per verificare, innanzitutto, se vi siano esperienze utili in materia. «Sul tema », spiega la professoressa Ciucciovino, «stiamo organizzando un convegno che terremo al Cnel, il 25 febbraio, proprio per portare le prime sperimentazioni che sono state fatte da alcune università sui titoli di studio, dalla Corte deiConti sul controllo di legittimità degli atti amministrativi, dall’Inps sui trattamenti previdenziali all’estero. Senza dimenticare le sperimentazioni dell’Università di Palermo nella filiera alimentare». Dunque non mancano gli esempi a cui ispirarsi? «Non mancano, ma siamo quasi ovunque alla fase sperimentale ». E per il Reddito di cittadinanza? «Come gruppo interdisciplinare dell’Università diRomaTre abbiamo fatto due proposte all’Anpal, in tempi antecedenti il Reddito di cittadinanza. Una per gestire con questa tecnologia il fascicolo elettronico del lavoratore, con un sistema di certificazione progressiva di tutti i mattoncini che compongono l’identità professionale del lavoratore nel mercato, ma con caratteri di certezza e trasparenza. Una rivoluzione copernicana. La seconda proposta era invece per gestire l’assegno di ricollocazione ». La blockchain è assurta agli onori delle cronache con le criptovalute. Che differenza c’è con quella che si potrebbe applicare alla misura appena varata dal governo? «Nel caso del Bitcoin e delle altre valute digitali si tratta di una blockchain senza permessi in cui tutti possono partecipare e vedere tutto. Nel nostro caso, invece, abbiano a che fare con dati della pubblica amministrazione per cui tutti i nodi della catena devono essere autorizzati da un’autorità centrale». Ad esempio l’Anpal? «Certamente». Ma le norme appena approvate sul Reddito di cittadinanza prevedono qualcosa di simile? «Non mi sembra che ci sia molto dei registri distribuiti che invece rappresentano l’elemento portante della blockchain in modo tale, ad esempio, che l’Inps possa vedere tutti i dati del singolo centro per l’impiego, le associazioni datori ali che assumono possano vedere tutti i dati dell’Inps e dei centri per l’impiego… Tutti hanno una rappresentazione dei dati condivisi dal proprio database. L’idea del registro distribuito, appunto ». Per semplificare, dunque, la blockchain potrebbe essere un toccasana per il reddito di cittadinanza? «Sarebbe la soluzione delle soluzioni, soprattutto per quel che riguarda la verifica dei requisiti soggettivi e dei comportamenti dei beneficiari che rappresenta un aspetto molto rilevante per verificare il diritto a percepire la misura ». Di quali informazioni parliamo? Chi le detiene? «In parte l’Inps, in parte l’Agenzia delle Entrate e poi i centri per l’impiego, i registri automobilistici e addirittura quelli navali per verificare il possesso di autoveicoli e imbarcazioni». Con quale obiettivo? «Superare la pura e semplice autocertificazione da parte dei destinatari ». Mail decreto non prevede già che Inps e centri per l’impiego debbano condividere tutte le informazioni sui singoli beneficiari? «A una prima lettura del decreto non si direbbe. Parrebbe che sia prevista la comunicazione e non la condivisione di base dati. Oltre ai requisiti i registri distribuiti sarebbero utilissimi anche per verificare i comportamenti delle persone beneficiarie del Reddito di cittadinanza». I comportamenti? In che senso? «L’offerta di lavoro che dovrà essere formulata al disoccupato verrà registrata dal centro per l’impiego. Qualora il destinatario la rifiuti, l’informazione sul diniego dovrebbe essere accessibile all’Inps che potrebbe ridurre o sospendere l’erogazione del trattamento in modo automatico, grazie a un algoritmo caratteristico della blockchain. Invece, al momento non è previsto un sistema di condivisione delle informazioni e tutto sarebbe affidato alla vigilanza degli ispettori del lavoro».



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