Gli ingegneri percorrono lunghi corridoi, tenendo sotto braccio relazioni e cartellette con disegni tecnici. Alle pareti, poster di pianeti e satelliti artificiali. Le riunioni si succedono a ritmo incalzante, a ogni ora del giorno. Spesso in teleconferenza con gli Stati Uniti. Siamo all’Estec, il centro di ricerca dell’Agenzia spaziale europea (Esa) a Noordwijk, sulla costa olandese. In questo enorme – e sorvegliatissimo – complesso di edifici bianchi, grigi e marroni, migliaia d’esperti d’ogni nazione progettano, coi colleghi della Nasa, le future missioni per la Luna. Con un fermento che non si vedeva dai tempi delle missioni Apollo. Il conto alla rovescia, infatti, è iniziato: il 2019 non è solo il 50° anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna. Potrebbe essere l’anno cruciale per la ripresa delle esplorazioni umane sul nostro satellite naturale, se i governi di Europa e Usa metteranno sul piatto gli stanziamenti necessari alle missioni: in tutto, oltre 65 miliardi di dollari.
IL FUTURO SU DUE TAVOLI Il prossimo autunno, infatti, la nuova era dell’esplorazione lunare si giocherà su due tavoli: a fine ottobre, il Congresso degli Usa dovrà approvare il budget della Nasa. E, il 27 novembre, l’Europa farà lo stesso col consiglio interministeriale dell’Esa a Siviglia. I due appuntamenti sono legati. Sul tavolo, i finanziamenti ai progetti che riporteranno l’uomo sulla Luna: potranno partire solo se gli Usa vorranno trainare l’esplorazione spaziale. Mentre nel 2010 Barack Obama aveva cancellato il programma “Constellation” di Geor ge W. Bush (missioni su Luna e Marte), Donald Trump ha dato nuovo impulso allo spazio autorizzando un programma “sostenibile” di ritorno alla Luna. In epoca di crisi economica e tagli ai budget pubblici, l’imperativo è limare i costi, cedendo parti delle missioni ai privati (v. articolo precedente). Il Congresso degli Usa è perciò a un bivio: se deciderà di risparmiare fondi pubblici, rischia di cedere il ruolo di protagonista, e le risorse lunari, alla Cina. Ma cosa prevedono i piani di Nasa ed Esa? L’obiettivo finale è la base lunare orbitante, che ospiterà 4 astronauti a 1.500 km di distanza dal suolo lunare (v. scheda). E, in prospettiva, la costruzione di una base permanente (v. prossima pag.). Ma per arrivare a questi obiettivi c’è una lunga tabella di marcia. Per assemblare la nuova stazione spaziale, infatti, occorre ultimare due progetti già avviati. Primo, sviluppare un lanciatore in grado di inviare in orbita i suoi 7 moduli: lo Space launch system (Sls). E ultimare la costruzione della capsula Orion, il taxi spaziale fra la Terra e la stazione orbitante (costo: 20 miliardi di dollari). «Nella sua versione finale, il nuovo lanciatore Sls sarà il più potente mai costruito», spiega Marco Caporicci, responsabile dei trasporti spaziali alla Direzione dell’esplorazione di Estec. «Questo razzo (v. alla prossima pag.) è una riedizione aggiornata e più efficiente dell’Ares V di Constellation e derivato dalle tecnologie dello Shuttle: avrà i booster laterali e 4 motori delle missioni Shuttle. I progressi stanno nell’elettronica, nell’informatica, nei sensori e nei materiali compositi. Le esplorazioni spaziali, infatti, devono essere un mix di innovazione e di tradizione: lanciare elementi mai testati nello spazio significa aggiungere nuove incognite alle missioni. E questo non è mai auspicabile ».
RICAMBI VIA EMAIL Il lanciatore, che costerà 30 miliardi di dollari (più 7,5 per infrastrutture di lancio), sarà testato senza uomini nel 2020, e con equipaggio nel 2023. Con questo volo, i 4 astronauti sulla Orion oltrepasseranno la faccia nascosta della Luna, orbitando a 8.890 km dalla sua superficie. Sarà il punto più lontano raggiunto dall’uomo nello spazio (il precedente record, 524 km di distanza, fu raggiunto nel 1970 dall’Apollo 13). Quest’orbita servirà a rientrare a Terra alla massima accelerazione, sottoponendo la capsula alle altissime temperature causate dall’attrito con l’atmosfera. Il modulo di servizio della Orion, quello che fornisce le spinte per entrare e uscire dall’orbita lunare, è stato costruito dall’Esa e inviato alla Nasa a novembre. Poi, se Nasa ed Esa riceveranno gli stanziamenti, inizierà l’assemblaggio della stazione orbitante, pronta nel 2026 a un costo di 7,5 miliardi di dollari. «Sarà una versione più piccola, leggera ed economica dell’attuale Stazione spaziale internazionale », spiega Tommaso Ghidini, capo della divisione strutture, meccanismi e materiali all’Estec. «Ma con diverse novità: stiamo studiando nuovi materiali per la schermatura dalle radiazioni spaziali, come l’acqua e alcune plastiche. Sarà potenziata l’intelligenza artificiale per i controlli dei sistemi di bordo. E prevediamo stampanti 3D per riparare in orbita i componenti, in plastica o metallo, necessari alla stazione. Per sostituire un pezzo basterà inviare da Terra un’email con il progetto». Ma che senso ha riproporre una stazione orbitante, seppur in versione ridotta, nell’orbita lunare invece che in quella terrestre? «Sarà come avere una stazione di servizio per la Luna», risponde Ghidini. «Qui attraccheranno le sonde robotiche coi campioni di roccia prelevati sulla Luna. La stazione potrà dare supporto logistico per la realizzazione della base lunare. E, in prospettiva, potrà conservare idrogeno e ossigeno liquidi estratti sulla Luna, per rifornire le future missioni verso Marte. Ecco perché la stazione è chiamata “portale”: permetterà l’accesso allo spazio profondo». La prima tappa di questo portale è proprio la Luna, dove l’Esa vorrebbe rea lizzare un avamposto stabile. Un progetto irto di difficoltà. Vivere sulla Luna significa rimanere esposti a radiazioni pericolose, alla caduta di meteoriti e a temperature che oscillano dai +127 °C nelle zone illuminate a -173 °C in quelle buie. Muovendosi in un ambiente che ha solo ⅙ della gravità terrestre, e nel vuoto (la Luna non ha atmosfera). «Per risolvere queste difficoltà, potremo inviare sulla Luna grandi stampanti 3D capaci di costruire igloo sfruttando la regolite», spiega Ghidini. «Usando uno specchio solare, si possono raggiungere i 1.100 °C e fondere la regolite per modellarla. Questi strati si accumulano creando mattoni che, una volta solidificati, sono il 20% più resistenti del cemento. L’abbiamo già testato in una cava vicino a Colonia (Germania), usando una roccia vulcanica simile alla regolite. Per assemblare un igloo da 6 abitanti si stima occorrano circa 6 mesi». Ma sul villaggio lunare restano ancora molte incognite. Come alimentare escavatori e camion che dovranno caricare quintali di rocce lunari? Come produrre, trasportare e stoccare l’energia e l’acqua? E come proteggere gli astronauti dalle polveri di regolite, molto abrasive?
UNA NUOVA TERRA «I problemi da risolvere sono molti, ma superabili: ci stanno lavorando migliaia di esperti in tutto il mondo», risponde Ghidini. «Al momento il villaggio lunare è un concetto, non una missione: non ha ancora un budget. Ma è fondamentale realizzarlo, con le agenzie spaziali di tutto il mondo: tornare sulla Luna ci porterà molti più brevetti di quelli ottenuti con le missioni Apollo. E, soprattutto, ci permetterà di testare le tecnologie per vivere su un altro pianeta, a una distanza che permette un rapido rientro in caso d’emergenza. Stiamo imparando a costruire case che riciclano aria, acqua, rifiuti, sfruttando le rocce del terreno su cui sorgono. Stiamo sviluppando protezioni dalle radiazioni spaziali. Abbiamo stampanti 3D capaci di realizzare pelle e ossa umane e, fra non molto, organi. La ricerca sulla protezione dai micrometeoriti, che precipitano sulla Luna a decine di migliaia di km orari, ci darà aerei e giubbotti antiproiettile più resistenti». Ma oltre alle ricadute tecnologiche, per Ghidini la base lunare può essere la prima tappa verso la colonizzazione dello spazio. «Se non facciamo qualcosa subito, sarà sempre più difficile vivere sulla Terra: stiamo inquinando l’ambiente, modificando localmente il clima ed esaurendo le risorse. Dobbiamo abituarci all’idea di stabilirci su una nuova Terra, diventando una specie multiplanetaria. La Luna può essere il primo passo, dato che è vicina a noi; ma non ha atmosfera, e ha una gravità troppo debole per trattenerla. Così alcuni scienziati pensano di rendere vivibile la rarefatta atmosfera di Marte. Potrebbe diventare abitabile in 200 o mille anni: il tempo necessario per far sciogliere le sue riserve d’acqua ghiacciata e immettere ossigeno nell’aria facendovi crescere la vegetazione». Fantascienza? «No», risponde Ghidini, «l’Esa sta già sviluppando le tecnologie necessarie per la Luna e Marte, firmando i contratti preliminari per la loro realizzazione. Noi ci stiamo preparando: ora tocca alla politica decidere. E aggiungere un nuovo futuro per l’umanità».
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