Da agosto nelle farmacie italiane non si trova il Questran, un vecchio farmaco poco costoso ma efficace e insostituibile per chi soffre di morbo di Crohn. I pazienti, specie quelli che sono stati sottoposti a intervento, hanno tempestato di telefonate le farmacie di tutte le regioni, hanno chiesto aiuto alle asl e alle strutture ospedaliere, hanno cercato disperatamente di mettersi in contatto anche con il ministero della Salute. Ma, come conferma il sito dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), la carenza è dovuta a problemi di produzione legati alla fornitura del principio attivo e dovrebbe terminare entro il prossimo 28 febbraio.
“E noi come facciamo intanto? Un farmaco alternativo non esiste, lo dicono gli stessi medici. Specialmente per noi che siamo stati operati di Morbo di Crohn quella bustina di medicinale è fondamentale. Senza quel farmaco siamo come invalidi, siamo costretti a stare chiusi in casa perchè abbiamo bisogno continuo della toilette”, racconta Margherita Guasparini, una paziente di Lucca che sta cercando il Questran in tutta Italia, come tanti altri che soffrono della stessa patologia. E continua: “Il consiglio sul sito dell’Aifa è di farsi segnare dal medico un medicinale alternativo o di chiedere a una struttura sanitaria di comprarlo all’estero, ma il farmaco analogo non c’è e la richiesta all’estero non ha avuto risposte perchè neanche fuori dall’Italia si trova”. Del resto basta dare un’occhiata ai social per capire quante persone stanno cercando affannosamente di avere informazioni sul Questran. E adesso aspettano che almeno un segnale arrivi dal Ministero della Salute. Il morbo di Crohn è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino che può colpire qualsiasi parte del tratto gastrointestinale, provocando una vasta gamma di sintomi anche importanti.
La Malattia di Crohn è un’infiammazione cronica che colpisce il canale alimentare; può coinvolgere l’intero tratto che va dalla bocca all’ano, ma si localizza prevalentemente nell’ultima parte dell’intestino tenue (ileo), nel colon oppure in entrambi. Infiammazione, gonfiore ed ulcerazioni, interessano a tutto spessore la parete intestinale dei tratti colpiti. Trascurando le diversità da caso a caso, nella Malattia di Crohn, i dolori addominali (che talvolta simulano un attacco d’appendicite) – associati a diarrea e in alcuni casi a febbre – sono i sintomi predominanti. Il dolore, che spesso si manifesta dopo i pasti, si localizza a livello dell’ombelico o nella parte destra dell’addome. Più raramente, possono comparire altri sintomi come dolori articolari, diminuzione dell’appetito o dimagrimento. Si tratta di una patologia cronica caratterizzata dall’alternanza di periodi di benessere a fasi di ricaduta, senza che sia possibile prevedere uno stadio di riacutizzazione della malattia, dopo il trattamento farmacologico o l’intervento chirurgico.
Le prospettive sono variabili e dipendono da molti fattori, oltre che naturalmente dal grado di estensione del morbo. Alcuni malati possono avere sintomi intermittenti di dolori addominali e devono stare attenti alla dieta. Altri richiedono invece cure costanti con somministrazione di alte dosi di cortisonici ed altri farmaci. Altri ancora necessitano di interventi chirurgici per trattare le frequenti occlusioni intestinali (una delle complicanze della patologia). «La maggior parte dei pazienti si trova, comunque, in una situazione intermedia e conduce una vita sana, senza necessità di seguire una dieta ed assumere farmaci al bisogno». Nella Malattia di Crohn si possono verificare delle complicanze sia intestinali sia extra intestinali, che riguardano il 10-20% dei pazienti: tra le più comuni vi sono, episodi di stenosi intestinale, perforazioni (nei casi di una patologia molto attiva), ascessi addominali e fistole (considerati un’estensione dello stesso processo patologico, tale da richiedere in alcuni casi l’intervento chirurgico). Le complicanze extraintestinali possono interessare cute e articolazioni, oltre ad alcune malattie del fegato e delle vie biliari
LE CAUSE: UN’EREDITÀ DEL CODICE GENETICO?
Non si tratta di una malattia ereditaria nel senso stretto del termine; è vero che esiste una maggiore probabilità di Malattia di Crohn nell’ambito di una famiglia all’interno della quale vi sia un membro già affetto, ma comunque se un soggetto è malato, vi è una bassa probabilità che un eventuale figlio possa contrarre a sua volta la patologia. A oggi le cause sono ignote e ciò limita la terapia farmacologica prevalentemente all’uso di farmaci antinfiammatori. Le scoperte più recenti indicano un’attivazione sproporzionata e protratta nel tempo a carico del sistema immunitario: a seguito di uno stimolo antigenico (batterio-alimento) o interno all’organismo, si scatena in conseguenza una risposta immunitaria violenta e continua. Lo stress fa la sua parte. Infatti il Crohn è in aumento in tutti i Paesi a tecnologia avanzata, tanto che si riconoscono casi in cui l’esordio è ascrivibile all’età pediatrica. Ricevuta la diagnosi, i pazienti iniziano a confrontarsi con le problematiche e i limiti che questa patologia impone alla vita quotidiana; prima fra tutte la paura e l’ansia di non poter prevedere quando si presenterà una nuova fase di attività; un altro motivo di apprensione, non meno importante, è rappresentato dal pensiero di avere a disposizione un bagno al verificarsi di una crisi. Le difficoltà inoltre coinvolgono anche la vita personale: in alcuni casi il Crohn influisce al punto tale da determinare l’interruzione dei rapporti affettivi di chi ne è affetto. «Non è meno preoccupante il quadro della situazione lavorativa dei pazienti: l’11 per cento dei malati è disoccupato o sottoccupato a causa della patologia; il 9 per cento non è in grado di lavorare a tempo pieno. Inoltre, il 24 per cento dichiara di aver ottenuto il riconoscimento dell’invalidità o è in attesa di riceverlo». Questi sono dati che emergono dall’indagine DIOGENE, una ricerca che ha permesso di ottenere un quadro dei malati di MICI (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali) in Sicilia e nel resto del Paese, tramite la somministrazione di un questionario. «Il risultato dell’indagine su scala nazionale potrà colmare un vuoto di dati presente nel nostro Paese e potrà consentire ’attuazione di programmi di interventi atti a migliorare la gestione globale delle MICI e la qualità della vita di questi pazienti», ha spiegato Mario Cottone, Professore di Medicina interna presso l’Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti Villa Sofia – Cervello” di Palermo. L’indagine è stata promossa da AMICI, l’associazione che da anni rappresenta un punto di riferimento per le persone colpite da Malattia di Crohn e da Colite Ulcerosa. Questo progetto si inserisce in realtà in un più ampio progetto internazionale promosso dall’European Federation of Crohn’s and Ulcerative Colitis Associations (EFCCA) che riunisce a livello europeo 27 associazioni nazionali di pazienti affetti da MICI in 26 Paesi diversi e che ha come obiettivo quello di garantire un equo accesso alla terapia, così come a una diagnosi precoce e limitare l’impatto sociale delle MICI.
LE NOVITÀ SUL FRONTE TERAPEUTICO
Le attuali terapie prevedono l’uso di cortisone, impiegato nella fase acuta (dolore addominale e diarrea importante), a dosi piuttosto elevate e per periodi di diverse settimane. Nelle forme lievi-moderate può essere utilizzato un cortisonico topico quale la budesonide o il beclometasone dipropionato. In diverse fasi della malattia, specialmente nel caso di colite, antibiotici quali il metronidazolo, la ciprofloxacina e la rifaximina possono essere particolarmente utili. Qualora gli attacchi si ripetano e vi sia la necessità di fare uso molto spesso di cortisone (oppure vi sia una mancata risposta al cortisone) si possono usare gli immunosoppressori come l’azatioprina o la 6- mercaptopurina o il metotrexate. Da diversi anni in Italia è disponibile un anticorpo monoclonale (infliximab), diretto contro la citochina TNFa, una delle cause del processo infiammatorio. L’uso di questo farmaco è attualmente approvato in Italia per: • Crohn in fase attiva di grado grave, in pazienti che non hanno risposto o sono intolleranti o hanno controindicazioni alla terapia con cortisone o immunosoppressori quali l’azatioprina/6-mercaptopurina. • Crohn fistolizzante in fase attiva, che non ha risposto a un adeguato ciclo di terapia convenzionale (inclusi, in questo caso, anche antibiotici e drenaggio.) • Rettocolite ulcerosa in fase attiva, di grado moderato o severo con le stesse limitazioni. Di recente è stato approvato dall’EMA, (European Agency for the Evaluation of Medicinal Products), ed è in fase di approvazione da parte dell’AIFA (l’Agenzia Italiana del Farmaco), un nuovo anticorpo monoclonale antiTNFa, chiamato adalimumab, per il trattamento del Crohn in fase attiva di grado severo in pazienti che non hanno risposto o sono intolleranti o hanno controindicazioni alla terapia con corticosteroidi e/o immunosoppressori. L’adalimumab è un antiTNF (come l’infliximab) totalmente umano. La sua minore immunogenicità è volta a ridurre le reazioni avverse di tipo allergico e la formazione di anticorpi. Infine oltre a questi 2 farmaci, sono in fase di sperimentazione numerosi altri farmaci biologici diretti sia contro il TNFa, che contro altre citochine (oppure sono di per sé delle citochine di tipo antiinfiammatorio).
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