La Monsanto, ovvero la multinazionale di biotecnologie agrarie che nel mese di giugno è stata rilevata dalla Bayer, pare sia stata condannata a pagare un risarcimento milionario nei confronti di un uomo che pare avesse denunciato l’azienda, affermando che un prodotto utilizzato come erbicida ha contribuito a farlo ammalare di tumore che purtroppo si è rivelato terminale. E’ questo quanto stabilito dal giudice di San Francisco il quale ha anche ordinato il pagamento di circa 289 milioni di dollari perché il gruppo appare non avesse avvertito adeguatamente sui rischi nell’utilizzo del prodotto che contiene glifosato, ovvero una sostanza che si trova già da tempo al centro di varie polemiche ed è al centro di dispute perché considerata particolarmente nociva.
L’azienda sembra che però abbia respinto le accuse ed annunciato che nel più breve tempo possibile fare appello. L’uomo ovvero, Dewayne Johnson, custodia dei siti scolastici nella zona di San Francisco pare avesse utilizzato larvicida della Monsanto nel suo lavoro ed aveva anche sviluppato un’ eruzione cutanea nel 2014 ovvero quando aveva 42 anni,, con una diagnosi di linfoma non hodking. Secondo quanto riferito dai legali della multinazionale, quel tipo di linfoma impiegherebbe diverso tempo per manifestarsi e quindi Johnson doveva esserne stato affetto già prima del suo incarico presso il distretto scolastico.
Effettivamente si tratta della prima denuncia che arriva in tribunale dove si sostiene il legame esistente tra il glifosato ed una diagnosi di cancro. Adesso la società comunque è intervenuta dicendo che la giuria ha sbagliato e nello specifico queste parole pare siano state dette dal vicepresidente dell’azienda. Ad ogni modo negli USA esistono 5000 denunce molto simili a quelli del caso di Johnson che potrebbe Dunque costituire un precedente piuttosto importante con possibili centinaia di nuove denunce contro la Monsanto di base a St. Louis e recentemente acquistata dal conglomerato tedesco Bayer AG.
Intervenuta sulla vicenda, anche il gruppo farmaceutico Bayer che ha acquisito la Monsanto in primavera ed ha affermato che il glifosato è un prodotto sicuro e non è cancerogeno. “Sulla base di prove scientifiche, valutazioni regolamentate globali e decenni di esperienza pratica con l’uso del glifosato, Bayer ritiene che il glifosato sia sicuro e non cancerogeno”, ha dichiarato un portavoce del gruppo tedesco.“Siamo solidali con il signor Johnson e la sua famiglia. La decisione della giuria non cambia il fatto che più di 800 studi e valutazioni scientifiche, incluse quelle dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti, dell’Istituto Nazionale della Salute degli Stati Uniti, delle autorità di regolamentazione europee, quali Efsa ed Echa, e di tutto il mondo, hanno confermato che il glifosato non è cancerogeno”, è questo quanto si legge nel comunicato diffuso dalla Monsanto.
La Commissione Ue deve fermare la fusione Bayer-Monsanto, lo conferma uno studio legislativo dell’University College di Londra. Nuovi studi condotti da Ioannis Lianos, Professore di Diritto alla Concorrenza e all’Ordine Pubblico presso la University College di Londra (UCL), confermano che, anche a una lettura superficiale della legge Ue sulle politiche alla concorrenza, non si dovrebbe in alcun modo autorizzare la fusione tra il colosso statunitense del settore chimico-agricolo Monsanto e la Bayer, azienda tedesca nel campo della cosiddetta “life science”. Lo studio legale mette in evidenza cinque principali motivi per cui la legge Ue sulla concorrenza imporrebbe il divieto della fusione.Aumento dei livelli di concentrazione del mercato: il contesto nel quale si trova attualmente il mercato è seriamente congestionato.
Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito a un consolidamento globale dell’industria agro-chimica, del settore biotecnologico e di vendita delle sementi per le colture. Se la fusione BayerMonsanto fosse approvata, il 64% del totale dei pesticidi venduti su scala globale e il 60% delle sementi brevettate al mondo finirebbe nelle mani di tre sole multinazionali. Negli Stati Uniti, dove la maggior parte delle sementi vendute sono geneticamente modificate (OGM), la concentrazione del mercato delle sementi è anche maggiore. In Europa dove esiste una forte resistenza del pubblico agli OGM, la concentrazione del mercato è comunque alta in alcune aree e per certi prodotti (ad esempio, 5 compagnie, da sole, detengono il 95% del mercato complessivo europeo per la vendita di semi di vegetali). Dopo l’autorizzazione alle fusioni della DuPont-Dow e ChemChina-Syngenta, nessuna delle quali è vincolata ad alcuna condizione relativamente al mercato delle sementi, il mercato sarà sempre più concentrato nelle mani di pochi attori. La fusione Bayer-Monsanto si andrebbe a inserire in un contesto di mercato di livello competitivo ancora più debole.
Eccessivo radicamento del potere di questi giganti sul mercato: se le due compagnie mettessero in comune i rispettivi diritti di proprietà intellettuale (PI) che hanno su molte varietà di piante il potere di mercato si radicherebbe ulteriormente”. La Bayer possiede 206 brevetti e la Monsanto 119 sulle piante transgeniche coltivate nell’Ue, a questo va aggiunto il fatto che la Monsanto detiene il monopolio del mercato statunitense per i brevetti sul cotone. Se i due grandi colossi condividessero le loro rispettive piattaforme tecnologiche sul germoplasma e sul genoma arriverebbero a rivestire un ruolo centrale nel settore della sperimentazione e caratterizzazione tecnologica di nuovi geni “radicandosi come leader dell’agricoltura biotecnologica” e disincentivando l’ingresso di nuovi attori sul mercato. Il rischio di una vera e propria “collusione anti-competitiva” tra le multinazionali dell’agrochimica aumenta anche in forza degli accordi di licenza reciproci, le imprese comuni e altre alleanze strategiche condivise in Ricerca e Sviluppo (R&S). Con tre competitori sul mercato il “rischio di collusione è alto”.
Lianos, Ioannis insieme a Katalevsky, Dmitry, Merger Activity in the Factors of Production Segments of the Food Value Chain: A Critical Assessment of the Bayer/Monsanto merger, Centre for Law, Economics and Society (CLES), University College London (UCL), Policy Paper Series: 1/2017, ISBN 978-1-910801-13-0 2 La Commissione valuta se la fusione può ostacolare in modo significativo la concorrenza, influire sul livello dei prezzi e sullo stato dell’arte dell’innovazione. 3. Aumento dei prezzi per gli agricoltori: non ci sono dubbi sul fatto che fusione comporterebbe, per gli agricoltori, un aumento dei costi e una riduzione di scelta per quanto riguarda la varietà delle sementi disponibili, con “considerevoli effetti” sulla sussistenza dei piccoli agricoltori e coltivatori. Se gli attori sul mercato sono pochi il rischio di incorrere di procedure collusive di definizione dei prezzi è alto; questo ancora di più sapendo che molti investitori istituzionali detengono pacchetti azionari in Monsanto, Bayer e nei loro concorrenti: tutti questi possono essere fattori che “aumentano il rischio di collusione”. Il Professor Lianos conclude affermando che saranno gli agricoltori a “fare le spese di un aumento della concentrazione di potere in questo settore” essendo costretti al ruolo di chi può solo “prendere o lasciare”. 4. Gli agricoltori tagliati fuori: Bayer e Monsanto si sono espanse investendo nel settore dell’agricoltura digitale, sviluppando piattaforme tecnologiche con scopi di lucro funzionali al mercato della cosiddetta “agricoltura intelligente”. L’acquisizione da parte della Monsanto della Climate Corporation consente alla multinazionale di lavorare nell’ “agricoltura di precisione” (strategia gestionale basata sui dati acquisiti in tempo reale sul suolo grazie a immagini satellitari per vedere il progresso di crescita delle colture)3 e fare previsioni metereologiche molto accurate. Spacciata come metodo per migliorare la resa delle colture, in realtà questa metodologia vincola gli agricoltori alla catena di valore della multinazionale, rendendoli dipendenti dal punto di vista tecnologico, visto che l’accesso ai dati sarebbe riservato unicamente alla Monsanto. Il sistema di “agricoltura digitale” della Bayer include anche indagini analitiche del suolo e strumenti di supporto per gli agricoltori nel caso di infestazioni da parassiti, o modelli di risanamento per un eventuale declino produttivo dei suoli. Il loro scopo non è quello di rimanere semplicemente produttori del settore agricolo ma mettere a punto piattaforme che forniscano all’agricoltore tutta una serie di servizi, in linea con le decisioni già prese a monte da loro di anno in anno. Ciò creerebbe “un vincolo importante per i contadini sia dal punto di vista economico che tecnologico (…) costringendoli a fare riferimento alle piattaforme per il settore agro-chimico e delle sementi per tutti i loro bisogni in termini di produzione agricola.” L’incursione di Monsanto e Bayer nell’agricoltura digitale fa sì che si andrebbe a configurare un unico gigante in grado di fornire servizi in modo completo e integrale. Si creerebbe quindi un’offerta di mercato alla quale l’agricoltore non potrebbe sottrarsi; una volta accettato di usufruire dei servizi, l’agricoltore si troverebbe a dipendere totalmente da tre grandi multinazionali per quanto riguarda tutti i dati sui suoli e sul raccolto. Molte sono le implicazioni che la fusione avrebbe sul versante del controllo del cibo e del processo agricolo; sistemi accessibili con tecnologia di interoperabilità oppure piattaforme chiuse con tecnologie di proprietà esclusiva studiate per non consentire alcuna relazione con i prodotti della concorrenza. Se la fusione andasse a termine, gli agricoltori avrebbero vincoli su decisioni importanti da parte dei tre colossi multinazionali, “rinunciando del tutto al proprio ruolo di attori autonomi nel mercato”. 5. Riduzione della competitività e dell’innovazione: se la fusione BayerMonsanto andasse in porto, darà origine a piattaforme apposite dotate di sistemi di tecnologia integrata e completa per semi e prodotti chimici; i nuovi attori che volessero introdursi sul mercato dovrebbero, a loro volta, coprire molteplici segmenti della catena di valore simultaneamente per essere competitivi rispetto a questa offerta che copre tutto i settori e i bisogni. Ma per alcune Pmi (piccole imprese a media capitalizzazione) questa operazione avrebbe costi troppo elevati e si troverebbero costrette a vendere le licenze su alcune delle loro tecnologie direttamente al colosso Bayer-Monsanto, che acquisirebbe ulteriormente il controllo sulle direzioni dell’andamento tecnologico e di mercato. 3 I dati sul suolo e le immagini satellitari si ottengono attraverso sistemi di algoritmi di Big Data, in modo da pianificare/correggere in tempo reale qualora fosse necessario inserire altri dati. Questa, che di fatto è una barriera di mercato “soffocherebbe l’innovazione emergente, ovvero quella che, in assenza della fusione, avrebbe permesso alle aziende che lo volevano di entrare uno o due segmenti di mercato.” Inoltre, la tesi a favore della fusione, secondo la quale gli altri profitti generati da un mercato più stabile significherebbero più investimenti per la ricerca nel settore agricolo è stata largamente confutata da recenti studi che provano come “le grandi compagnie preferiscano conservare il denaro e distribuirlo agli azionisti o destinarlo al management piuttosto che reinvestirlo in R&S”. La fusione unirebbe due aziende concorrenti nello stesso settore, diminuendo quindi la competitività e disincentivando l’innovazione. Entrambe le multinazionali sono già, per esempio, concorrenti nel settore delle sementi, nell’industria del cotone e della soia; il rischio è forse più alto ed evidente sul versante agrochimico. Il prodotto Monsanto più venduto, il pesticida conosciuto come Roundup – recentemente classificato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo” dall’OMS – compete con gli erbicidi Liberty della Bayer. Se i rivali si alleano, l’incentivo a vendere o sviluppare prodotti alternativi al glifosato può considerarsi persa per sempre. Anche se Bayer vendesse Liberty (per aggirare la questione legata alla competitività e far autorizzare la fusione), non si arriverebbe a una reale soluzione del problema, come spiega chiaramente lo studio dell’UCL: “Le attività cedute devono necessariamente essere acquisite da terzi senza che questa operazione aumenti problemi relativi alla concorrenza, il che sarebbe difficile nel caso della fusione Bayer-Monsanto, perché trovare un concorrente equo esterno alla triade leader del settore non sarebbe affatto un’operazione semplice.” In altre parole, il mercato è già così concentrato che sollevarsi dalla vendita di alcuni prodotti non diminuirebbe in alcun modo la portata delle ricadute negative che la fusione avrebbe sia sul mercato delle sementi, sia in termini di innovazione. Se la fusione venisse approvata, le tre grandi multinazionali dominanti sul il mercato otterrebbero un controllo esteso sui brevetti, sui marchi più conosciuti e un trend di consumatori dipendenti in crescita costante, e manterrebbero quindi “la loro capacità di riacquistare le loro quote di mercato ed espandersi ulteriormente in ogni fetta di mercato della catena di valore dell’agricoltura.” La fusione Bayer-Monsanto creerebbe “un ostacolo reale alla sana competitività”. Lo studio fornisce, inoltre, una base legale alla Commissaria Europea alla Concorrenza, Vestager, per estendere la sua indagine, all’impatto negativo che la fusione avrebbe sul clima e sulla biodiversità. Impatto negativo su clima e biodiversità: in vista di una decisione così cruciale per il futuro “controllo della catena globale di valore del cibo” non si possono legittimamente ignorare le implicazioni e i costi che la fusione avrebbe sul piano ecologico e sociale. L’unione Bayer-Monsanto ridurrebbe notevolmente la capacità di sussistenza degli agricoltori: “Se gli agricoltori sono praticamente obbligati ad accettare direttive dai colossi dell’agro-chimico avranno sempre maggiori difficoltà a lavorare sulla tutela delle sementi e sulla loro diversità – piuttosto che che standardizzarne le caratteristiche – oppure a ridurre gli usi di pesticidi chimici.” Ci si può aspettare, con la creazione di un oligopolio, un aumento della quantità di erbicidi petrolchimici e di pesticidi utilizzati perché questi colossi agro-chimici hanno una “concreta tendenza” a promuovere un modello di monocultura intensiva di alto livello tecnologico. La ricaduta negativa sulla biodiversità, sul clima e sulla salute è di grande portata. Se l’agricoltura diventa “sempre più standardizzata”, e le decisioni importanti vengono lasciate nelle mani delle multinazionali, gli agricoltori perderanno gradualmente il controllo sulla semenza, il che “avrà effetti devastanti sulle varietà locali e sui prodotti agricoli non standardizzati”. Gli esiti di questo studio confermano i nostri timori: ora che la perdita della biodiversità aumenta in modo rapido e cresce l’urgenza della varietà di semi e colture per sistemi alimentari più resistenti al cambiamento climatico, la fusione Bayer-Monsanto corrisponderebbe a una condanna dagli effetti catastrofici. Sul piano politico la fusione sarebbe un vero e proprio schiaffo al movimento globale che lotta per adottare pratiche agricole sempre più in sintonia con la natura e non nella direzione della devastazione della stessa. Lo studio dell’UCL spinge “la Commissione a passare all’azione e fermare la fusione”. Che la si analizzi sotto la lente del mercato – quindi la diminuzione di competitività – o che la si estenda alla visione dei costi ambientali che avrebbe, la Commissione ha l’obbligo legale di rifiutare la fusione BayerMonsanto.
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