Mio figlio è stato appena assunto da una multinazionale – racconta Barbara, mamma di Gabriele, 28 anni, con diabete di tipo 1. “Al momento del colloquio non ha dichiarato di avere il diabete, ma trattandosi di un lavoro piuttosto impegnativo, che prevede anche viaggi all’estero, mi sentirei più tranquilla se lo dicesse al suo superiore. Gabriele però teme che possa diventare un ostacolo alla sua carriera”.
Il problema che Barbara racconta è piuttosto comune fra chi ha il diabete: dichiarare o meno la propria condizione? La paura è quella di non essere ritenuti idonei a svolgere la propria mansione, oppure di essere discriminati, se non addirittura licenziati. Per fortuna in Italia la legge tutela il lavoratore con diabete, ma la stessa legge non sempre è chiara e in grado di prendere in considerazione tutti i singoli casi, per cui il rischio discriminazione è dietro l’angolo, come ben illustra più avanti il dottor Cabras, presidente della FDG– Federazione Nazionale Diabete Giovanile. Con questo articolo vogliamo cercare di fare chiarezza, partendo da un recente documento che affronta l’argomento.
Diabete e lavoro
Per iniziativa della Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale e di Diabete Italia e con l’obiettivo di tutelare il lavoratore diabetico è stato istituito un gruppo di lavoro di medici del lavoro e diabetologi che hanno prodotto un Documento di Consenso sul tema “Diabete e Lavoro” di cui vi riportiamo i punti più salienti.
Il diabete non è sempre e solo una disabilità; i recenti miglioramenti nel campo della diagnosi e della terapia permettono a chi ha il diabete di condurre non solo una vita “normale” ma anche di poter adempiere ai propri impegni lavorativi senza problemi. Laddove le condizioni di salute lo permettono, quindi, il lavoratore diabetico non deve vedersi limitate le aspirazioni lavorative. Questo vuol dire che il diabete non deve influire negativamente sulla vita professionale del paziente, ma allo stesso tempo il lavoro non deve peggiorare il decorso della malattia o le sue complicanze.
L’idoneità
Come asseriva C. Gerin negli anni ’50 del 1900, l’idoneità si fonda sui concetti di validità, idoneità, capacità e abilità. Per validità intendeva “l’efficienza psicosomatica allo svolgimento di qualsiasi attività”; per capacità “l’insieme di attitudini specifiche e particolare preparazione” e per abilità la presenza di “speciali, particolari disposizioni attitudinali del soggetto”. L’idoneità può essere quindi considerata come la validità con preciso riferimento ad una determinata attività lavorativa o mansione specifica e per valutarla, il medico competente deve prendere in considerazione, da parte del lavoratore, il possesso dei requisiti psico-fisici comunemente indispensabili per lo svolgimento della mansione. Tutta questa premessa per dire che tutti i lavoratori, non solo quelli con diabete, sono tutelati nel loro essere ritenuti idonei ad una determinata mansione: non bastano infatti le aspettative del datore di lavoro per definire l’idoneità, ma occorre valutare le effettive capacità comunemente indispensabili per le richieste di attività materiali. In riferimento alla relazione lavoro diabete, l’American Diabetes Association (ADA), nel position Statement del 2011, afferma che “Una persona affetta da diabete, trattato o non trattato con insulina, dovrebbe essere in grado di svolgere qualsiasi impiego per il quale sia qualificato”, sottolineando l’importanza di non limitare le persone con diabete nello svolgimento della loro attività lavorativa.
Lavori a turni o notturni
Ci sono però alcune tipologie o condizioni di lavoro che necessitano di particolare attenzione da parte del medico del lavoro e del diabetologo per stabilire se il lavoratore è idoneo a svolgerle, sia al momento dell’assunzione sia a mansione svolta. Deve essere quindi definito il personale stato di salute del lavoratore diabetico per potergli consentire di raggiungere l’obiettivo sopra indicato dall’Ada, ovvero di svolgere il lavoro per cui è qualificato. Questi lavori sono quelli a turni o notturni. “Dopo aver lavorato per anni come portiere di notte in un albergo, sono stato costretto a licenziarmi”, racconta Michele, 45 anni, con diabete di tipo 2. “Restare sveglio la notte, dormire e mangiare ad orari irregolari non faceva bene alla mia glicemia. Ho scelto quindi di pensare alla mia salute”. Per fortuna, Michele nel frattempo ha trovato un altro impiego, sempre in un albergo, ma con turni diurni. In effetti alcuni studi sottolineano la difficoltà delle persone con diabete di tipo 1 a mantenere un compenso glicemico ottimale, a causa dell’irregolarità dei pasti e della conseguente difficoltà di assunzione regolare della terapia insulinica. Questo non vuol dire che esistano delle limitazioni per questa categoria di persone nello svolgere un lavoro a turni o notturno, ma il medico dovrà valutare con attenzione la motivazione del lavoratore, la sua capacità di gestire eventuali episodi di ipoglicemia e la possibilità di assumere i pasti e la terapia medica con regolarità. È sconsigliato invece, questo tipo di lavoro nelle persone con diabete di tipo 1 e 2 scompensato o in terapia insulinica in cui il lavoro possa interferire con l’assunzione regolare della terapia nell’arco delle 24 ore e con un’appropriata alimentazione; nel caso di presenza di complicanze legate al diabete; nel caso la persona sia in terapia con farmaci la cui efficacia è correlata ai ritmi di funzionalità circadiana o che possono indurre sonnolenza (ACEinibitori e beta-bloccanti).
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