Domenica 31 marzo 2019, andrà in scena il big match tra Inter e Lazio a partire dalle ore 20:30. presso lo stadio San Siro. Si tratta di una sfida molto importante per la corsa Champions League ed ha come protagoniste entrambe le formazioni. L’Inter si trova al terzo posto con 53 punti in classifica, mentre la Lazio è al sesto posto a quota 45, ma con una partita ancora da recuperare.
Le probabili formazioni di Inter Lazio
Spalletti sembra avere qualche dubbio soprattutto in difesa, dove ci sono alcuni giocatori che ancora sono in dubbio a causa di alcuni infortuni. In questo senso, sembra che il tecnico debba fare a meno di De Vrij, il quale in seguito all’esperienza con la nazionale è tornato a Milano con un infortunio muscolare. Potrebbe essere schierato, con ogni probabilità, Miranda che non è comunque al top della condizione. Poi dovrebbero essere schierati i soliti titolari e quindi D’Ambrosio, Altamura e Skriniar. Sembrano esserci novità, invece, per quanto riguarda il reparto della Lazio. Icardi sembra essersi aggregato al gruppo e dovrebbe essere titolare, visto anche l’infortunio che ha colpito lautaro Martinez. Di sera quindi affiancato da Politano e Perisic sulle portiere tra lì e si prospetta un centrocampo a tre con Gagliardini che è favorito su Nainggolan e Joao Mario. A completare il centrocampo ci sarà poi Brozovic e Vecino. Rosa al completo per Simone Inzaghi e quindi in internet tornerà immobile sembra aver già giocato in nazionale. Il tecnico bianco-celeste dovrà puntare quindi su Joaquin Correa giocherà come trequartista, mentre Luis Alberto e Milinkovic-Savic agiranno da mezzali a centrocampo.
INTER (4-3-3): 1 Handanovic; 33 D’Ambrosio, 23 Miranda, 37 Skriniar, 18 Asamoah; 8 Vecino, 77 Brozovic, 5 Gagliardini; 16 Politano, 9 Icardi, 44 Perisic
A disposizione: 27 Padelli, 46 Berni, 21 Cédric Soares, 23 Miranda, 29 Dalbert, 20 Borja Valero, 15 Joao Mario, 14 Nainggolan, 11 Keita B.
LAZIO (3-5-1-1): 1 Strakosha; 15 Bastos, 33 Acerbi, 26 S. Radu; 7 Marusic, 21 S. Milinkovic-Savic, 6 Lucas Leiva, 10 Luis Alberto, 19 Lulic; 11 J. Correa; 17 Immobile
A disposizione: 24 Proto, 23 Guerrieri, 4 Patric, 13 Wallace, 3 Luiz Felipe, 27 Romulo, 16 Parolo, 32 Cataldi, 25 Badelj, 7 Va. Berisha, 14 Durmisi, 20 Caicedo
Inter Lazio, dove vedere la partita
La partita Inter Lazio sarà visibile in esclusiva sulla piattaforma Sky con il fischio d’inizio previsto per le ore 20:30 di domenica 31 marzo 2019. Secondo quelli che sono gli ultimi aggiornamenti, sono previsti 55 mila tifosi. I canali sui quali è possibile vedere la partita su Sky Sport HD ovvero il numero 251 dal satellite, 373 del digitale terrestre e Sky Sport Uno, ovvero canale 201 del satellite. Inter Lazio è anche in diretta streaming su PC tablet e smartphone e sarà visibile legalmente soltanto attraverso la piattaforma Sky Go. La telecronaca del match è affidata alla coppia composta da Luca Marchegiani e Maurizio Compagnoni.
Venerdì pomeriggio, Luciano Spalletti riunisce la squadra in sala video per preparare la partita con la Lazio. Ci sono tutti, anche Mauro Icardi ovviamente. Così l’allenatore coglie l’occasione e chiede all’ex capitano se abbia qualcosa da dire ai compagni. Maurito replica, parola più parola meno: «Ho già parlato con lei e con la società, non devo fare altro ». Fine. Anzi, forse l’inizio di un nuovo strappo tra Icardi e l’Inter. Eccolo, il riferimento di Spalletti a quanto accaduto venerdì, quel «compreso ieri» e «ci sono delle cose nuove che sono successe» detti in conferenza che avevano lasciato spazio a interpretazioni. Salto in avanti di qualche ora, primo pomeriggio di ieri. Mentre Spalletti parla in conferenza e annuncia la non convocazione di Icardi per la gara con la Lazio, Maurito non è ancora ad Appiano. E non sa della decisione dell’allenatore, che apprende solo ascoltando quanto pronunciato in sala stampa.
QUI MAURO Fin qui i fatti. Poi le interpretazioni divergono, sul passaggio che Icardi non ha fatto con i compagni per chiarire quanto accaduto dal 13 febbraio in poi. O almeno, non ha fatto nei termini in cui lo spogliatoio e il tecnico avrebbero gradito. Icardi da un lato ritiene di aver completato il suo percorso di reinserimento – quello stabilito e confermato in un incontro con Marotta e Zhang ad Appiano martedì scorso, nel giorno del primo allenamento in gruppo—che certo non prevedeva la richiesta di scuse. Ed è questo il senso del comunicato che l’avvocato Paolo Nicoletti rilascia all’Ansa nel tardo pomeriggio: «Icardi dal giorno del suo rientro si è messo a di sposizione della squadra, con professionalità, seguendo i passaggi da me convenuti nell’interesse dell’Inter e del giocatore con l’a.d. BeppeMarotta, e anche con il presidente, Steven Zhang. La decisione di non convocare Icardi non mi è stata anticipata e non conoscendone le motivazioni non posso commentarla. Ho sentito giornalmente Marotta, che mi ha sempre comunicato che tutto procedeva positivamente». Come a dire: la convocazione di Icardi era nella logica delle cose, dopo tutto il lavoro diplomatico svolto.
QUI INTER Non la pensa così la società. Secondo cui l’episodio di venerdì non è stato per nulla decisivo ai fini della mancata convocazione. Spalletti non l’avrebbe convocato comunque. «Come ho trovato Icardi? Come un calciatore nuovo, è tanto che non era con noi. Si è allenato, ma dobbiamo reinserirlo ha detto il tecnico . Ritengo giusto che per questa partita non sia in grado di essere tra i convocati. Va considerato tutto, gli allenamenti sono fondamentali. Per le prossime partite valuteremo». La scelta di non convocare l’attaccante è stata comunicata da Spalletti a Marotta ieri mattina. La società è ferma nell’appoggio al suo allenatore, al quale viene riconosciuta l’assoluto potere decisionale dentro lo spogliatoio: impossibile, dicono ad Appiano, che ci possano essere stati accordi di natura tecnica con Nicoletti sulla convocazione. Come a dire: si è lavorato per il rientro in gruppo, da lì in avanti la gestione è esclusiva di Spalletti.
FUTURO E adesso cosa succede? Marotta e Nicoletti in serata si sono sentiti più volte, provando a ricomporre i cocci di una giornata complicata. Non semplice immaginare il prossimo futuro. La gara con il Genoa di mercoledì, ad esempio: Spalletti e l’Inter non chiudono la porta a una convocazione, magari lontano da quel San Siro che stasera certamente non sarebbe stato tenero nei confronti di Icardi. Certo è che il feeling di Maurito con lo spogliatoio non si ritrova nel giro di un giorno. Si ritroverà mai? Forse no, anche se si tratta di convivere fino a fine campionato prima dell’addio. E non è scontato: diversi giocatori avrebbero apprezzato la scelta di Spalletti, perché Icardi non sarebbe rientrato nel migliore dei modi in gruppo a livello di atteggiamenti. È altrettanto vero che il tecnico ha optato per la linea dura prendendosi una discreta dose di responsabilità. Convinto di avere buone chance di onorare il contratto con l’Inter fino al 2021: «Ci rivediamo anche il prossimo anno», ha detto il tecnico. Ma non è questa l’ora di certi argomenti.
Se non ora, quando? Con Lautaro k.o. e Icardi ancora fuori dai convocati, Keita Balde resta l’unico centravanti a disposizione di Spalletti per una sfida che può dire molto sul futuro dell’Inter. La Lazio è un doppio esame, per i nerazzurri e per lo stesso Keita, che proprio contro il suo passato comincerà la sua personale missione alla conquista dell’Inter e di un riscatto dal Monaco che oggi non è ancora così scontato, malgrado la stagione del senegalese sia stata fin qui tutto sommato positiva. L’infortunio di gennaio ha però rovinato un po’ i piani del futuro di Keita, che aveva chiuso il girone d’andata con un gol da tre punti aEmpoli e una serie di ottime prestazione che sembravano aver indirizzato le scelte della società. «Per caratteristiche Keita è un giocatore che può fare il centravanti molto meglio di altri giocatori della rosa» aveva ricordato Spalletti alla vigilia della sfida di Europa League con l’Eintracht, quando l’Inter era in totale emergenza per la squalifica di Lautaro e l’indisponibilità di Icardi.
ESAME Più o meno la situazione di oggi, anche se stavolta non è una partita da dentro o fuori, seppure delicatissima. Spalletti si innamorò di Keita «falso nove» in un derby di Roma deciso proprio dai guizzi del senegalese, all’epoca avversario, che si ritrovò titolare per il forfeit di Immobile. Contro la Lazio per Keita sarà un nuovo esame di maturità. L’Inter ha bisogno di nuovi gol per guardare con maggior fiducia al finale di stagione e Keita ha le qualità per dimostrarsi un’arma importante per sparigliare le carte e non solo una alterativa di valore all’undici titolare. Perché anche il suo riscatto è in qualche modo legato alla qualificazione Champions: 10 partite e 34 milioni di motivi per mettere il turbo e prendersi l’Inter. Definitivamente.
on l’Inter ha vinto uno scudetto, due Coppa Italia e una Supercoppa italiana. Con la Lazio uno scudetto, una Coppa Italia e due Supercoppe (una europea e una italiana). Nella ricca bacheca di Juan Sebastian Veron, accanto a un concentrato di garra e di leadership, ci sono tanti altri trofei e altre maglie. Ma Inter-Lazio non può che essere la sua partita. L’argentino, oggi 44enne presidente dell’Estudiantes, ieri era a Londra da debuttante nerazzurro nell’Inter Forever che sfidava le leggende del Tottenham. E stasera sarà a San Siro per prendersi l’applauso degli ex tifosi. Interisti e laziali. Veron, Inter-Lazioèuna partita speciale. «Sì, sono due squadre a cui sono molto legato, sarà emozionante tornare a San Siro per una partita così. Ho trascorso anni bellissimi a Milano, così come quelli passati a Roma. Spero di essere applaudito da tutti. Credo di aver lasciato un bel ricordo, quando vinci succede. Sono stato trattato bene dalla gente e dai club, con due grandissimi presidenti come Cragnotti e Moratti che mi hanno fatto sentire a casa». Èuno spareggio Champions? «Le due squadre sono lì, lottano per i primi 4 posti: in queste partite devi confermarti, non puoi sbagliare. Poi si gioca a San Siro…». Già, San Siro: ha saputo che potrebbe essere demolito? «Il Meazza è la storia, ma io farei un nuovo stadio. Il calcio italiano ha bisogno di nuove strutture, si deve modernizzare e questo può essere un inizio importante. Bisogna scommettere nel futuro, l’Inghilterra l’ha fatto: la Serie A si è fermata alla storia. Ha lasciato stare le strutture, le metodologie, il modo di giocare». Cosa pensa di Spalletti e Inzaghi? «Inzaghi-giocatore non sembrava adatto a fare l’allenatore, era difficile immaginarlo in panchina, era un “bambolaccio”, un ragazzaccio. Diego Simeone aveva il carattere dell’allenatore, ma lui no. Spalletti e Simone fanno giocare bene le squadre, tengono il gruppo, hanno personalità, si vede che dietro c’è tanto lavoro». Stavolta l’Internon avrà né Lautaro né Icardi. «Lautaro è uno degli attaccanti argentini di maggiore prospettiva. Sta facendo bene, deve ancora imparare e deve ancora sbagliare: con gli errori uno si forma come giocatore. Di Icardi parlo da spettatore. Io dico che tutti abbiamo avuto momenti difficili e problemi con le società. Ma ho sempre ritenuto che il giocatore deve mettere davanti la squadra, il club, il rispetto. Mi dispiace perché sembra di essere a un punto di non ritorno. Mauro è un ragazzo che ha fatto molto bene a Milano e può dare ancora molto; e l’Inter non meritava di finire in questa situazione. Spero che possano ritrovarsi e mettere a posto tutto». Nella Lazio ci sarà Correa. «È cresciuto nell’Estudiantes: ha qualità e grande voglia di imparare. Gli ho detto che la A è importante perché, come è successo a me, ti dà sostanza per essere un vero giocatore». A proposito di argentini, ha un consiglio per gli acquisti? «Abbiamo diversi giocatori interessanti, se guardo in casa Estudiantes dico Matias Pellegrini, un’ala sinistra del 2000, cresciuto nel nostro club. Però dovrei parlarne con i dirigenti dell’Inter…».
Spalletti non è banale, mai. Neanche quando servirebbe. Un gesto semplice, convenzionale, potrebbe risolvere il Problema Icardi, riportarlo in squadra, invitarlo al gol? Lui sa che si può fare, ma affida la soluzione al suo pensiero e ne esce una inevitabile complicazione. Un’ulteriore prova – perché in cuor suo sa che deve dare una risposta risolutiva – è filtrare il tutto con la mente e con l’anima: e allora orgoglio e pregiudizio fanno il resto. Il danno è totale. È depressione. L’improbo Maurito e la sua maliarda miliarda non son degni di rientrare in Casa Inter pur se bastava una sola parola per riaccoglierli in pace. Un Amen. Semplicemente accogliendo i silenzi di Zhang e le parole di Marotta per ritrovare il figliol prodigo e festeggiarlo. Maddài, troppo semplice. E la lotta continua. Fino a maggio e non oltre, mi vien da pensare. Capisco oggi – in verità non mi ero mai posto il problema – perché Luciano stesse tanto bene a San Pietroburgo; me lo immagino, nelle ore libere, compulsare i coinvolgenti sacri testi di Dostoevskij, magari nella sua stessa casa, all’angolo fra la Prospettiva Kuznechny e la strada Yamskaya, dove io stesso provai un senso di sofferenza e poi di liberazione visitando quelle stanze apparentemente spoglie ma con tocchi d’arredo fine, borghese, fingendomi naturalmente l’ormai afasico creatore dei “Demoni” avvolto in una nube di fumo. E sigarette divorate fino al lungo bocchino di cartone abbandonate nei posacenere.
Spalletti ha forse cominciato a vivere il calcio come divertimento e passione passeggiando per la sua Toscana, la più ciacciona, fra Castelfiorentino, Viareggio e Empoli, dov’è trascorso in automatico dalle scarpette alla panchina; poi ha visto il mondo, s’è confrontato con il realismo furlano, ha fatto esperienze che gli hanno aperto le porte di Roma. Mai il cuore dei romani, però, che l’hanno sempre sentito giudice sospettoso e mai apertamente nemico come Capello, l’odioso vincitore. Vincitore, appunto. Eccolo, Spalletti, giudice di un ambiente, di un mondo, di una città, come il vate di San Pietroburgo; e se la città, il club, la squadra hanno un leader – Francesco Totti – ecco affrontarlo perché mai più sia messa in discussione la leadership: e qui comando io, e questa è casa mia. Il re dei maghi, Helenio Herrera, si accontentava – più pratico – di guadagnare più dei suoi giocatori. Troppo difficile per uno come Spalletti che si gioca anche l’anima, a volte solo per il gusto di partorire pensieri e parole che altri manco s’attentano a cercare. Come ieri, quando gli han chiesto se avrebbe fatto giocare il giovanissimo Esposito: «Non ancora – ha detto – c’è da metterlo in condizione di crearsi quel guscio che si chiama essere uomo, serve la corazza per diventare campione». Diceva di Esposito, pareva un contorto giudizio su Maurito che la corazza la fa portare a Wanda. Il guscio, poi, dipende dal soggetto uomo: il calciatore eterno bambino ce l’ha tenero come la fontanella dei neonati; l’adulto, come Spalletti, lo usa come scudo. Contro i più forti. E perde.
Decide Spalletti. Questo è stata la linea dell’Inter negli ultimi giorni ed è rimasta tale anche quando è diventata ufficiale la non convocazione di Icardi. Insomma, doveva trattarsi di una scelta tecnica e così è stato. Marotta e Ausilio, presenti ieri alla Pinetina, hanno ascoltato le spiegazioni di Spalletti, per poi convenire come non ci fossero i presupposti tecnici per una chiamata di Maurito, avendo sostenuto solo pochi allenamenti con la squadra. Esattamente come ha annunciato l’allenatore toscano in conferenza stampa: «Ritengo che ancora per questa partita non possa essere in grado di aiutare i compagni di squadra». L’ennesima occasione non sfruttata per chiarirsi definitivamente con i compagni, dunque, almeno ufficialmente non c’entrerebbe nulla. Anzi, anche se ci fossero state le famose scuse, viene assicurato che Maurito sarebbe comunque rimasto fuori. D’altra parte, ignorare il riferimento, fatto più o meno volutamente, da Spalletti sarebbe un errore. Se non altro per comprendere meglio quale sia l’atteggiamento del gruppo.
OCCASIONE MANCATA. Già, perché nel suo discorso Spalletti ha pure sottolineato che «per certi verso ho trovato Icardi come un calciatore nuovo, visto che per tanto tempo non è stato con noi. Si è allenato con il gruppo questa settimana, ma la verità è che dobbiamo ancora reinserirlo in tutto quello che è il nostro comportamento in allenamento. Anche alla luce di tutto quanto è successo in questo periodo, compreso ieri (venerdì, ndr)». E la lampadina si è accesa ancor di più sull’ulteriore precisazione: «Ho fatto solo una proiezione del periodo in questione, arrivando appunto a ieri (venerdì, ndr). Ci sono cose nuove che sono successe. Cose nuove da valutare». Quali? Beh, le ricostruzioni più attendibili riportano che appunto venerdì, in occasione della riunione tecnica davanti al video, Spalletti abbia chiesto a Icardi se avesse qualcosa da dire, approfittando della presenza di tutta la squadra. E la risposta dell’attaccante, in sintesi, sarebbe stata che per lui la questione era da considerare chiusa e che tutto quello che aveva da dire lo aveva già detto a Spalletti. Insomma, gli era stata data un’altra occasione e Maurito non l’avrebbe colta. Ed è probabile, insomma, che in questi giorni il tecnico avesse ricevuto dal gruppo nuovi segnali e conferme sulla necessità di quel confronto.
«QUI ANCHE L’ANNO PROSSIMO». Attenzione, poi, ad un altro aspetto. Sempre in queste ore, infatti, sono tornate ad intensificarsi le voci su Conte prima scelta per la panchina nerazzurra nella prossima stagione. E Spalletti, pur non avendo dubbi sull’opportunità di continuare la sua avventura alla Pinetina («Ci rivedremo anche l’anno prossimo», ha affermato ieri), è il primo a essere consapevole della situazione. E tale prospettiva, probabilmente, lo spinge ancora di più ad andare avanti per la sua strada. Ovvero tocca ad Icardi rimettersi “dentro” l’Inter, altrimenti Spalletti continuerà a scegliere di tenerlo fuori. Ovvio che la questione si riproporrà già per il match con il Genoa di mercoledì. Senza trascurare il fatto che, qualora con la Lazio dovesse andare male, la responsabilità finirà tutta addosso al tecnico. Fermo restando però che se il sostegno del club lo preserverà dalle peggiori tempeste. Dal suo punto di vista, comunque, sarebbe peggio rischiare mettendo da parte la propria linea e i propri pensieri. Che sono anche quelli che, ieri, gli hanno fatto bacchettare Lautaro. «Muscolarmente non eravamo puliti. Purtroppo, quando si tratta di giocatori giovani, quando si tratta di Nazionale, si tace invece di evidenziare il dolorino…».
Eppure è così che lo raccontano, anche i giocatori meno dotati di fantasia visionaria. A un certo punto Luciano Spalletti spalanca gli occhi, che già in condizioni mormali sono grandi come gli oblò delle lavatrici e d’improvviso diventano finestre e assorbono tutto il resto, dietro lo sguardo umido sembrano custodire il vuoto e invece sono popolati di spettri. Vede gli spettri chi sta di fronte e si affaccia, anche se vorrebbe essere altrove, e in qualche modo li vede anche Luciano. Quel che è peggio, lui li sta a sentire.
Dicono metta paura quando si arrabbia davvero. Ci manca l’esperienza diretta, ma non c’è da stupirsi. E’ roba che dovrebbe far parte del suo mestiere. L’arrabbiarsi, non gli spettri. Quelli sono una metafora. Forse. Per qualche motivo perduto in fondo al Sand Creek che attraversa la sua vita, Spalletti ha preso l’abitudine di scegliersi un nemico. Dovunque abbia allenato, dovunque abbia plasmato in modelli di rigorosa geometria dinamica le sue squadre – non gli mancano davvero creatività e sapienza professionale – ha trovato una quinta colonna in grado di turbare il suo equilibrio, l’uomo vestito di bianco che lo scruta. L’avversario diventa colui che dovrebbe essere il suo alter ego, l’angelo guardiano è il fantasma che perseguita. L’uomo forte, da Francesco Totti, a Mauro Icardi, si fa problema da risolvere.
Avanza una teoria la dottoressa Alessandra Graziottin, che ha lo sguardo clinico della psicoterapeuta: «Esistono comportamenti quasi autolesionistici dai quali non si riesce a uscire. Si vive come un’obbligatorietà a ripeterli. Accade sul lavoro e anche nella famiglia, nella relazione di coppia. E’ inquietante sapere che chiunque può restarne prigioniero. Una seconda riflessione riguarda la capacità o l’incapacità di un leader, tipo un allenatore, a rapportarsi con il più importante degli uomini che gestisce. Quello che in teoria dovrebbe essere il suo ponte con il resto del gruppo, l’elemento di armonia. Il comportamento di un uomo è un grande fiume con tanti affluenti, non c’è una sola causa. Conta il carattere, conta il temperamento e in molti casi conta l’abitudine a una strategia che magari molte volte ha funzionato e viene replicata anche in ambienti nei quali è dannosa. A un leader serve duttilità. La presenza di donne forti, Wanda o Ilary, nella vicenda costituisce un ulteriore elemento di complicazione, estraneo agli schemi. Servirebbe un passo indietro da parte di tutti».
A essere onesti, quel passo indietro Spalletti non lo ha mai fatto. Neanche gli altri. Al di là delle leggendarie liti con Christian Panucci (precedute da quelle con Jankulovski, narrano gli storici di Udine), simbolo e immagine dei suoi passaggi alla Roma rimangono il primo addio, quello del 2009, in cui l’allenatore vide, anche se sfumata dall’ombra, la mano di Totti; e la battaglia sul confine del tramonto, lunga quanto l’ultima avventura del tecnico a Trigoria. Totti si lamentava delle esclusioni e dei silenzi, Spalletti lo mandava a casa, Totti tornava e faceva ciò che gli è sempre riuscito meglio, ripescare la Roma dai precipizi. Francesco era al crepuscolo e lo sapeva, ma ne voleva uno più glorioso e vichingo. Finì con le lacrime davanti al Genoa e con Spalletti in fuga verso l’Inter, convinto di essere il vincitore. Ma all’Inter avrebbe incontrato ancora se stesso e un nuovo Totti, argentino e duro e altrettanto sposato.
Adesso si va a ripescare la vicenda di Igor Denisov, mediano dei tempi del prezioso periodo russo di Spalletti: era l’eroe del posto, voleva più soldi, ebbe gli occhi di Luciano piantati in faccia e la cessione all’Anzhi. Denisov peraltro ha litigato anche lì prima di andare a vivere e a giocare a Mosca e quella volta non c’erano Spalletti da incriminare. Ma Luciano tra questo, il linguaggio che scavalcava gli steccati dell’usuale, gli occhi giganteschi circondati di gesti ancora più ampi in panchina, l’iconoclastia riconosciuta nei confronti dei simboli umani della squadra si era costruito anche a San Pietroburgo la sua fama. E’ Spalletti, punto e basta, prendere o lasciare. Ci sarà sempre chi prende, non c’è da offendersi se qualcuno decide di lasciare.
Mezza grande o grande? Non s’è mai capito come Inzaghi giudichi la Lazio, forse in base a venti e circostanze. Ieri, convintamente o coraggiosamente, ha detto che «il gap con le big si è assottigliato per ciò che abbiamo fatto vedere in campo», prendendosi il merito della crescita dimensionale. Meglio così, visto l’appuntamento di San Siro. Ma il concetto (mezza grande o grande?) è stato contorto fin dall’inizio della stagione. Simone, ultimamente, ha cambiato tutto. E’ nuova la preparazione tattica (più palleggio, meno profondità). E’ nuova la preparazione psicologica (meno fissazioni da “gap”, più aspirazioni da big): «Sappiamo di avere 5 squadre davanti – ha aggiunto Simone per non smentirsi del tutto – costruite per grandissimi obiettivi. Ma in questi tre anni ce la siamo giocata sempre alla pari contro chi, sulla carta, probabilmente è stato costruito meglio. Ci siamo livellati a queste squadre e con il sacrificio, con l’aiuto di tutte le componenti, ce la siamo giocata a viso aperto».
La spinta. Inzaghi e la Lazio giocheranno sotto gli occhi di Lotito, presente a San Siro, in trasferta dopo 4 anni. Simone ha preparato la partitissima andando all’attacco della Champions, chiedendo ai suoi «un atteggiamento propositivo, dobbiamo continuare a giocare con grandissima qualità». E ha allargato la caccia grossa addirittura fino al terzo posto perché «nel calcio è sempre tutto aperto, lo sarà fino all’ultima giornata. Atalanta, Torino e Samp toglieranno punti alle squadre che stanno in alto». La Lazio oggi è sesta (con una partita in meno), vivrà la prima trasferta milanese delle tre previste in 25 giorni (Inter e due volte il Milan). Inzaghi deve rincorrere e sorpassare: «L’anno scorso abbiamo perso la Champions all’ultima giornata, adesso abbiamo qualche punto di ritardo a causa dei problemi numerici avuti a febbraio. Siamo pronti per vivere le ultime 10 giornate al meglio!». Inzaghi (coraggiosamente o convintamente?) ha parlato della Lazio come di «una squadra fortissima», finalmente sarà contento Lotito. E ha presentato il match così: «Sarà una grande partita in un grande stadio contro un grandissimo avversario. L’Inter, in estate, era l’anti-Juve, ma i bianconeri hanno fatto il vuoto. Noi, nel girone di andata, abbiamo avuto qualche problema negli scontri diretti, adesso li stiamo affrontando meglio». In tanti presentano il big match come un’ultima spiaggia laziale: «Se sarà decisiva? Senz’altro sarà una partita molto molto importante per la classifica e perché veniamo da un ottimo momento. Dobbiamo tenere a mente l’ottima gara fatta in Coppa Italia, ma anche quella brutta dell’andata in campionato (0-3 per l’Inter, ndi). Dobbiamo dare continuità alle ultime prestazioni, ci hanno aiutato a migliorare la classifica. Sono fiducioso, stiamo bene. Dobbiamo essere bravi nell’affrontare questo ciclo di partite». Inzaghi ha ricaricato Immobile, sgonfiato in Nazionale: «L’ho ritrovato carico, sereno, si è allenato come piace a me, in modo propositivo. Ciro è maturo, ha 29 anni, deve ascoltare le critiche giuste, deve capire da dove arrivano quelle gratuite». La Lazio si ritroverà davanti Keita, l’ex di turno dispettoso: «Ha grandissima qualità, ma indipendemente da lui, che rivedrò con piacere, per noi cambierà poco. Dipendiamo da noi stessi». Non ci sarà De Vrij, per la terza volta su tre: «E’ un gioco del destino, sarà dispiaciuto di non affrontarci». E sul caso Icardi…: «Penso ai miei. L’Inter ha un grandissimo allenatore, spetta a lui».
Questo a te, questo a me. La Champions in cambio del Siviglia. Non l’ha detto apertamente, ma l’ha fatto capire parlando di una promessa fatta e strappata al diesse Tare, strizzando l’occhio a Monchi, ridiventato diesse degli andalusi, definito «il miglior diesse al mondo». La Champions alla Lazio, il Siviglia a Luis Alberto. Il Mago spagnolo, confessandosi apertamente e audacemente con il quotidiano spagnolo “As”, ha parlato di tutto, ha svelato un incontro con Tare, tra promesse e compromessi, più tutti i desideri che culla: «Sono concentrato sulla Champions – ha detto Luis Alberto – è qualcosa che ho promesso al diesse Tare in una conversazione faccia a faccia. Spero possa chiamarmi un club come il Real Madrid». Il Mago è affascinato dal Real, sa bene che è più facile andare a Siviglia, nella città che ama, nel club che l’ha visto crescere e che l’ha cercato più volte, nella squadra in cui vuole giocare da almeno un anno, agli ordini di Monchi, dal 2016 sulle sue tracce: «E’ il migliore al mondo, Monchi. Il giorno dopo l’addio alla Roma aveva già trovato squadra e sono sicuro che avesse anche più di un’offerta. Penso non gli abbiano dato abbastanza tempo. Se ti aspetti di vincere la Champions in due anni… Il Siviglia? Non chiuderò mai la porta di casa, del mio club e dei miei colori. Ma questo dipende dal club di appartenenza, che ora è la Lazio. Qui comunque sono molto felice». Il retroscena era emerso a metà settimana, è confermato dalle parole dello spagnolo. Luis Alberto e la Lazio decideranno il futuro a fine stagione, insieme. Il colloquio tra il giocatore e Tare è servito sicuramente per definire precisamente questo patto. Lotito parte da una valutazione superiore ai 30 milioni, Monchi è avvertito. Trenta milioni erano stati offerti in estate, non bastano.
Il racconto. Luis Alberto ha parlato di tutto e di tutti senza fare sconti. Ha raccontato di disaccordi con i medici prima di Siviglia-Lazio. Provò a recuperare da un problema muscolare, non fu convocato per non rischiare infortuni più gravi. Ecco la versione del Mago: «All’inizio ero abbastanza arrabbiato. Non era niente di grave, c’è stato un malinteso con i medici sulla prima risonanza. Non avevo nulla, era un infortunio lieve. Abbiamo deciso che non avrei giocato a Siviglia, ma io avrei voluto. Ho dovuto accettare la decisione rinunciando a giocare a casa mia, a divertimi con la mia gente e godermi il Sánchez Pizjuán». E’ rinato da mezzala: «Quest’anno è stato un po’ strano, specialmente nei primi tre mesi. Stavo giocando portandomi dietro gli infortuni della passata stagione. Ma da dicembre, grazie al fisioterapista e al mio personal trainer, ho iniziato a riprendere la forma. Inoltre, con il nuovo ruolo che Inzaghi mi ha dato, ho iniziato a fare buone partite e a trovare quella continuità di cui avevo bisogno. Stavo andando bene, ma il gol mi mancava. Grazie a Dio l’ho ritrovato contro il Parma». La Lazio “tiki-taka” lo emoziona: «Mi sono dovuto adattare alle circostanze. La squadra sta giocando meglio, con più giocatori offensivi, e ci divertiamo anche di più. Ci stiamo abituando a una dinamica di gioco più allegra che ci aiuta a lottare per la Coppa Italia e per le posizioni che valgono la Champions».
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