È una gara tutta a sinistra a vedere chi riesce a toccare il punto più basso, a conquistare il guinness dei primati degli «haters», come si chiamano oggi gli odiatori di professione, quelli che di solito impazzano sulla rete. Si è scatenata nelle ultime 24 ore insensibile ad ogni parvenza di buon gusto: non appena rese note le drammatiche condizioni di salute di Sergio Marchionne e la sua improvvisa sostituzione ai vertici di Fiat-Chrysler, a sinistra e non solo si è aperta questa competizione a chi sputava meglio sull’ultimo letto in cui giaceva il manager. Una gara noir dove il primo premio è conteso da due protagonisti assai «rouge».
Il primo è il quotidiano della sinistra radicale, Il Manifesto che h a mandato in edicola una copertina funebre con Marchionne a capo chino e il titolo «E così Fiat». Il secondo, rosso di cognome e di fatto, è il governatore della Regione Toscana, Enrico Rossi, che h a pubblicato sul suo profilo Facebook un post di pessimo gusto, magari pensando solo di andare controcorrente: «Marchionne versain condizioni molto gravi», h a esordito, «i giornali esaltano le sue capacità di leader e di innovatore. Ma, nel rispetto della persona, n on si deve dimenticare la residenza in Svizzera per pagare men o tasse, il Progetto Italia subito negato, il baricentro aziendale che si sposta in Usa, la sede legale di Fca in Olanda e quella fiscale a Londra.
Infine, un certo autoritarismo in fabbrica per piegare lavoratori e sindacati; e gli occupati che sono passati dai 120000 del 2000 ai 29000 di oggi. Marchionne era un manager capace, soprattutto per gli azionisti, m a certo poco o per niente attento alla storia e agli interessi industriali del Paese, il quale, d’altra parte, h a avuto una politica debole, priva di strategie industriali, che sostanzialmente h a lasciato fare».
Lasciando da parte questioni di stile perché se n on ce l’hai di natura non puoi regalartelo in età adulta, il governatore Rossi come molti «haters» m ischia le sue considerazioni personali a notizie distorte ed usate in modo co sì improprio da essere fake news.
Accusa il manager morente di essere stato se n on evasore, campione degli elusori fiscali sostenendo che ave-v a la sua residenza in Svizzera per non pagare le tasse in Italia. Marchionne in Italia è nato, m a praticamente non vi h a m a i vissuto, seguendo i genitori che erano emigrati in Ontario quando lui aveva solo 14 anni. In Canada h a studiato, in Canada h a preso tre lauree, in Canada h a avuto il suo primo lavoro e lì h a iniziato anche la sua carriera. Fino a quando nel 2002 accettò un’offerta di lavoro in Svizzera, come amministratore delegato di Sgs group a Ginevra, e in Svizzera andò ad abitare. Oggi ancora la sua casa è a Bloney, nel Canton Vaud: perché mai avrebbe dovuto avere la residenza fiscale in Italia?
Illuminante il passaggio su Marchionne «manager capace soprattutto per gli azionisti», perché in effetti a sinistra i manager sono ideali quando prendono un’azienda e la portano al fallimento, così la fanno pagare ai b ie chi azionisti. Adesso si capisce perché da quelle parti politiche vanno per la maggiore leader che ti fanno precipitare dal 10 al 3 per cento in un attimo: almeno la fanno pagare agli elettori.
È un’idea che evidentemente va per la maggiore, perché più o meno la stessa cosa dice di Marchionne – pensando di essere sarcastico – l’ex deputato di Sel ed ex sindacalista di Fiom-Cgil, Giorgio Airaudo: «I risultati sono stati ottimi per gli azionisti.
Gli Agnelli dovrebbero dedicargli un monumento». Anche l’ex capo di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, un professionista della leadership esercitata contro i propri elettori (dài e dài è riuscito a distruggere quel partito) ha voluto essere tenore nel coro degli odiatori, e scoccando freccia dopo freccia sul corpo esanime di Marchionne, h a pensato pure di lanciargliene una particolarmente avvelenata: «Ha concepito l’impresa come una comunità chiusa in lotta contro un’altra impresa chiusa concorrente», in effetti nel mondo delle imprese è strano fare così. Ah, ci fosse stato Bertinotti al vertice di Fiat, tutt’altro galateo: sarebbe andato dalla Volkswagen a chiedere gentile: «Scusate, vorreste un po’ di mercato della Panda e della 500? O preferireste quello della Alfa Romeo? Se no la Ferrari? La richiamiamo subito dai concessionari, perché noi siamo una comune aperta…».
A nessun altro è toccato in sorte questo odio così denso e pieno di rabbia sopita, di coraggio che spunta fuori solo quando l’avversario è a terra (ieri qualche operaio h a addirittura dato a Marchionne del «lurido bastardo»). Eppure Fiat e i suoi manager hanno vissuto altre ere, più che complicate, e scontri epici e di durezza assai più evidente. Forse qualche regalino, qualche concessione sottobanco non tanto ai lavoratori quanto a chi li rappresentava li ha resi più umani di quel accade ora.
Dove a dominare nella migliore delle ipotesi è il silenzio: quello della Cgil, quello di quella Confindustria da cui Marchionne aveva divorziato, o quelli di Luca Cordero di Montezemolo e della sindaca di Torino Chiara Appendino che n on una parola han no dedicato al manager n on amato e in pericolo di vita, limitandosi a fare gli auguri formali ai nuovi nominati.
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