Pensioni Ultime notizie, Quota 100 e pensione di vecchiaia: chi ci guadagna e quanto si perde



Si continua a parlare di quota 100 e nello specifico ci si chiede se effettivamente sia una misura conveniente oppure se è meglio uscire una volta maturati i requisiti per la pensione di vecchiaia.



La risposta è soggettiva e varia da caso a caso. Il governo continua a ribadire che quota 100 è una misura che non ha alcun limite ne penalizzazioni, anche se effettivamente una ci sarebbero ovvero quella del cumulo con reddito da lavoro. Questa penalizzazione è insita nel beneficiario nel senso che coloro che decideranno di uscire dal mondo del lavoro con quota 100 volontariamente, sicuramente percepiranno un assegno più basso. Coloro che rientrano al lavoro fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia, prenderanno un assegno più sostanzioso semplicemente perché avranno versato più contributi.

Quota 100 non è una misura penalizzate, ma effettivamente si percepisce un assegno più basso, proprio perché sono meno gli anni di contributi versati. Rimane comunque il fatto che il requisito minimo per poter accedere a Quota 100, ammonta a 38 anni di contributi. Come sappiamo, il requisito minimo per poter accedere a quota 100 ammonta a 38 anni di contributi e non sarà una quota 100 pura dove si potranno semplicemente sommare l’età anagrafica e contributiva per arrivare a 100, ma bisognerà avere 62 anni di età e soprattutto 38 anni di contributi. Si tratta di un requisito piuttosto importante soprattutto per alcune categorie di lavoratori, come per chi ha avuto delle carriere discontinue. Le donne invece si potranno consolare con un’altra misura ovvero Opzione donna che darà la possibilità di poter uscire dal mondo del lavoro con un requisito anagrafico minore, ma bisognerà avere comunque un minimo di 35 anni di contributi maturati.

Tornando a Quota 100, quindi non si parla comunque di vere e  proprie penalizzazioni, ma effettivamente si percepisce un assegno più basso, proprio perché minori sono gli anni di contributi versati. Ad ogni modo però, Quota 100 non è una misura obbligatoria ma facoltativa e quindi sarà soltanto il lavoratore a scegliere se usufruirne o meno.

Facendo un esempio pratico, un lavoratore dipendente classe 1958 che guadagna circa €2000 al mese, nel caso in cui questo decide di uscire con la pensione di vecchiaia, dovrebbe aspettare fino al 2023, ovvero quando avrà compiuto 67 anni e 7 mesi. In alternativa può decidere di uscire con quota 100 e quindi cinque anni e 4 mesi prima, ma questa scelta avrà sicuramente un costo. Con quota 100 si percepire un assegno mensile pari a €1244, mentre nel caso in cui dovesse uscire con la pensione di vecchiaia incasserà €1761 con una perdita totale che ammonta a €517 al mese.

Il ripristino del sistema delle quote Quello di quota 100 è il provvedimento forse più chiacchierato anche perché potrebbe portare una popolazione di diverse decine di migliaia di soggetti ad una possibilità di pensionamento inaspettata. Cancellato dalla riforma Fornero, questo sistema per l’accesso alla pensione anticipata fino al 2011 permetteva di accedere al trattamento di anzianità a patto che la somma di età anagrafica e anzianità contributiva desse la quota in vigore in quell’anno; anche in quel momento dovevano necessariamente e contemporaneamente verificarsi un’età minima e un’anzianità utile. Pare che dal 2019 i due numeri magici siano 62 (anni) e 38 (contributi). Ritornando a quanto in vigore fino al 2011 aggiungiamo che:

• Dal raggiungimento del diritto al pagamento dell’assegno era necessario attendere la finestra di scorrimento (il pagamento era posticipato di un anno)

• La quota valeva solo per i lavoratori che sommavano la contribuzione nella gestione ordinaria (con differenziazione fra dipendenti e autonomi)

• Era necessario avere almeno 35 anni di contributi da lavoro, con esclusione quindi di quelli figurativi

• Non erano compresi i contribuenti che oggi possono avvalersi del cumulo. Indubbiamente la strada è tracciata, vedremo se, in sede di approvazione della legge e di scrittura delle circolari attuative qualche piccolo ostacolo all’applicazione pura e semplice della quota verrà posto. Sulla eventuale penalizzazione sappiamo per certo che una sarà “naturale”: diversi anni di contributi non versati e un coefficiente di trasformazione legato all’età più basso (poiché la pensione verrà pagata per più anni) daranno come risultato una pensione più magra rispetto all’atteso.

Opzione donna Altro argomento caldo e che avrebbe un impatto decisamente importante sulla popolazione in uscita è l’eventuale ripristino della cosiddetta “opzione donna”. “Quota 100” fra opportunità e dubbi applicativi di mario verità Consulente Previdenziale

Anche per questa fattispecie ci rifacciamo alla precedente applicazione che si è fermata al 2015. In pratica tutte le donne che avessero compiuto – al 31/12/2015 – 57 anni (+3 mesi per effetto dell’aumento
dell’aspettativa di vita) e che avessero anzianità contributiva pari ad almeno 35 anni da lavoro con esclusione quindi di alcune fattispecie di figurativi, accedevano, su domanda, al trattamento pensionistico.
In questo caso, così come per la quota 100, la convenienza di uscita è da valutare caso per caso: di quanto il calcolo contributivo penalizza il pensionando?
Ma di quanti anni si avvantaggia lo stesso? E sopratutto non è possibile generalizzare il calcolo del gap
che dipende dalle retribuzioni, dal loro andamento,
dai periodi di contribuzione ecc.

Tagli alle pensioni d’oro

Questo argomento è ancor più insidioso dei precedenti. Teoricamente è anche quello di più facile attuazione perché si parla di togliere qualcosa. Il punto
cruciale è come… fra le ipotesi c’è il blocco degli adeguamenti al costo della vita, ma sappiamo che già
qualche anno fa l’Inps aveva dovuto restituire il
mancato aumento degli assegni ricalcolando quanto
non era stato versato per effetto del blocco voluto dal
governo Monti. È da escludere un aumento dell’aliquota Irpef perché sarebbe da applicarsi anche ai
redditi delle persone fisiche in genere.
Potrebbe essere che sia un nuovo contributo di solidarietà…anche se la via più equa, a mio parere, sarebbe quella di applicare questo ulteriore contributo
alla differenza che si è generata tra il calcolo misto e
il calcolo interamente contributivo. Ma sarebbe piuttosto complicato e richiederebbe un ricalcolo di tutte le pensioni in pagamento o quasi.



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