«Niente da festeggiare», commentava ieri sera Matteo Salvini dopo aver appreso che Tiziano Renzi e la moglie Laura Bovoli (padre e madre di Matteo Renzi, se serve dirlo) erano agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta e false fatturazioni. Siamo al punto che occorre specificare, in Italia, che tu non festeggerai il fatto che i genitori di un avversario politico sono stati arrestati: forse perché è quello che vorrebbero sentirti dire, forse perché è quello a cui la lotta politica ci ha abituato. Poi c’è questa: «Da figlio, sono dispiaciuto per aver costretto le persone che mi hanno messo al mondo a vivere questa umiliazione immeritata e ingiustificata», commentava invece Matteo Renzi, che sempre ieri sera stava per presentare un libro nel torinese quando ha appreso la notizia.
Non fosse stato chiaro, l’ha spiegato meglio: «Se non avessi fatto politica, la mia famiglia non sarebbe stata sommersa dal fango, se non avessi cercato di cambiare questo paese, i miei genitori oggi sarebbero tranquillamente in pensione». Si può credere anche sinceramente questo, in Italia: dopo decenni di indagini che si sono espanse anche sulle famiglie di chiunque fosse politicamente esposto, beh, è difficile sostenere che quello di Matteo Renzi sia stato uno sfogo a caldo. In ogni caso, poi, a freddo, su Facebook, Renzi junior non ha potuto che scrivere quello che parrebbe ovvio, e poi non lo è mai: «Arriveranno le sentenze e vedremo se questi due cittadini settantenni, incensurati, sono davvero i pericolosi criminali che meritano questo provvedimento». E vediamolo, il provvedimento. Il gip di Firenze ha autorizzato le richieste di custodia cautelare per bancarotta fraudolenta e, a esser precisi, per «emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti », accusa rivolta anche a un imprenditore di Campo Ligure (Genova) che si chiama Gian Franco Massone e che coi genitori di Renzi, da vicepresidente, aveva amministrato tre società cooperative due delle quali dichiarate fallite.
Da una parte ci sarebbe l’emissione di fatture per operazioni inesistenti all’interno di una delle società (questo tra il 2013 e il 2018) e dall’altra la bancarotta fraudolenta che sarebbe stata commessa per altre due cooperative (2010 e 2013). Dopodiché, di getto, le domande sono sempre le stesse: gli arresti (che restano arresti, benché domiciliari) erano necessari? Difficile da valutare, di getto. E ancora più difficile è valutare perché li abbiano fatti ora e non in altra data. Il procuratore fiorentino Giuseppe Creazzo (che conduce l’indagine assieme all’aggiunto Luca Turco e al pm Christine Von Borries) ha addotto il classico rischio di reiterazione del reato nonché il rischio di inquinamento delle prove, escludendo solo il terzo motivo che giustificherebbe un arresto: la fuga. Sul pericolo di inquinamento delle prove, nulla sappiamo. Non sappiamo, cioè, se qualche manovra dei coniugi Renzi abbia indotto il pm a chiedere gli arresti proprio ora o – non ci stupirebbe – se provvedimenti poggino su un margine di discrezionalità.
Di certo c’è che secondo i pmi due coniugi arrestati avrebbero provocato appositamente il fallimento di tre cooperative (con dolo, si dice) dopo averne svuotato le casse e mettendosi da parte un numero imprecisato di milioni di euro: si parla di aziende tutte collegate alla società di famiglia (la «Eventi 6») che era già finita sotto indagine proprio per una gestione che pareva non chiara e per dei soldi che non si trovavano più. Come erano spuntati, questi soldi? «Gli indagati cagionavano il fallimento della società per effetto di operazione dolosa consistita nell’aver omesso sistematicamente di versare i contributi previdenziali e le imposte». Così l’accusa. L’altra cosa certa è che l’indagine non è nata ieri: il primo a indagare era stato un pm di Cuneo che aveva fatto accertamenti sulla società «Direkta» (una srl) e che poi aveva trasferito gli atti a Firenze perché risultavano rapporti con la società dei Renzi: e ora risultano indagate altre 5 persone, oltre ai Renzi, tra le quali Roberto Bargilli, che qualcuno ricorderà perché nel 2012 aveva guidato il camper di Matteo durante le primarie. Tuttavia è dall’autunno scorso che la documentazione acquisita presso la «Eventi 6» aveva portato alle cooperative svuotate (che si chiamano «Delivery», «Europe service» e «Marmodiv») le quali, dopo perquisizione, e dopo l’analisi di contratti e fatture e libri contabili, solo ora hanno infine convinto i magistrati ad arrestare i Renzi. Il rischio di reiterazione del reato sarebbe legato al fatto che a tutt’oggi queste cooperative «non hanno alcuna vita sociale», si legge nel provvedimento, anzi, «vengono costituite soltanto come schermo per altri affari». «Arriveranno le sentenze», scriveva Matteo Renzi ieri sera. Le carriere politiche, intanto, rischiano di essere già arrivate.
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