C’è “l’amica” che ti chiama solo quando deve chiederti un favore o quando deve confidarti le sue impellenti e irrimandabili pene d’amore, e tu non sai dire di no, fermi tutto e resti al telefono un’ora perché sei una persona gentile e poi lei è tua amica, rifiutarsi che comportamento sarebbe? Poi però la volta che tu le chiedi un favore, lei prima si illumina: «Ma certo, contaci! Finalmente ricambio!». Poi però non si fa più sentire ,accampando mille scuse.
Oppure c’è “l’amico” che ti invita a cena ogni tanto, forse quando si sente solo. Ma il “mattino dopo” pare avere il turbo, tanto velocemente sparisce, magari per un mese intero. Poi ovviamente c’è il collega che coordina l’ufficio e distribuisce i compiti, senza che nessuno l’abbia nominato per quel ruolo, ma lo fa con quel tono e quella sicurezza che ti intimidisce e tu non riesci mai a opporti, anche quando secondo te sta sbagliando. Ed è così abile nel lavorarsi i capi che, se le cose vanno storte, indovina su chi ricadrà la colpa? Va bene, tutti noi siamo vittime di personaggi del genere. Ma cosa c’entra tutto questo con i chili di troppo?
Il segreto: smetti di essere complice Iniziamo col chiederci: perché non riusciamo a farci valere? Ci raccontiamo che siamo in soggezione, che siamo troppo buoni, che siamo deboli, che “non sta bene” reagire male a una richiesta. Obblighi, affetti, doveri, sensi di colpa: tutto gioca un ruolo. Ma se osserviamo con attenzione, ci accorgiamo che anche noi, in realtà, siamo complici delle situazioni in cui ci veniamo a trovare, perché queste relazioni, in fondo, ci permettono di restare in una comfort zone, e uscirne ci fa troppa paura.
Essere sempre a disposizione dell’amica dispotica e delle sue confidenze costa fatica, ma nello stesso tempo permette di rivestire un ruolo, quello dell’amica del cuore, della spalla. Essere il terminale di confidenze e di richieste ci consente, per 10 meno, di non essere trasparenti. E d’altra parte è più difficile affrontare la nostra parte rabbiosa, che ci fa tanta paura, osservarla emergere durante un litigio, anche solo immaginario, che non accettare di fare la tranquilla esecutrice degli ordini del collega vanesio. Un altro modo di riempire il vuoto Le dinamiche che vivi con gli altri riflettono il tuo mondo interiore. «Il conflitto esterno è sempre la materializzazione di un conflitto interno», scrisse la psicanalista Marie-Louise Von Franz.
Quando accetti di essere parte di un rapporto squilibrato, in cui tu sei quella che esegue, è perché una parte di te ne ha bisogno, anche se non ne sei consapevole. Perché riempie un vuoto e ti completa. Un vuoto che altrimenti dovresti riempire tu, lasciando affiorare quelle parti di te che preferisci non guardare e con cui, in effetti, sei in conflitto tanto da averle represse: aggressività, paure, vergogna, rabbia, dolore… Ma la bilancia non è mai in perfetto equilibrio: non farsi valere, non dire mai di no, alla lunga provoca dolore, e il dolore distrugge Vautostima e riapre il vuoto. Ecco, è proprio qui che gli eccessi alimentari compaiono. Il cibo è il consolatore perfetto: sa creare quell’appagamento, quella gioia di “esserci” che solo l’autostima produce. Quando questa manca, 11 cibo di troppo ha la strada spianata.
TRA GENITORI E FIGLI Questi rapporti sono avvelenati dai ruoli fissi. Quando interpreti per anni la mamma indulgente o la figlia incompresa, non riesci più a uscire da certi automatismi. Magari all’esterno sei un’altra persona, ma appena varchi la porta di casa ecco che indossi quel ruolo e tutte le emozioni che ne conseguono. Attenta: i ruoli sono gabbie, affrontare le proprie paure è la vera partita.
CON I COLLEGHI DI LAVORO Non bisogna aver paura di discutere, ma occorre evitare la sterile e improduttiva guerriglia. Confrontarsi non significa scontrarsi: anzi, è proprio la paura del conflitto a farci preferire una tranquilla sottomissione. Invece non c’è niente di male nell’affrontare l’altro, se la prospettiva non è il conflitto ma comprendersi.
CON GLI AMICI Reciprocità: senza questa qualità, i rapporti di amicizia diventano malati. Occorre sentirsi liberi di dare e di ricevere in egual misura. Le amicizie unidirezionali in cui uno usa l’altro finiscono per far implodere le energie che spesso si riversano sul cibo: tipiche, infatti, le abbuffate in compagnia, una specie di rituale in cui spesso si usa il cibo per riempire i vuoti lasciati da relazioni stanche o ripetitive.
TRA PARTNER Attenzione alla routine: è facile che si traduca col tempo in piccoli dispetti, acidità, tic, nervosismi, abitudini, noia. Un rapporto tra reciproci carcerieri fa male all’autostima ed è il perfetto viatico per grandi aumenti di peso.
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