Ben presto si potrà dire addio alla mammografia, perché questa sarà sostituita da un test del sangue che avrà più o meno la stessa funzione. E’ in arrivo quindi un test del sangue che sarà in grado di fornire una diagnosi del tumore al seno.
Si tratta di una scoperta davvero molto interessante e destinata a rivoluzionare il campo della medicina e la prevenzione in campo oncologico. Questa ricerca è stata messa a punto da un team di ricerca di Heidelberg. Questo nuovo test, che è stato considerato davvero sensazionale, poi sarebbe in grado di dare delle indicazioni riguardo lo stesso grado di probabilità di una mammografia. Quest’ultima è destinata a scomparire o per meglio dire ad essere sostituita da questo semplice test del sangue.
I ricercatori sostengono che il test avrà la stessa percentuale di validità e questi risultati sorprendenti sono arrivati dopo che gli esperti hanno esaminato ben 650 donne, metà delle quali erano malate e l’altra metà invece no. I risultati sarebbero stati davvero così tanto sorprendenti da far sì che si possa ipotizzare che la fastidiosissima mammografia possa essere superata. Ovviamente dovrà essere comunque studiato e testato, prima che si possa dire che è completamente valido, ma al momento i ricercatori sono davvero certi che abbia lo stesso grado di probabilità di una mammografia.
Mammografia, cos’è e perché è così dolorosa
La mammografia è un esame è davvero molto fastidioso oltre che in molti casi doloroso tanto che molte donne preferiscono evitare anche se effettivamente ad oggi questo è il metodo più sicuro per poter diagnosticare il tumore al seno almeno nella fase iniziale. A differenza della situazione clinica che va di individuare lesioni di dimensioni superiore, la mammografia va ad identificare lesioni anche molto piccole, che al momento non sono palpabili. Tutti sostengono che questo test sia piuttosto doloroso, anche se effettivamente il dolore provato è molto soggettivo e varia da donna a donna.
Nuovo test per diagnostica il cancro al seno
Questo nuovo test del sangue innovativo è piuttosto semplice e soprattutto indolore. La procedura richiede soltanto qualche goccia di sangue e si basa effettivamente sul controllo di alcuni biomarcatori in presenza del tumore. Gli scienziati hanno spiegato di aver analizzato il sangue delle donne malate di tumore e di avere rilevato quindi la presenza di 15 diversi biomarcatori, grazie ai quali poi è stato possibile attivare la presenza dei Tumori, anche quelli più piccoli. “Quanto il test sia sicuro nella prassi, si dovrà verificare in studi più ampi”, hanno spiegato i ricercatori intervistati dal tabloid. “I nostri risultati si basano sui test a 650 donne, la metà delle quali era ammalata, l’altra no“, hanno aggiunto.
Nella cura del tumore al seno, ovviamente, conta molto l’esperienza, la competenza e l’umanità dell’equipe dei medici e degli infermieri cui si affida la propria guarigione. Ma anche la tecnologia ha la sua importanza. Tre esempi valgono per tutti.
La biopsia del linfonodo sentinella. Con questo termine si indica una procedura che viene svolta durante l’intervento chirurgico e che permette di analizzare il linfonodo ascellare più vicino al tumore. Esso si chiama sentinella perché segnala la presenza o meno di cellule maligne al di fuori della mammella: se è sano, non occorre proseguire l’intervento chirurgico, se il sentinella è malato bisogna togliere anche gli altri linfonodi dell’ascella. Se si può essere operate solo in un centro che non dispone di questa tecnologia non è la fine del mondo, naturalmente (per 100 anni si è fatto così!) ma se potete beneficiarne allora è meglio perché evitate il rischio di farvi togliere linfonodi sani che possono continuare a fare il loro lavoro di difesa immunitaria.
La centratura radioguidata dei tumori non palpabili. La diffusione della mammografia ha fatto sì che in certe zone geografiche quasi un quarto dei tumori siano diagnosticati in fase non palpabile. Perché il chirurgo possa operarli con successo occorre quindi che essi siano “centrati’, cioè resi reperibili al momento dell’intervento. Anche qui, le metodologie tradizionali come l’inserimento di un filo metallico nella zona da asportare mantengono il loro valore, ma la centratura della zona da togliere con metodi radioguidati dà certamente migliori risultati.
La radioterapia intraoperatoria. Uno dei dogmi della chirurgia conservativa è che si può anche non togliere tutto il seno (nei tumori allo stadio iniziale) a patto di irradiare però poi la mammella conservata per “sterilizzare” le eventuali cellule tumorali residue. La radioterapia esterna della mammella non dà disturbi, non ha effetti col laterali ed è un trattamento ormai consolidato da oltre quarantanni di esperienza. Tuttavia, la possibilità di irradiare la mammella durante l’intervento chirurgico, semplifica la complessità della cura e rende come minimo più breve (se non addirittura inutile in casi selezionati) la successiva irradiazione dall’esterno.
In un certo senso è dopo l’intervento che comincia la fase più cruciale perché è a quel punto che il tumore “scopre le sue carte” nel senso di manifestarsi per quello che è. Come abbiamo visto nelle prime pagine, infatti, esistono tanti tipi diversi di carcinoma mammario e la ricerca prosegue veloce nel suo cammino di differenziazione sempre più precisa.
Dopo qualche giorno dall’intervento (in genere dopo una settimana) il laboratorio di anatomia patologica permette di consegnare alla paziente l’esame istologico del suo tumore, l’identikit che ne svela le caratteristiche più specifiche. L’esame si compone generalmente di quattro parti: l’elenco del “materiale” asportato ed inviato al laboratorio, la sua descrizione macroscopica (cioè a occhio nudo), le eventuali diagnosi fatte durante l’intervento (al “congelatore”), l’esame microscopico con le relative conclusioni.
Solitamente un buon esame istologico di carcinoma mammario dà informazioni su otto parametri: il tipo istologico (duttale, lobulare, ecc.), le dimensioni, il grading (Gl, 2, 3), la presenza o meno di cellule tumorali nei capillari sanguigni che circondano il tumore (invasione vascolare), la presenza o assenza di recettori ormonali (estrogeni e progestinici), lo stato di salute dei linfonodi ascellari, la percentuale di proliferazione, con la sigla Ki67 o MIB-1 (cioè in un certo senso la velocità di crescita) e la positività o negatività di un test chiamato Her2 o c-erbB2, che caratterizza ulteriormente le cellule tumorali.
Da questo “identikit” è possibile finalmente sapere con chi si ha a che fare e le variabili sono tante, da tumori che sono sì maligni, ma poco aggressivi, a lenta crescita, sensibili alle cure ormonali, fino a tumori che hanno già raggiunto i linfonodi ascellari, che crescono rapidamente e che dovranno quindi essere affrontati con determinazione con tutte le armi terapeutiche possibili.
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