Possiamo intanto distinguere tra soggetti che non hanno mai sofferto di problemi cardiaci e quelli che, invece, hanno una storia di cardiopatia ischemica. È noto che le campagne di sensibilizzazione (ad esempio attraverso i mezzi di comunicazione di massa) hanno effetti limitati nel tempo se non vengono continuamente rinnovate e modificate. La diffusione del concetto di prevenzione potrebbe venire in aiuto alla risoluzione di una parte del problema.
L’identificazione di situazioni a maggior rischio di andare incontro ad eventi ischemici è un problema molto sentito, sia a livello individuale, sia a livello istituzionale e politico: esiste quindi una maggiore sensibilità verso questi argomenti. Fattori di rischio 3, comportamenti alimentari e stili di vita inadeguati, fattori di disagio psicologico 4, sono elementi che possono essere facilmente individuati se ricercati.
Quindi, nei nostri ambulatori e negli ambulatori dei medici di medicina generale si dovrebbe procedere, nel soggetto a rischio, ad una educazione sanitaria rivolta non solo alla correzione degli elementi di rischio, ma anche all’informazione sulle conseguenze e, soprattutto, sui modi di presentazione delle malattie che si cerca di evitare e su come ci si debba comportare, in particolare nella richiesta di soccorso. Il concetto di prevenzione deve quindi essere ampliato: non solo mezzo per prevenire l’insorgenza di malattie, ma anche strumento che riduce la gravità e le conseguenze delle stesse, attraverso una maggiore consapevolezza del paziente circa i sintomi connessi e l’opportunità di anticipare il più possibile la richiesta di soccorso. Per quanto riguarda i pazienti che hanno già sofferto di problemi ischemici, noi sappiamo dallo studio GISSI 3 che questa condizione non si correla ad una maggiore celerità nella richiesta di soccorso. Ancora una volta spetta ai cardiologi, che hanno curato questi pazienti e che li seguono nel tempo, fare opera di preparazione culturale e psicologica.
È sicuramente difficile dire ad un paziente infartuato che potrebbe avere un nuovo episodio acuto, per il rischio di creare una situazione psicologica delicata per il paziente e la sua famiglia. Bisogna tuttavia che, al momento della dimissione e durante i controlli periodici, si insista sulla opportunità che il paziente sappia riconoscere l’insorgenza di nuovi eventi per poterli contrastare in tempo. Importante, anche se poco abituale, è poi l’istruzione dei familiari dei pazienti: informarli più esplicitamente sui rischi attuali e futuri del proprio congiunto, addestrarli ad agire correttamente, a sapere chi, come e quando chiamare per avere soccorso, come trasportare il paziente (oltre a nozioni elementari di rianimazione cardiopolmonare) è un aspetto di importanza non secondaria, ma spesso trascurato. Il rischio di veder affollati i nostri Pronto Soccorso da questi pazienti è, all’inizio, forse lo scotto da pagare per ridurre una parte del RE.
Il ritardo organizzativo Una volta che il paziente ha percepito la gravità della sua situazione e chiede soccorso, inizia la fase del ritardo organizzativo. Se il paziente si reca autonomamente all’ospedale riduce drasticamente la componente del RE, come confermato dallo studio GISSI 3; in caso contrario, il ritardo è legato in parte alla scelta del paziente e in parte all’organizzazione del soccorso in quel territorio. Interventi in questo campo devono perciò tener conto dell’area geografica, delle abitudini dei pazienti, dell’organizzazione del soccorso in termini quali-quantitativi, della vicinanza di ospedali. L’abitudine di chiamare un medico, o di recarsi al suo studio, porta ad un notevole aumento del ritardo 3, in particolare se il medico non è immediatamente disponibile e non abbia gli strumenti idonei per fare diagnosi ed iniziare un qualche trattamento.
L’attivazione del numero unico dell’emergenza sul territorio nazionale (il 118) è sicuramente uno dei passi fondamentali nel semplificare la richiesta di soccorso e nel garantire il trasporto più protetto possibile, anche se il problema della qualità dell’assistenza nella fase preospedaliera è tutto da risolvere in molte regioni italiane. L’utilizzazione del sistema 118 dovrebbe poi garantire al paziente il trasporto non all’ospedale più vicino, ma all’ospedale che è in grado di risolvere al meglio il suo problema. Sarebbe molto utile che, nel momento in cui un mezzo di soccorso giunga al domicilio del paziente, possa essere garantita un’adeguata assistenza in caso di arresto cardiocircolatorio e possa essere iniziata una stratificazione prognostica basata sulla conferma della diagnosi, sulla verifica di dati clinici semplici e sulla valutazione dell’estensione dell’area ischemica. Questo implica la necessità di lettighe adeguatamente attrezzate (in particolare possibilità di trasmissione dell’ECG, defibrillatori automatici) e la presenza di personale qualificato che possa anche iniziare un trattamento efficace (dai trattamenti raccomandati alla trombolisi preospedaliera, in base alla situazione ambientale ed organizzativa). È da sottolineare il problema della scelta del centro cui avviare il paziente: con una nuova organizzazione centralizzata del soccorso, l’obiettivo deve essere quello di far giungere un paziente all’ospedale che meglio può rispondere alle sue esigenze cliniche. In questo modo si potrà evitare quella parte di ritardo nelle cure realmente efficaci legata ad un duplice trasporto. Lo sforzo organizzativo dovrà essere supportato dalla istituzione di protocolli e percorsi diagnostico-terapeutici elaborati di concerto da tutti i medici di quell’ambito territoriale coinvolti nella gestione dell’emergenza. Anche per il ritardo organizzativo è importante che venga fatta opera di educazione sulla popolazione, sia negli ambulatori che con campagne di informazione attraverso i mezzi di comunicazione.
Il ritardo intraospedaliero L’ultimo anello del RE, costituiva la quota minore nello studio GISSI , ed era prevalentemente legato ai percorsi intraospedalieri utilizzati: più breve se l’accesso in UCIC era diretto o dal pronto soccorso senza intermediari; più lungo se sottoposto alla necessità di consulenza specialistica a chiamata o se avveniva attraverso il ricovero in reparto non cardiologico. Il RE intraospedaliero è quindi legato all’organizzazione interna ma anche (ed è esperienza comune) al tipo di presentazione dell’IMA: è più facilmente riconosciuto l’infarto con chiaro sopraslivellamento del tratto ST, molto meno quello con modificazioni minime o con sottoslivellamento, ancora meno quello dei pazienti, specie se anziani, in cui la dispnea è il sintomo prevalente. I campi di potenziale intervento sono molteplici: da quelli semplicemente organizzativi a quelli eminentemente culturali. Il primo passo è costituito dalla modalità di accettazione del paziente che giunge in ospedale con dolore toracico o sintomi equivalenti: il suggerimento che si può dare, valido in tutte le situazioni ambientali, è quello di attivare un sistema di allerta più rapido per i pazienti che lamentino sintomi sospetti, in modo da avviarli prima di altri ad una più approfondita valutazione clinica e strumentale. Il triage 6-8 può essere lo strumento idoneo per cercare di ridurre i falsi positivi, ma richiede una preparazione adeguata degli operatori addetti e un’organizzazione altrettanto adeguata di tutto il percorso intraospedaliero. Altro aspetto di rilievo è quello legato alla sensibilità verso alterazioni definite minori o non significative dell’ECG: è questo un aspetto poco dibattuto ma dalle importanti conseguenze. Innanzi tutto va sottolineato come sia possibile trovarsi di fronte ad IMA certo pur in assenza di sopra- o sottoslivellamento del tratto ST come da protocollo: i limiti dei 2 mm di sopraslivellamento nelle derivazioni precordiali e di un mm nelle periferiche rischia di non far riconoscere per tempo un’ischemia acuta, soprattutto se il tracciato non è valutato da un cardiologo esperto. Vi sono poi i casi con alterazioni in derivazioni usualmente non esplorate negli ECG di routine (in particolare le posteriori e le toraciche destre) la cui esecuzione potrebbe migliorare la capacità diagnostica e prognostica.
L’utilizzo corretto dei marker di danno miocellulare, sia precoci che tardivi, è un altro elemento di grande utilità: la disponibilità di kit per eseguire queste valutazioni al letto del paziente, in assenza di un laboratorio centrale che funzioni 24 ore su 24 o che dia risposte in tempi accettabili, è un altro strumento per anticipare la diagnosi e, perciò, il trattamento adeguato. Anche in pronto soccorso andrebbe sempre eseguita una stratificazione prognostica; pochi elementi clinici semplici (età, frequenza cardiaca, pressione arteriosa, classe Killip, perfusione periferica) assieme all’estensione dell’area ischemica (numero di derivazioni ECGrafiche interessate) identificano pazienti a rischio maggiore per i quali può essere ipotizzato un trattamento più aggressivo o non convenzionale, per il quale è da prevedere, ad esempio l’accesso diretto al laboratorio di emodinamica, o il trasferimento in altro centro attrezzato. Ma il ritardo intraospedaliero non si ferma alle porte dell’ospedale, e prosegue una volta che il paziente viene trasferito nelle UCIC. Se la terapia non è stata già iniziata, è importante che il comportamento standard verso il paziente con IMA sia ben codificato, ponendo al centro dell’azione la somministrazione del trattamento trombolitico, quando indicato, e differendo perciò altre importanti attività legate all’accoglimento del paziente. Una nuova fonte di ritardo può sorgere per i pazienti destinati all’angioplastica diretta. In questi casi, se il paziente non giunge direttamente in sala di emodinamica, il rischio di far passare tempo senza un trattamento efficace è reale, e va criticamente valutato. Tempi superiori ai 30 minuti tra arrivo in ospedale e arrivo in emodinamica sono da guardare con attenzione, perché si può vanificare il vantaggio di una strategia efficace. Una soluzione al problema del ritardo per l’esecuzione dell’angioplastica primaria può venire dall’utilizzo di nuovi farmaci o di associazioni (inibitori del recettore glicoproteico 2b/3a delle piastrine da soli o in associazione a basse dosi di trombolitico) che potrebbero consentire di superare i problemi del ritardo legato all’approntamento del laboratorio d’emodinamica o al trasporto da altri ospedali. Per finire, va sottolineata un’altra forma di ritardo intraospedaliero poco percepita e poco affrontata. All’estensiva utilizzazione della trombolisi endovenosa non fa riscontro un’altrettanto diffusa abitudine a monitorare l’andamento e l’efficacia della terapia stessa. Dal momento che una riperfusione efficace, rapida, duratura e adeguata non è, al momento, conseguita nella maggior parte dei pazienti trombolisati, una percentuale variabile (oggi attorno al 50% dei pazienti) potrebbe aver bisogno di un altro trattamento, e in particolare di un’angioplastica di salvataggio. La valutazione non invasiva dell’efficacia della terapia trombolitica (possibile con metodiche di laboratorio o ECGrafiche) dovrebbe costituire l’usuale completamento del nostro intervento. In realtà, nella maggior parte dei casi, la trombolisi endovenosa, principale obbiettivo terapeutico, è considerata come l’ultimo (in senso cronologico) atto rilevante nel trattamento del paziente con IMA.
I nsieme al paracetamolo, i farmaci analgesici, cioè contro il dolore, più acquistati in Italia sono i Fans, Farmaci antinfiammatori non steroidei: fra questi rientrano per esempio l‘acido acetilsalicilico, l’ibuprofene, il diclofenac e molti altri. Parliamo di farmaci noti, come Aspirina, Aulin, Moment, Voltaren e molti farmaci equivalenti (detti anche generici). Benché molto diffusi, questi farmaci presentano rischi di seri effetti indesiderati. Non devono essere prescritti né assunti con leggerezza: non bisogna prescrivere terapie con antinfiammatori non steroidei senza valutare all’inizio della cura la reale indicazione e il rischio di effetti indesiderati in quel momento e in quello specifico paziente. La stessa valutazione deve essere riconsiderata periodicamente. Gli studi disponibili suggeriscono infatti la necessità di una maggior prudenza da parte dei medici, sia nella scelta iniziale (se, quale, quanto e come prescrivere un antinfiammatorio), sia nella prosecuzione della terapia. Particolare attenzione va riservata ai pazienti che assumono altri farmaci (ad esempio antipertensivi, corticosteroidi, anticoagulanti), specialmente se anziani.
I Fans sono utilizzati prevalentemente in terapie croniche, spesso solo come analgesici, cioè non perché sia richiesta un’azione antinfiammatoria.Possono provocare importanti effetti indesiderati, specie a livello gastrointestinale (stomaco e intestino), renale e cardiovascolare. CAPIAMO INSIEME PERCHÉ Gli antidolorifici antinfiammatori funzionano bloccando la produzione delle prostaglandine, sostanze che nel nostro organismo sono coinvolte nell’insorgere del processo infiammatorio e nella trasmissione del dolore. Le prostaglandine hanno però anche altre importanti funzioni nel nostro organismo, e proprio per questo i Fans, bloccandone l’azione, presentano anche effetti indesiderati da non trascurare. Fatta eccezione per l’acido acetilsalicilico, gli antinfiammatori, se assunti con regolarità ed elevata frequenza, possono aumentare il rischio di complicazioni cardiache o peggiorare le condizioni di salute di chi già soffre di pressione alta.
Un altro effetto è che sono irritanti per lo stomaco: fra il 5 e il 10 per cento delle persone che assumono Fans con regolarità nell’arco di un anno potrebbero soffrire di sanguinamento. Per i diabetici è bene sempre consultare il medico prima dell’assunzione dei Fans, perché studi hanno rilevato casi di insufficienze renali in seguito al loro uso.
QUANDO UN ANTIDOLORIFICO A BASE DI FANS PUÒ ESSERE CONSIGLIABILE Assumere un antidolorifico a base di FANS può essere consigliabile quando l’assunzione di paracetamolo – un antidolorifico di norma meglio tollerato – non è possibile o non è sufficiente per alleviare il dolore, soltanto per brevi periodi, per dare sollievo mentre intanto si operano tutti gli interventi necessari a capire e rimuovere la causa del problema.
Controindicazioni • Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti • Ipersensibilità agli altri analgesici, antipiretici, antinfiammatori non steroidei e in particolare verso l’acido acetilsalicilico. • Malattie epatiche pregresse. • Ulcera, sanguinamento o perforazione gastrointestinale in atto. • Storia di emorragia gastrointestinale o perforazione relativa a precedenti trattamenti con FANS o storia di emorragia/ulcera peptica ricorrente (due o più episodi distinti di dimostrata ulcerazione o sanguinamento). • Ultimo trimestre di gravidanza e durante l’allattamento (vedere “Avvertenze speciali”). • Grave insufficienza epatica. • Grave insufficienza renale. • Insufficienza cardiaca congestizia conclamata (classe II-IV dell’NYHA), cardiopatia ischemica, arteriopatia periferica e/o vasculopatia cerebrale. • In soggetti con emorragie in atto e diatesi emorragica. • Come altri FANS, diclofenac è anche controindicato in pazienti nei quali si sono verificati, dopo assunzione di acido acetilsalicilico o di altri FANS, attacchi asmatici, orticaria o riniti acute. • In caso di alterazioni nella produzione delle cellule del sangue. • In caso di terapia diuretica intensiva (vedere “Interazioni”). • Voltaren 50 mg compresse gastroresistenti è altresì controindicato in età pediatrica (< 14 anni). Precauzioni per l’uso Informazioni generali Gli effetti indesiderati possono essere ridotti al minimo somministrando la minima dose efficace per la minima durata necessaria per controllare i sintomi (vedere “Dose, modo e tempo di somministrazione” e i paragrafi sottostanti sui rischi gastrointestinali e cardiovascolari). L’uso di diclofenac in concomitanza con altri FANS sistemici, inclusi gli inibitori selettivi della ciclo-ossigenasi-2, deve essere evitato a causa della mancanza di qualsiasi evidenza che dimostri benefici sinergici e sulla base di potenziali effetti indesiderati additivi. Anziani: sul piano medico di base è richiesta cautela negli anziani. In particolare nei pazienti anziani fragili o in quelli con un basso peso corporeo, si raccomanda l’utilizzo della più bassa dose efficace. Come con altri FANS, possono in rari casi verificarsi anche reazioni allergiche, comprese reazioni anafilattiche/anafilattoidi, senza una precedente esposizione al diclofenac. Come altri FANS, Voltaren può mascherare i segni e i sintomi di infezioni a causa delle sue proprietà farmacodinamiche.
Effetti gastrointestinali Durante il trattamento con tutti i FANS incluso diclofenac, sono state riportate e possono comparire in qualsiasi momento, con o senza sintomi di preavviso o precedente storia di gravi eventi gastrointestinali, emorragia gastrointestinale, ulcerazione e perforazione, che possono essere fatali. Esse hanno in genere conseguenze più gravi negli anziani. Se in pazienti in terapia con diclofenac compaiono sanguinamento gastrointestinale o ulcerazione, il medicinale deve essere interrotto. Come con tutti i FANS, incluso diclofenac, è obbligatoria una stretta sorveglianza medica e particolare cautela deve essere usata nel prescrivere diclofenac a pazienti con sintomi indicativi di disordini gastrointestinali (GI) o con storia indicativa di ulcerazioni gastriche o intestinali, sanguinamento o perforazione (vedere “Effetti indesiderati”). Il rischio di sanguinamento GI è più alto con dosi aumentate di FANS e in pazienti con storia di ulcera, soprattutto se complicata da emorragia o perforazione. Gli anziani hanno una frequenza maggiore di reazioni avverse, soprattutto sanguinamento gastrointestinale e perforazione che possono essere fatali (vedere “Effetti indesiderati”). Per ridurre il rischio di tossicità GI in pazienti con una storia di ulcera, in particolare se complicata da emorragia o perforazione, e negli anziani il trattamento deve essere iniziato e mantenuto con la più bassa dose efficace. L’uso concomitante di agenti protettori (misoprostolo o inibitori di pompa protonica) deve essere considerato per questi pazienti e anche per pazienti che assumono basse dosi di acido acetilsalicilico ASA/aspirina o altri farmaci che possono aumentare il rischio di eventi gastrointestinali (vedere sotto e “Interazioni”). Pazienti con storia di tossicità GI, in particolare anziani, devono riferire qualsiasi sintomo addominale inusuale (soprattutto emorragia GI) in particolare nelle fasi iniziali del trattamento. E’ raccomandata cautela in pazienti che assumono medicinali concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di ulcerazione o sanguinamento, come corticosteroidi sistemici, anticoagulanti come warfarin, inibitori selettivi del reuptake della serotonina o agenti antiaggreganti come l’aspirina (vedere “Interazioni”). Quando si verifica emorragia o ulcerazione gastrointestinale in pazienti che assumono Voltaren 50 mg compresse gastroresistenti il trattamento deve essere sospeso. Anche in pazienti con colite ulcerosa o morbo di Crohn deve essere esercitata una stretta sorveglianza medica e cautela, poiché tali condizioni possono essere esacerbate (vedere “Effetti indesiderati”).
Effetti epatici In caso di prescrizione di diclofenac a pazienti affetti da insufficienza epatica è necessaria stretta sorveglianza medica, in quanto la condizione può essere esacerbata. Come con altri FANS, incluso diclofenac, possono aumentare i valori di uno o più enzimi epatici. Durante trattamenti prolungati con diclofenac sono indicati come misura precauzionale regolari controlli della funzionalità epatica. Se i parametri di funzionalità epatica risultano persistentemente alterati o peggiorati, se si sviluppano segni clinici o sintomi consistenti di epatopatia, o se si verificano altre manifestazioni (per es. eosinofilia, rash), il trattamento con diclofenac deve essere interrotto. Un’epatite con l’uso di diclofenac può verificarsi senza sintomi prodromici. Particolare cautela deve essere posta nell’uso di diclofenac nei pazienti con porfiria epatica, in quanto potrebbe scatenare un attacco. Effetti renali Poiché in associazione alla terapia con FANS, incluso diclofenac, sono stati riportati ritenzione di fluidi ed edema, è richiesta particolare cautela in caso di insufficienzacardiaca o renale, storia di ipertensione, negli anziani, in pazienti in trattamento concomitante con diuretici o con medicinali che possano influire significativamente sulla funzionalità renale e in quei pazienti con una sostanziale deplezione del volume extracellulare dovuta a qualsiasi causa (per es. prima o dopo interventi chirurgici maggiori) (vedere ”Controindicazioni”). In tali casi, quando si somministra diclofenac si raccomanda per precauzione il monitoraggio della funzionalità renale. L’interruzione della terapia è normalmente seguita da un ritorno alle condizioni precedenti al trattamento. Effetti cutanei Gravi reazioni cutanee alcune delle quali fatali, includenti dermatite esfoliativa, sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi tossica epidermica, sono state riportate molto raramente in associazione con l’uso dei FANS (vedere “Effetti indesiderati”). Nelle prime fasi della terapia i pazienti sembrano essere a più alto rischio per queste reazioni: l’insorgenza della reazione si verifica nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento. Voltaren deve essere interrotto alla prima comparsa di rash cutaneo, lesioni della mucosa o qualsiasi altro segno di ipersensibilità.
Un adeguato monitoraggio ed opportune istruzioni sono necessari nei pazienti con storia di ipertensione e/o insufficienza cardiaca congestizia (classe NYHA I) poiché in associazione al trattamento con FANS sono stati riscontrati ritenzione di liquidi ed edema. Sperimentazioni cliniche e dati epidemiologici indicano in modo coerente un aumento del rischio di eventi trombotici arteriosi (per esempio, infarto miocardico o ictus) associati all’uso di diclofenac, soprattutto ad alte dosi (150 mg/dì) e al trattamento a lungo termine. I pazienti che presentano significativi fattori di rischio di eventi cardiovascolari (ad es., ipertensione, iperlipidemia, diabete mellito, fumo) devono essere trattati con diclofenac solo dopo attenta considerazione. Dato che i rischi cardiovascolari del diclofenac possono aumentare con la dose e la durata dell’esposizione, si devono usare la minima durata possibile e la minima dose giornaliera efficace. La risposta alla terapia e la necessità del miglioramento dei sintomi devono essere rivalutate periodicamente. I pazienti con insufficienza cardiaca congestizia (classe NYHA I), cardiopatia ischemica accertata, malattia arteriosa periferica e/o malattia cerebrovascolare devono essere trattati con diclofenac soltanto dopo attenta valutazione. I pazienti devono prestare attenzione a segni e sintomi di eventi aterotrombotici gravi (ad es. dolore toracico, fiato corto, debolezza, difficoltà di parola), che possono verificarsi senza alcuna avvisaglia. I pazienti devono essere istruiti a contattare immediatamente un medico nel caso si verifichi uno di questi eventi. Effetti ematologici Durante trattamenti prolungati con diclofenac, come con altri FANS, sono indicati controlli della crasi ematica. Come altri FANS, diclofenac può inibire temporaneamente l’aggregazione piastrinica. Pazienti con difetti di emostasi devono essere attentamente monitorati. Asma preesistente In pazienti con asma, rinite allergica stagionale, rigonfiamento della mucosa nasale (per es. polipi nasali), malattie polmonari ostruttive croniche o infezioni croniche del tratto respiratorio (specialmente se collegate a sintomi simili alla rinite allergica), sono più frequenti che in altri pazienti reazioni ai FANS quali esacerbazioni dell’asma (cosiddetta intolleranza agli analgesici/asma da analgesici), edema di Quincke o orticaria. Si raccomanda pertanto speciale precauzione in tali pazienti (predisporsi all’emergenza). Questo vale anche per i pazienti allergici ad altre sostanze, per es. con reazioni cutanee, prurito o orticaria. Interazioni Informare il medico o il farmacista se si è recentemente assunto qualsiasi altro medicinale, anche quelli senza prescrizione medica. Le seguenti interazioni comprendono quelle osservate con diclofenac compresse gastroresistenti e/o altre forme farmaceutiche di diclofenac.
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