Contrariamente alla tradizione, l’anno 2019 chiude con tre buone notizie per i pensionati. La prima riguarda la rivalutazione dei loro assegni che, dopo 10 anni di continui tagli, inverte la rotta: dal 1° gennaio 2020 le pensioni comprese tra 1.540 e 2.052 euro mensili riceveranno una rivalutazione più favorevole rispetto al passato, cioè pari al 100% del tasso Istat (0,4 per cento), mentre fino a quest’anno l’hanno ricevuta al 97%. Si tratta di pochi spiccioli, circa 50 centesimi di aumento, ma è favorevolmente accolta almeno la volontà del cambio di marcia sul lato operativo (cioè il fatto che non ci siano stati nuovi tagli).
Bloccato l’aumento dell’età pensionabile
La seconda buona notizia, più che i pensionati, interessa quanti hanno in programma di mettersi a riposo nei prossimi anni: dal 1° gennaio 2021 non ci sarà alcun aumento dell’età di pensionamento, come invece era atteso. Non ci sarà perché l’Istat ha registrato una variazione irrisoria della “speranza di vita” (pari a 0,025), cioè tale da non produrre effetti modificativi ai requisiti anagrafici di pensionamento. Ecco, dunque, la buona notizia. In soli cinque anni l’età per la pensione si è allontanata di 11 mesi (5 mesi solo da gennaio 2019, che si sono aggiunti ai 4 mesi dal 2016 e ai due dal 2013). Fino al 31 dicembre 2012 la pensione di vecchiaia si riceveva a 66 anni gli uomini e 62 anni le donne. Ora è stata prevista una tregua di quattro anni, dal 2019 al 2022, durante i quali l’età pensionabile resterà stabile a 67 anni, come oggi. Per l’età della pensione di vecchiaia e quella per l’assegno sociale la prossima verifica della speranza di vita ci sarà dal 1° gennaio 2023. Si intuisce naturalmente che la novità va a favore soprattutto di coloro che compiranno 67 anni negli anni 2021 e 2022, i quali non dovranno lavorare “qualche mese in più”, come è probabile che avessero immaginato proprio valutando l’impatto della speranza di vita che ci sarebbe stato (e che, invece, non ci sarà).
Riunificazione contributi anche per i professinisti
Altra novità positiva, che s’inserisce nel quadro delle possibilità previste dal sistema previdenza di riunificare i contributi versati in diverse gestioni a motivo di diversi lavori svolti, è arrivata dalla giurisprudenza. La Corte di cassazione ha affermato che i liberi professionisti possono far ricorso alla ricongiunzione dei contributi, anche per unificare quelli versati nella gestione separata dell’Inps con quelli pagati alle casse di previdenza professionali. L’operazione, su cui ancora si attendono le istruzioni operative, finora (dal 1996) è stata sempre vietata dall’Inps.
Pensioni d’oro: adeguamento del ticket
Infine, ogni anno il complesso sistema previdenziale produce altre novità in base all’inflazione. Infatti, il tasso fissato dall’Istat (1,1% quello definitivo per l’anno 2019 e 0,4% quello provvisorio per l’anno 2020), oltre a rivalutare gli importi delle pensioni, fissando pure quelli del trattamento minimo di pensione e dell’assegno sociale, adegua gli scaglioni previsti per il ticket sulle pensioni d’oro vigente nel 2019/2023 (nel 2019 si è applicato alle pensioni oltre 100mila euro annui, nel 2020 si applicherà alle pensioni superiori a 100.400 euro annui) e ridetermina i limiti per il calcolo delle pensioni secondo le regole retributive (c.d. tetti annui di retribuzione pensionabile) e contributive (c.d. massimale contributivo annuo). Esaminiamo dunque, il quadro generale delle regole delle pensioni 2020, partendo appunto dalle novità.
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