Ecco alcuni suggerimenti utili per vedere Roma Lazio in streaming live con i siti delle emittenti che operano fuori dai confini italiani, un’alternativa apprezzata dal popolo del web:
- Svizzera con l’emittente Schweizer Radio und Fernsehen;
- Turchia con l’emittente Turkish Radio and Television Corporation;
- Svezia con l’emittente Modern Times Group;
- Suriname con l’emittente Surinaamse Televisie Stichting;
- Paesi Bassi con l’emittente Sanoma Media Netherlands;
- Portogallo con l’emittente Rádio e Televisão de Portugal;
- Repubblica Ceca con l’emittente Ceca Ceská Televize;
- Paraguay con l’emittente Sistema Nacional De Television;
- Serbia con l’emittente Radio-televizija Srbije;
- Slovacchia con l’emittente Slovenská Televízia.
ROMA Da più parti viene presentato come il derby della svolta. In effetti per la Roma vincerlo equivarrebbe a mettersi alle spalle il settembre nero. D’altro canto la Lazio con 3 punti, e approfittando della sfida scudetto tra Juventus e Napoli, questa sera potrebbe regalarsi il ruolo del terzo incomodo che non t’aspetti.
La vigilia della stracittadina romana è atipica: si respirano atmosfere differenti sulle due sponde del Tevere. Da un lato la serenità dei biancocelesti che, grazie a 4 successi di fila, sono risaliti al quarto posto in classifica dopo le 2 sconfitte iniziali proprio contro Juve e Napoli. Dall’altro il nervosismo della Roma: il ‘brodino’ contro il Frosinone non ha fugato le perplessità sui giallorossi, attualmente decimi a -10 dalla Juventus capolista. Ma il derby è anche il confronto a distanza tra due tecnici in rampa di lancio come Inzaghi e Di Francesco. Il laziale non si fida: «La Roma in difficoltà? Assolutamente no, siamo a inizio stagione e si può avere un momento così. È successo anche a noi nelle prime due gare. Nel derby non ci sono favoriti, spesso i pronostici sono stati ribaltati. La gestione dello stress e la fame faranno la differenza». E lo stress è l’unica cosa che non manca a Trigoria: «E’ una partita importantissima per dare continuità, dobbiamo affrontare il derby col desiderio di vincerlo e ridare entusiasmo all’ambiente – spiega il tecnico giallorosso – Quanto è importante per il mio futuro? Lo è per quello della Roma. Io rappresento la Roma, non me stesso e cerco di fare il mio meglio per questa maglia a cui tengo tantissimo, tenendomela stretta».
DIVERSE FILOSOFIE Di Francesco gioca a carte scoperte. E non fa fatica ad ammettere «che ora non siamo competitivi per lo scudetto. Siamo però qui per cercare di recuperare». Non sarà semplice con una Lazio così in salute: «Hanno preso giocatori d’esperienza come Badelj, Correa e Acerbi, che io conosco benissimo, e hanno dato continuità al gruppo dello scorso anno e questo aiuta». La Roma, invece, ha optato per l’ennesima rivoluzione. E questo non aiuta. Guai però a dirlo a Inzaghi: «È vero che hanno perso giocatori importanti, ma ne hanno presi di altrettanto forti. Solo che bisogna dargli il tempo di inserirsi e a Roma non è facile. La garanzia della squadra giallorossa si chiama Di Francesco. È un grande allenatore, lo ha dimostrato l’anno scorso portando la Roma fino alla semifinale di Champions League. Se c’è qualcosa che temo della Roma è proprio lui». Che rispetto a Inzaghi rimane però ancora in bilico sulla panchina romanista.
Due bomber di razza. Entrambi in cerca di gol. E il derby come medicina. Edin Dzeko contro Ciro Immobile. Le fortune di Roma e Lazio passano per i loro piedi e i loro gol. Non è un caso che sia Di Francesco che Simone Inzaghi li abbiano fatti riposare nell’ultimo turno infrasettimanale, rispettivamente contro Frosinone e Udinese. Per averli al top oggi. Servono come il pane in una sfida così importate e sentita come il derby, che può essere decisa da una unica zampata vincente.
Ancora una sola rete per il bosniaco, alla ricerca del feeling migliore con la porta dopo anni passati a segnare. Molto meglio, 3 gol in 6 gare, per il bomber laziale, capocannoniere dello scorso campionato. Al suo primo anno in giallorosso Dzeko segnò alla Lazio sia all’andata che al ritorno, anche se poi non fu indimenticabile quella stagione. Meglio le ultime due, che però lo hanno visto chiudere i derby sempre all’asciutto. Ciro Immobile in maglia biancoceleste ha segnato 3 gol alla Roma, i primi 2 in Coppa Italia (sia all’andata che al ritorno nel 2016/17), l’ultimo lo scorso anno, inutile nel 2-1 giallorosso. Oggi l’ennesimo faccia a faccia.
Se la loro storia professionale, un giorno, venisse santificata da una vittoria indimenticabile, di quelle che valgono una stagione (chi è scaramantico lo ha già capito), state certi che un ragazzo di Sarajevo e uno di Torre Annunziata diventerebbero cittadini di Roma per sempre. Comunque, per portarsi avanti col lavoro, Edin Dzeko e Ciro Immobile si sono integrati nella Capitale – e insieme a loro le famiglie – come non capita così di frequente.
LUI E DIFRA Certo, il derby è una sorta di tagliando, un passaggio obbligato che fa da cartina di tornasole alle ambizioni di entrambi, soprattutto in un momento in cui il giallorosso arranca (solo un gol in 7 partite ufficiali, alla prima giornata) e il laziale è in crescita (4 reti per lui: 3 negli ultimi 3 match) . Ma il passato, com’è noto, conta solo fino a un certo punto. La Capitale, oggi, li attende. Soprattutto Eusebio Di Francesco, che perdendo malamente la Stracittadina vedrebbe di nuovo messa in discussione la panchina, nonostante la fiducia ribaditagli dalla società. Il bosniaco, insomma, stavolta gioca anche per lui. «Edin ha avuto anche delle occasioni
importanti per far gol e magari non ci è riuscito – dice il tecnico -. Deve avere grande partecipazione alla nostra manovra, è quello che mi interessa, la disponibilità nei confronti dei compagni, ma darà il suo contributo come ha sempre fatto nei grandi match. Non mi interessa il suo rendimento personale bensì l’interesse di squadra, è quello che l’anno scorso ha fatto e si diceva che ci ha preso sulle spalle. Lui ha le caratteristiche per farlo, però tutto parte da un discorso di sacrificarsi per la squadra, pensando un po’ meno al gol, che poi arriva, e più alla squadra».
GRAZIE ROMA Non un rimprovero, ma un segno della complessità del calcio italiano. «Ho giocato a calcio in molti Paesi ora, ma è solo a Roma che mi sono sentito come se fossi a casa – ha spiegato Dzeko a «The Palyers Trubune» – . Bosnia e Sarajevo saranno sempre al primo posto nel mio cuore, ma Roma è un buon secondo posto. L’Inghilterra è velocità, qui ci sono tattiche. È incredibile quanto ho imparato in tre anni in Serie A. Pensano a ogni piccolo dettaglio qui». Un rimpianto però non gli manca. «Vorrei essere venuto qui un po’ prima nella mia carriera, perché Totti mi avrebbe aiutato a segnare tanti più gol. Giocare alcune stagioni con lui ha migliorato il mio gioco in maniera
massiccia».
SIMBOLO LAZIO Anche Immobile sarebbe voluto approdare prima alla Lazio. Nella Roma biancoceleste ha trovato il suo habitat naturale, la squadra giusta dove esprimere al meglio tutto il suo potenziale, il posto ideale dove mettere radici insieme con la famiglia. Una simbiosi perfetta con l’ambiente sintetizzata da un numero: i 71 gol realizzati in due stagioni e due mesi, 3 dei quali segnati proprio alla Roma (i primi due nelle due semifinali di Coppa Italia del 2017, che regalarono alla Lazio la qualificazione alla finale; l’altro, inutile, nel derby di andata dello scorso campionato). I tifosi lo adorano, la società lo coccola. Al punto da proporgli un nuovo rinnovo contrattuale meno di un dopo il precedente. Un accordo (sarà firmato a breve) che lo porterà a guadagnare 3 milioni più bonus l’anno. Una dichiarazione d’amore che merita di essere ricambiata. E il derby è l’occasione migliore per farlo. Ciro aggiusta la mira. Per la Lazio, per il derby e anche per Olsen. Sì, con il portiere che ha negato il Mondiale a lui e all’Italia . Dice lo svedese. «Il ritiro ci ha fatto bene, ma adesso penso alla Lazio. È una partita che potrebbe darci una spinta importante per il futuro». Vero, ma Immobile oggi vuole regolare i conti.
Dubbi. Due. Manolas non sta benissimo, ma stringe i denti per farcela. Poi una scelta per la destra: in attacco Florenzi sembra in vantaggio su Under, con Santon in difesa. La questione, però, si deciderà solo oggi. Di Francesco non può sbagliare, anche se non pensa a se stesso. «Io rappresento la Roma, non me stesso. Cerco di fare del mio meglio per tenermi stretta questa maglia a cui tengo tantissimo. Attualmente non siamo competitivi per lo scudetto, l’abbiamo dimostrato. Ma nel calcio bisogna migliorarsi e guardare sempre avanti. Io credo nella crescita della squadra per recuperare posizioni». Sulla Lazio dice: «Ha fatto pochi acquisti di esperienza e ha dato continuità alla squadra. Questo è un vantaggio per una squadra». Una filosofia opposta a quella giallorosso, che vede nuovi in crisi. «Gli ambienti e i contesti fanno la differenza. Alcuni, come Cristante, devono adattarsi a questo calcio. Io non so quello che fanno al di fuori del campo i ragazzi, ma già se stanno dalla mattina alla sera sui social, o si caricano o si buttano giù definitivamente». Spesso, purtroppo, è buona la seconda ipotesi.
Stefan Radu ha saltato la rifinitura di ieri pomeriggio. Stamane, l’ultima verifica per il romeno, ma appare improbabile il suo recupero per il derby. La contrattura rimediata contro l’Empoli potrebbe fargli saltare la quarta gara di fila. A questo punto Inzaghi sarebbe orientato a confermare Luiz Felipe e Wallace in difesa. Unico rebus sulle rispettive fasce di pertinenza: Wallace dovrebbe andare a destra e Luiz Felipe sul versante opposto. In netto vantaggio Luis Alberto nel ballottaggio su Caicedo. Lo spagnolo, che ieri ha compiuto 26 anni, è pronto a tornare nel ruolo di trequartista dopo aver giocato a centrocampo a Udine (in panchina col Genoa).
MOTIVAZIONI Simone Inzaghi ha fatto sentire la sua carica: «A prescindere dalla classifica il derby è importantissimo per noi e i nostri tifosi. Vogliamo dare continuità alla serie di vittorie (5, di cui 4 in campionato, ndr) anche per aumentare l’au- tostima. La differenza la può fare la gestione dello stress e la fame giusta. Arbitra Rocchi? È una garanzia, aiuterà per far sì che lo spettacolo sia ancora migliore».
In questo sabato non qualunque, un sabato di calcio ininterrotto, il peggio, cioè quando la tv trasmetteva mezza partita, sembra essere passato. A differenza di quello che cantava una delle nostre grandi filosofe di riferimento, Rita Pavone, nessuna signora (o signorina) viene più abbandonata per andare a vedere la partita. Adesso la partita, anzi le partite entrano in casa. Però i problemi potrebbero essere gli stessi di allora, specialmente oggi, in cui si può rincorrere il pallone dalle 15 alle 23, giusto il tempo per il bagno e uno spuntino. Il palinsesto: ore 15 Roma-Lazio (Sky); ore 17.15 Nizza-Psg (Dazn); ore 18 Juventus-Napoli (Sky); ore 18.30 Chelsea-Liverpool (Sky); ore 20.30 Inter-Cagliari (Dazn); ore 20.45 Real Madrid-Atletico Madrid (Dazn). Pur senza avere il pacchetto completo, anche un programma parziale non è male. Il meglio del calcio europeo in onda. C’è il derby di Roma, con la Lazio che ha ripreso il suo passo e la Roma che ha ripreso colore maramaldeggiando con il Frosinone. C’è la sfida al vertice tra la Juventus di Ronaldo e il Napoli del nuovo corso ancelottiano, per vedere rendere il campionato più interessante oppure cominciare a scrivere un epitaffio; c’è da capire se l’Inter ha realmente svoltato; c’è da buttare un occhio al Psg impegnato a Nizza. Buffon c’è, Balotelli no. In chiusura Real Madrid-Atletico Madrid, un derby che non appartiene solo alla Spagna, ma anche all’Europa.
E’ lo spezzatino bellezza e per un ragazzo dei Sessanta-Settanta come me, questa è una meraviglia. Chi si lamenta non è cresciuto con tre canali, di cui uno era la Tv Svizzera, canale italiano. Per chi amava il calcio, allora, c’era metà di un tempo di una partita registrata la domenica sera, la trasmissione delle Coppe cominciava dai quarti. Per fortuna avevano inventato “Tutto il calcio minuto per minuto”, la domenica pomeriggio e si andava in centro per lo struscio con le ragazze accanto e la radio all’orecchio. Le signore/signorine protestavano, ma meno, credo, di quello che succede ora. Mia moglie mi chiede, all’imbrunire, con la rassegnazione già presente nella voce: «C’è una partita anche stasera?». Più che una domanda è un’affermazione.
Le tv non sono interessate al benessere domestico, altrimenti non metterebbero le serie più amate contro le partite più attese. Almeno si resta a casa, rispondo io. Rita Pavone, in realtà, non si lamentava solo del fatto che veniva abbandonata ogni domenica dopo un pranzo consumato in fretta, ma perché sospettava che la partita fosse una scusa. Insomma uno schermo per nascondere un certo contrabbando amoroso. Almeno da questo punto di vista abbiamo risolto. Però la crisi familiare potrebbe venire da un diverso tipo di conflitto. Quello, pomeridiano, per il controllo del salotto un tempo, il sabato, dominio della parte femminile. Quello, serale, per il telecomando, c’è un grande Piero Angela dall’altra parte. Insomma è un grande sabato di calcio e di sport ed è meglio chiarirlo subito, magari contrattando. Avevo promesso a mia moglie di uscire per una commissione. Perderò il derby di Roma. Ma il resto no. Ah, volendo, si può andare oltre il pallone: le qualifiche del GP di Sochi rombano dalle 14 (Sky), la Ryder Cup di Golf parte alle 8 del mattino, si sa i golfisti cominciano presto (Sky). Per finire, dopo i vari studi, alle 00.40, ancora su Sky, c’è Argentina-Nuova Zelanda di rugby, Pumas contro All Blacks, due grandi scuole a confronto. Ma a quell’ora non dovrebbero più esserci discussioni. O avete salvato la vostra famiglia da tempo, oppure no. Potrete godervi la palla ovale nel silenzio della casa.
Anche noi, come tutti gli appassionati di calcio, oggi ci metteremo davanti alla tv dalle tre del pomeriggio alle undici di sera. Otto ore di pallone. Si cena dopo. Ci divertiremo, questo è sicuro. Ma il calcio, quello vero, non esce da uno schermo piatto, nemmeno da quelli 4k. Esce solo dal campo. Ci divertiremo sapendo però che lo spettacolo a cui stiamo assistendo è un surrogato, non è fonte prima, ma solo una derivazione. Un estratto. E rimpiangeremo il tempo della partita vera. Perché ce n’è una sola possibile, quella vista dalla tribuna.
Da sempre proviamo una grande invidia per chi è capace di farsi un’idea esatta di una partita guardandola in tv. Vi garantiamo che ce ne sono, e anche bravi, molto bravi. Ma appartengono a una categoria leggermente diversa dalla nostra. Sono analisti sportivi più che giornalisti sportivi. Per chi scrive, il calcio non è e non sarà mai scienza. Il calcio è umanità e l’uomo si contraddistingue per le emozioni che prova e per la capacità di esserne contagiato. Il calcio, senza emozioni, non è calcio. La tv riesce a trasmetterle, però non nello stesso modo intatto del campo, della tribuna. Non è solo una questione di tifo. Pagheremmo chissà cosa per essere oggi all’Olimpico o allo Stadium. Pur non appartenendo a nessuna della quattro tifoserie, vivremmo un altro pomeriggio indimenticabile, anche di fronte a uno 0-0, convinti che quello che avverti dentro uno stadio non è paragonabile a niente.
Non dipende nemmeno dall’importanza della partita. Fra le gare che non dimenticheremo mai c’è un Livorno-Pisa di Serie B all’Ardenza con Protti in campo e la tensione ai massimi livelli. Una roba che ti resta dentro. Quando era ct, Prandelli parlò della differenza fra una partita vista in tv e vista dal vivo. Faticava a capire come fosse possibile farsi un’idea precisa di qualcosa che accade in 7.350 metri quadrati ridotto in uno schermo, maxi quanto volete, ma mai più grande di 3 o 4 metri quadrati. Questo vale per chi deve seguire e raccontare la partita. Ma per chi vede il calcio per puro divertimento, ancora peggio. Dentro uno stadio non perdi un istante, ci sei dentro con la testa, col cuore, con i nervi. A casa tua, mentre la palla è sul dischetto del rigore, sbuca tua moglie e ti chiede di portare il cane a fare due passi. Viva lo stadio. Sempre.
E’ un multi-derby, formato gigante: centosettantasei partite racchiuse in una, divise per ogni presenza estrapolata dai curriculum di chi lo giocherà oggi. E’ un derby moltiplicato al passato, rivolto al futuro. Ma le presenze contano e non contano, ogni volta è la prima volta. Miti e riti, apprendisti e maestri, novellini e navigati: il senso del derby non cambia in base all’età. Nessuno, neppure il più presenzialista, il più recordman, l’habitué degli habitué, conosce il segreto per vincere «la partita a sé». E’ sempre un’emozione giocarla, è sempre un’inquietudine prepararla. Le bandiere. Di derby in derby si entra e si esce dalla storia. Roma e Lazio s’aggrappano alle loro bandiere. De Rossi, capitano giallorosso e nuovo capostipite, ne ha giocati 29 (13 vinti, 7 pareggiati, 9 persi). Ha il maggior numero di successi ascritti sul conto personale. Lulic, capitano laziale, nel 2013 ha marchiato un derby di valore epocale e nella devozione laziale è diventato santo subito. Il derby del 26 maggio vale a vita. Sono De Rossi e Lulic i più esperti assieme a Radu (16 derby giocati), annunciato fuori. Kolarov, il bipartisan, è l’unico ad averlo vissuto da una parte e dall’altra: 5 presenze firmate con la maglia della Lazio (3 vittorie), 2 con la maglia della Roma (una vittoria). Sono 11 i romanisti della rosa attuale ad aver giocato il derby per un totale di 87 presenze (tra campionato e Coppa Italia). Sono 17 i laziali che l’hanno vissuto per un totale di 89 presenze. Il totale fa centosettantasei derby (in uno). E’ quasi pareggio in quanto ad esperienza, il numero pende un pò di più dalla parte biancoceleste. Sono quindici, invece, i romanisti esordienti tra titolari e riserve: spiccano Olsen, Nzonzi e Pastore. Sono dodici i laziali debuttanti: Acerbi è l’unico dei titolari (annunciati) all’esordio totale nella partitissima. Acerbi, sempre lui, è il mister Stachanov del calcio italiano: oggi taglierà il traguardo delle 130 presenze di fila (tra campionato e Coppe). Gioca e rigioca dall’ottobre 2015, sono quasi tre anni. Le curiosità. Non solo De Rossi, Lulic, Radu e Kolarov meritano una citazione speciale. Sono diventati uomini-derby, per presenze, anche Florenzi, Manolas (10 presenze per entrambi) e Parolo (9). Personaggi in vista, star, big, eroi. Il derby può essere raccontato attraverso storie e numeri, ma sfugge ad ogni pronostico e può eleggere a nuova star chiunque. Chi l’ha giocato e chi non l’ha giocato, chi lo gioca dall’inizio, chi pensa di non giocarlo per niente e si ritrova in campo. I numeri. Sarà il 149° derby di serie A: i giallorossi l’hanno vinto 53 volte, i biancocelesti 37, sono 58 i pareggi. La Roma, contro nessuna squadra, ha diviso più volte il risultato e non è stata una scelta. Ogni derby mette in palio scettri e corone, copertine e riflettori. Quanto più lo si aspetta tanto più lo si vuol vincere. L’importante non sarà mai partecipare.
Forse il derby non è il Colosseo, come ha raccontato con nostalgia Totti, ma è un cosa molto grande perché infiamma le vene e asciuga le energie. Non bisogna stupirsi allora se Eusebio Di Francesco, abruzzese pasionario, si batta le mani sul petto afferrando il logo della Roma sulla polo grigia per illustrare il suo stato d’animo alla vigilia della partita più importante: «Non è il mio futuro in ballo. Conta solo il futuro della squadra. Perché io rappresento la Roma, che alleno con grande orgoglio. Questa maglietta voglio tenermela stretta e per questo sto facendo il massimo per continuare un cammino di crescita».
FEDELTA’. Di Francesco sa che la sua panchina è ancora a rischio. Ma dopo aver visto Roma-Frosinone si è sentito rincuorato: sia dal rendimento dei giocatori che evidentemente non l’hanno abbandonato, sia dall’atteggiamento del pubblico che ha insultato società e squadra ma ha salvato l’allenatore dalla contestazione. «La Curva Sud mi ha manifestato stima e sostegno – ammette – e questo mi fa piacere. Ma non credo di essere fuori dalle critiche dei tifosi, come è giusto che sia. Quello che posso dire è che la Roma farà di tutto per trascinare la sua gente. Il romanismo è una dote speciale che non possiamo disperdere, almeno con l’atteggiamento: è doveroso lottare su ogni pallone per meritare di essere appoggiati. Ma sono sicuro che loro ci sosterranno, come hanno fatto anche a Bologna fino all’85’».
MESSAGGI. Guarda dall’altra parte del campo e vede una Lazio lanciata, al di là dei 4 punti in più in classifica: «Loro hanno il vantaggio di aver inserito pochi giocatori esperti, pronti, in un contesto che già funzionava. Dare continuità aiuta, anche per il sistema di gioco». Sembra una considerazione, garbata ma risoluta, rivolta alle strategie di mercato di Monchi: forse Di Francesco avrebbe preferito impiantare nella rosa un centrocampista come Badelj a parametro zero piuttosto che investire 6 milioni su un altro croato, il giovane Coric, che è andato sempre in tribuna nelle ultime quattro partite: «Io però non devo guardare la Lazio. Devo guardare le nostre cose».
LE SCELTE. Di Francesco annuncia pubblicamente la conferma di De Rossi («Sarà il nostro capitano nel derby») e di Dzeko, a cui rivolge un appello: «Deve pensare un po’ meno al gol e più alla squadra. Edin ha le caratteristiche per prendersi la Roma sulle spalle, mi aspetto che nel derby dia un grande contributo come sempre accade nelle grandi partite». L’idea è confermare il 4-2-3-1 con Pastore trequartista e la coppia De Rossi-Nzonzi davanti alla difesa: «Per il nostro equilibrio in questo momento i due mediani sono fondamentali. Ma non diamo niente per scontato, non intendo dare vantaggi all’avversario, può starci anche qualche sorpresa nella formazione iniziale. Sto facendo delle valutazioni su tutto, anche sul periodo: abbiamo tante partite ravvicinate». Tra i più affaticati non vede De Rossi ma Ünder: «Gengo è uno scattista, spende molto a livello energetico e neuromuscolare. Tutti i calciatori vogliono giocare sempre ma io devo scegliere gli uomini più adatti partita per partita». Tipo El Shaarawy? «Stephan sta crescendo in termini di continuità. Era quello che gli mancava. Mi piace il suo atteggiamento, si sta prendendo delle responsabilità e lavora bene sulle due fasi».
PERCORSO. Gli passa davanti la parola scudetto, riflette, risponde: «Attualmente si è visto che non possiamo competere per il primo posto. E’ difficilissimo oggi pensare allo scudetto, tanto più a Roma dove per tanti motivi non è che si sia vinto tanto spesso… Ma noi siamo qui per rimetterci in corsa, per guadagnare posizioni su posizioni. La risalita passa anche per questo derby che non sarà decisivo, in un campionato appena iniziato, ma di sicuro conta moltissimo per noi».
Simone ha fame di emozioni e di successi. Si mangerebbe il derby, pallone compreso. Non batte la Roma dal 30 aprile 2017 e l’astinenza lunga più di un anno, per un ex centravanti diventato allenatore a Formello, è diventata insopportabile. Stima Di Francesco, lo deve battere come era riuscito con Spalletti, riprendendosi lo scettro della città. Ci pensa da mesi, anche se questa volta l’attesa è sembrata più corta. In realtà suo fratello Pippo e il Bologna avevano firmato domenica il primo colpo della famiglia e Simone, tra Genoa e Udinese, ha dato vita a un turnover mai visto in casa Lazio. In poche ore ha cercato di caricare il gruppo. «E’ importantissimo per noi e per tifosi, vogliamo continuare la nostra striscia. La differenza possono farla la gestione dello stress e la fame che riusciranno ad avere i miei giocatori. Ci vuole la fame giusta per vincerlo». STRATEGIA. Inzaghi non crede alla crisi della Roma. «Non penso siano in difficoltà, può essere un momento come lo è stato per noi alle prime due giornate, si sono ripresi con una bella vittoria, tireranno fuori una grande partita». Certo per la Lazio vincere significherebbe scavare un bel solco e dare la svolta al girone d’andata. «Dobbiamo continuare e non fermarci, il campionato corre veloce. Vincere darebbe seguito ai risultati e aumenterebbe l’autostima, ma siamo all’inizio, per bilanci e classifiche c’è tempo, il divario di punti non significa niente». Di Francesco può variare il tema tattico e sorprendere, la Lazio ha una fisionomia precisa e prevedibile. «Abbiamo analizzato le ultime due partite con Bologna e Frosinone, le hanno giocate in modo diverso, ci siamo preparati per tutti e due i moduli, possono optare per due mediani e Pastore o mettersi 4-3-3, ma noi siamo pronti». VALORI. Il derby servirà per misurare lo spessore e le ambizioni della Lazio, capendo se il gap dalla Roma si è ridotto. «Sulla carta è rimasto» ha risposto Inzaghi, abituato a giocare al ribasso, forse troppo. «Tutte le squadre di vertice si sono rafforzate, noi abbiamo inserito giocatori importanti che ci consentiranno più rotazioni». In realtà la Roma è stata stravolta dalle cessioni di Strootman, Nainggolan e Alisson. «Hanno fatto dei cambiamenti, perdendo giocatori importanti rimpiazzati con giocatori altrettanto importanti, stanno avendo qualche problema, ma ci sono i momenti durante la stagione. Temo il gruppo e l’allenatore, sono sempre molto organizzati, dovremo far sì che lo siano meno». Di Francesco era stato abilissimo nel derby d’andata del passato campionato, al ritorno finì 0-0 confermando la sensazione che la Lazio, nei confronti diretti con le big, non riuscisse a imporsi. «Ho grandissima stima di Eusebio, so quanto sia difficile allenare in una piazza come Roma, è arrivato in semifinale di Champions. Come me ha avuto la fortuna di essere stato giocatore prima che allenatore della stessa squadra. L’ultima volta noi venivamo dal ko di Saliburgo e loro dall’impresa con il Barcellona. Bisogna arrivarci nel migliore dei modi». La Lazio, da questo punto di vista, sembra in vantaggio. «Nel derby non ci sono favoriti, i pronostici spesso sono stati ribaltati». Dirigerà Rocchi. «Penso sia una garanzia, ha arbitrato tanti derby, ci aiuterà a far sì che lo spettacolo sia migliore». Pochi laziali all’Olimpico. Inzaghi li aspetta. «Alla fine i nostri tifosi risponderanno. Sinora posso solo ringraziarli, mi viene in mente Empoli quando siamo arrivati con il pullman e ne abbiamo trovati sul piazzale 2500 ad aspettarci. Sono qui da 20 anni e i tifosi della Lazio non hanno mai tradito, nonostante si giochi in trasferta ci faranno sentire in casa».
C’era una volta il Giubileo del 2000 e uno scudetto che si muoveva da una parte all’altra del Tevere come il più abile dei barcaroli. Erano i tempi in cui Di Francesco e Inzaghi si sfidavano da giocatori nel derby. Ne hanno vinto uno a testa. Ad esultare per primo è stato Eusebio, il 21 novembre 1999. L’Olimpico è strapieno e l’aquila arriva alla sfida da capolista e imbattuta. Eppure ci lascia le penne. La squadra di Capello gioca a meraviglia e fa 4 gol nel primo tempo con le doppiette di Delvecchio e Montella, rendendo di fatto inutile il 4-1 finale di Mihajlovic. Di Francesco entra al 67’ al posto di Zanetti, mentre Inzaghi prende il posto di Salas 6 minuti dopo. Tra loro un paio di contrasti (vinti dal romanista) e qualche scintilla. Niente di più. I due crescono con il passare delle gare e sono titolari al ritorno, il 25 marzo 2000. La Lazio è a -9 dalla Juve e vincendo può accorciare a una settimana dallo scontro diretto. Inizia con Montella che frega tutti – anticipando pure Di Francesco pronto a calciare – nell’azione dell’1-0 al 3′ minuto. Poi si sveglia la Lazio: Inzaghi diventa protagonista con un assist al bacio che Nedved trasforma in gol per l’1-1; 180 secondi dopo Veron mette il pallone sotto l’incrocio da punizione. La Lazio riapre così la lotta per uno scudetto che vincerà in rimonta. La stagione dopo, quella del tricolore giallorosso, Di Francesco manca all’andata e Inzaghi al ritorno. I due si sfideranno ancora, ma con maglie diverse e la statistica totale (che comprende i Piacenza-Roma con Simone in Emilia e i Piacenza-Lazio con Eusebio in Emilia) è di 7 partite con 4 vittorie del laziale, 2 del romanista e 1 pari. Simoncino è avanti anche nelle sfide in giacca e cravatta con 2 vittorie contro 1 (più un pareggio), ma il derby fin qui l’ha vinto solo Eusebio.
Ancora qualche partita a digiuno e il cigno di Sarajevo potrebbe diventare un brutto anatroccolo. Dategli un assist come si deve e fatelo in fretta perché i romanisti non sono più abituati a vedere prestazioni come quelle di Madrid e Bologna. Edin Dzeko non fa gol dal 19 agosto, esattamente da 6 gare. L’ultimo è arrivato a Torino, nella prima trasferta, dove più che una rete aveva pennellato un’opera d’arte: cross di Kluivert e tiro al volo di sinistro per dimostrare agli scettici che la magia di Stamford Bridge contro il Chelsea in Champions non era frutto della dea bendata, ma solo e soltanto un’opera del suo genio. Da lì in poi l’artista si è bloccato, come un pittore davanti alla tela bianca. Una crisi in cui è emerso un nervosismo mai visto neanche nel campionato d’esordio in Italia, quello degli 8 gol e delle critiche da parte dei tifosi. Di Francesco gli sta cambiando continuamente gli esterni (Under, El Shaarawy, Kluivert e Perotti) senza mai fargli trovare il partner ideale (Ah, l’amico Salah…), poi ha sostituito anche lui quando la panchina scottava e serviva vincere e convincere col Frosinone. Al suo posto ha giocato Schick e Dzeko non l’ha presa per niente bene, poi ha capito che un turno di riposo avrebbe rilassato dei nervi troppo tesi in vista della partita che conta davvero, quella di oggi contro la Lazio. Nelle precedenti era stato piuttosto discutibile il suo atteggiamento, quasi spazientito da una Roma il cui gioco faticava a decollare. Un paio di volte è stato pizzicato dalle telecamere a discutere con i compagni per un passaggio sbagliato e non sono mancate neanche le occhiatacce a Di Francesco con le braccia larghe in segno di sconsolazione. Tutto cancellato. O almeno così pare dalle indiscrezioni che filtrano da Trigoria. Si dice che Dzeko non solo sia pronto per la stracittadina, ma abbia pure il colpo in canna. L’ex Manchester City sa come far male ai biancocelesti. Gli è successo due volte da quando è a Roma e sempre nella stagione 2015-16, quella dell’esordio. Il bosniaco quell’anno non segnava praticamente mai, eppure bucava la Lazio con una facilità estrema, sia all’andata – in cui realizzò il rigore del vantaggio nel 2-0 finale – che al ritorno, dove fece il gol dello 0-2 nella partita (conclusa 1-4) dell’esonero di Pioli. Giriamola in un altro modo: il gol di Dzeko potrebbe aver favorito o almeno accelerato l’insediamento di Inzaghi sulla panchina laziale. Probabile, ma Simone in qualsiasi caso si è visto bene dal restituirgli il favore e nelle 6 partite in cui ha affrontato la Roma da allenatore lo ha sempre ingabbiato. Sono passati due anni e 3 mesi dall’ultima esultanza di Dzeko nella stracittadina. Nel frattempo ha segnato a raffica e si è preso il gradino più alto del podio insieme a Batistuta nel sondaggio sul sito del Corriere dello Sport-Stadio. Chi è stato il più grande bomber della storia giallorossa? I tifosi hanno votato il centravanti dello scudetto e quello del presente. Ora dovrà dimostrare di meritarsi questa medaglia d’oro ex aequo facendo un altro passo verso la gloria: vincere il derby con il terzo gol alla Lazio. Sarebbe la 75a rete in giallorosso e non ci sarebbe occasione migliore per superare il principe Giannini nella classifica degli attaccanti romanisti più prolifici di sempre.
Ne ha vinto solo uno su cinque, in realtà ha festeggiato due volte, perché non era mai capitato di perdere e abbracciarsi con il sorriso per aver eliminato la Roma, come è successo alla Lazio, nella semifinale di Coppa Italia del 2017. Immobile immarcabile, segnò un gol all’andata e uno al ritorno. Spalletti ribaltò il risultato trovando il 3-2 negli ultimi minuti, quando la Lazio stava ormai facendo solo il conto alla rovescia per arrivare al novantesimo. Sessanta giorni meravigliosi per Inzaghi e il suo gruppo perché il 30 aprile arrivò un altro successo, l’ultimo in ordine cronologico, con il 3-1 in trasferta griffato dalla doppietta di Keita. Ciro si era arreso all’influenza durante il riscaldamento, sostenuto per provare a mettere paura ai giallorossi. Nella passata stagione lo 0-0 del ritorno e il ko del girone d’andata, segnando su rigore il gol dell’illusione: finì 2-1 per la Roma. 27 GOL DECISIVI. Ora Immobile vuole tornare a lasciare il segno. Nessuno è decisivo in Serie A quanto lo è stato Ciro negli ultimi due anni ed è strano non ci sia ancora riuscito nell’avvio di questo nuovo campionato. Una prodezza per spaventare il Napoli prima di subire il sorpasso, una doppietta con il Genoa nella partita piegata a favore dalle reti di Caicedo e Milinkovic. Di solito il centravanti azzurro è abituato a segnare gol pesantissimi. I suoi guizzi spostano le partite. Sono sentenze. Nel 2016/17 si fermò (si fa per dire) a quota 23 gol, di cui 11 decisivi. Nel passato campionato si è laureato capocannoniere (ex aequo con Icardi) segnando 29 reti, di cui 16 determinanti. Dove per “gol decisivo” si intende quello che ha orientato il risultato, portando punti alla Lazio: ai fini puramente statistici, il gol senza il quale sarebbe stato impossibile centrare una vittoria o un pareggio. Non possono essere considerati allo stesso modo quei gol che non determinano il risultato. 36 punti. Lo score di Immobile nei due precedenti campionati è stato impressionante. Nel 2016/17 i suoi 11 gol decisivi (sui 23 totali) hanno prodotto 18 punti. Esattamente come Dzeko che aveva realizzato 29 reti. Nel campionato scorso Ciro si è superato: ha raggiunto quota 29, di cui 16 determinanti ai fini del risultato, portando 18 punti sui 71 realizzati in 38 giornate dalla Lazio e chissà come sarebbe andata a finire se avesse giocato a Crotone alla penultima giornata invece di saltare quella partita per un infortunio muscolare, fatale nella corsa Champions. Dzeko, invece, aveva portato soltanto 4 punti alla classifica della Roma. Anche nello scorso campionato nessuno è stato decisivo quanto Immobile con i suoi gol. Viene da un’estate complicata e in cui ha faticato, quando la Lazio, a raggiungere la forma e una buona condizione atletica. Domenica scorsa, con qualche spallata, lo ha aiutato Caicedo a trovare spazio. Oggi dovrà puntare Manolas e Fazio sfruttando i rifornimenti in profondità di Luis Alberto, destinato a ritrovare il suo posto nel ruolo di trequartista. Formavano la coppia che aveva convinto Inzaghi a cancellare Felipe Anderson. Si devono ritrovare per riportare la Lazio a sognare la Champions.
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