Un aiuto molto speciale, nella cura e nel trattamento del morbo di Parkinson potrebbe arrivare da un ballo sardo. Si tratterebbe del Ballu Tundu, ovvero un ballo che potrebbe migliorare le condizioni di salute dei pazienti affetti dal morbo di Parkinson. E’ questo quanto è emerso da uno studio che è stato condotto dai ricercatori dell’Università di Cagliari che è intitolato “Sardinian Folk Dance for Individuals With Parkinson’s Disease: A randomized controlled pilot trial“. I ricercatori, avrebbero condotto uno studio su circa 20 pazienti sardi, sia donne che uomini, ai quali negli ultimi 5 anni è stata diagnosticato il Parkinson. Lo studio ha avuto una durata di circa 2 anni e su questi pazienti monitorati, questo ballo tradizionale sardo, sembra aver avuto un effetto piuttosto positivo. Si tratta del Ballu Tundu, un ballo che apporta degli effetti positivi, contribuendo a migliorare l’equilibrio, la capacità di esercizio, la lunghezza del passo e va a potenziare la forza degli arti inferiori.
Ma non finisce qui, perché andrebbe anche a migliorare la sintomatologia di depressione, apatia e disturbi cognitivi. Insomma, è facile capire come effettivamente questo ballo tipico sardo possa aiutare a migliorare tutta una serie di sintomi dei pazienti che sono affetti dalla malattia neurodegenerativa. Lo studio, piuttosto innovativo è stato pubblicato sulla rivista Journal of Alternative and Complementary Medicine. Il morbo di Parkinson, purtroppo è una patologia neurodegenerativa progressiva, la quale è stata descritta per la prima volta da un medico inglese di nome James Parkinson nel 1817.
Ai tempi venne definita una sorta di paralisi agitante. E’ stato con l’avanzare degli anni e con l’avanzare della ricerca scientifica che la malattia di Parkinson venne identificata come un disturbo grave del sistema nervoso centrale, provocato da un deterioramento progressivo di cellule cerebrali che operano nella zona più profonda del cervello.
Tali cellule sono quelle responsabili all’attivazione dei neurotrasmettitori come la dopamina che va a stimolare ed a regolare i movimenti del corpo. Ad oggi le cause sono sconosciute, ma si presume che possano avere origini genetiche ed ambientali. Quali sono i sintomi del Morbo di Parkinson? Sicuramente il tremore è uno dei sintomi più noti della malattia, ma anche la limitazione dei movimenti. Tra gli altri sintomi citiamo la lentezza dei movimenti, rigidità muscolare ed instabilità posturale. Oltre a questi, esistono anche dei campanelli d’allarme e che in qualche modo potrebbero predire la malattia anche di tanti anni. Tra questi vi segnaliamo l’insonnia, la stipi, depressione, iposmia, ipotensione ortostatica. Nello specifico la depressione che viene associata al Parkinson, è molto più frequente nelle donne e più nello specifico prima dei 50 anni.
IL MORBO DI PARKINSON
La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa cronica e progressiva del sistema nervoso centrale, tipicamente caratterizzata dalla presenza di sintomi motori cardinali quali bradicinesia, rigidità e tremore, ai quali si associa instabilità posturale. Il coinvolgimento prevalentemente motorio della malattia ne determina il suo usuale inquadramento tra i disordini del movimento. La malattia consegue principalmente alla deplezione delle proiezioni dopaminergiche al nucleo striato come risultato della massiva degenerazione (oltre il 60% all’esordio dei sintomi motori) dei neuroni della pars compacta della substantia nigra.
Caratteristica distintiva neuropatologica è rappresentata dall’accumulo, soprattutto a livello della substantia nigra stessa, di inclusioni eosinofile filamentose intracitoplasmatiche denominate corpi di Lewy, costituite principalmente da aggregati di una proteina, la α-sinucleina, in forma alterata insolubile. La deposizione di tali aggregati è stata rilevata a livello di corpo cellulare e neuriti, non solo a livello del tronco encefalo, ma nella corteccia e, perifericamente, nel sistema nervoso enterico. È discusso se il riscontro di tale alterazione istologica rappresenti in sé la patologia primaria, o sia solo un indicatore del processo di neurodegenerazione.
La eziopatogenesi della malattia di Parkinson è attualmente sconosciuta, ma considerevoli prove ne individuano una origine multifattoriale, che coinvolge fattori genetici e ambientali. La diagnosi di Parkinson è eminentemente clinica e allo stato attuale basata sulla identificazione, durante un approfondito esame neurologico e dopo una accurata anamnesi, di segni e sintomi caratteristici della patologia, correlati al deficit dopaminergico conseguente alla degenerazione nigrostriatale, e sulla esclusione di eventuali sintomi atipici. La malattia di Parkinson idiopatica è caratterizzata da una progressione relativamente lenta e da una evidente risposta alla terapia farmacologica dopaminergica, che può tuttavia perdere di efficacia durante il corso naturale della malattia. A dispetto dell’enfasi posta sulla sintomatologia motoria, è apparso evidente negli ultimi anni come sintomi non motori e non dopaminergici siano presenti inevitabilmente nella progressione della patologia, e talvolta anche nella fase che precede l’esordio del disturbo motorio, e quindi la diagnosi clinica. I sintomi non motori possono divenire rilevanti nelle fasi più avanzate, assumendo un ruolo determinante sulla disabilità e sulla qualità della vita, anche in considerazione della scarsa responsività alla terapia con L-dopa.
Appare quindi necessario rileggere la tradizionale visione della malattia di Parkinson come disordine esclusivo del movimento e considerarla una sindrome complessa, di cui il quadro di deterioramento motorio costituisce solo la parte emersa di un iceberg. I substrati neuroanatomici e neuropatologici della maggior parte dei sintomi non motori sono sconosciuti e, considerata la varietà di questi, la questione è aperta ad ampie speculazioni fisiopatologiche. È stato suggerito che sintomi quali il deficit olfattivo, i disordini del sonno (REM sleep Behaviour Disorder – RBD), la depressione e la stipsi possano essere presenti anche prima dei disturbi motori.
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