Chi di voi non si sarebbe indignato? Se tutte le accuse fatte venissero confermate, della situazione lavorativa che gli operai dovevano subire nel supermercato a marchio Lidl di cui il signor Fabio aveva la gestione. Fabio aveva la gestione di un supermercato a Torino, dopo varie segnalazioni all’azienda sulle condizioni con cui erano costretti a lavorare è stato licenziato in tronco, anche se la stessa azienda assicura che l’allontanamento è stato fatto per altre motivazioni.
Ambienti poca sicurezza, la merce e grandi macchinari bloccano le uscite di sicurezza. Oltre al grande freddo che nella stagione invernale arriva addirittura 5° con documenti per la valutazione del rischio realizzati con il copia e incolla.
Questo è stato documentato dai rilievi messi in atto da Fabio L., da diciott’anni capo filiale Lidl è attualmente delegato della Cgil, verso il suo datore di lavoro. O meglio anocra, ex datori, dopo del mese scorso l’azienda ha spedito una lettera di licenziamento per Fabio.
L’uomo da molti anni gestiva una filiale a Torino, insieme a 27 dipendenti, in un quartiere di periferia, molto difficile:
«La mia filiale è famigerata. Non si contano gli episodi di violenza, le aggressioni. Forse mi hanno trasferito lì perché avevano già intenzione di farmi fuori».
In quest’ultimo periodo era diventato un rls (responsabile dei lavoratori per la sicurezza) per la Cgil, e ha compiuto sopralluoghi in altri supermercati Lidl del Piemonte e delle regioni limitrofe, prima di essere defenestrato.
«La verità è che mi hanno sempre osteggiato. Perché facevo domande, prendevo posizione, sono molto preparato in materia di sicurezza sul lavoro. Ne ho parlato col procuratore della Repubblica Guariniello, anche lui ha constatato che esiste un grosso problema».
E il racconto che fa delle condizioni di lavoro sue e dei suoi colleghi è durissimo:
Insicurezza. «I punti vendita della Lidl sono insicuri, anche perché la maggior parte risale agli anni novanta e ha quindi fattezze anguste. Solo che nel frattempo il volume d’affari s’è moltiplicato. Molti di questi dovrebbero chiudere o rinnovarsi profondamente. Spesso le merci e i macchinari in esubero ostruiscono persino le uscite di sicurezza…».
Stress. «Io ho cominciato a dir loro: “Voi sottostimate il documento sullo stress correlato, obbligatorio per legge dal 2008. Alla Lidl questo studio non l’hanno mai fatto. Ho creato un gruppo WhatsApp di rls Cgil per scambiarci informazioni e notizie riservate. Ebbene, abbiamo scoperto che tutti i dvr(documenti di valutazione del rischio) sono uguali nelle “nostre” centinaia di negozi italiani. Eppure la legge prevede che siano standardizzati i processi, non certo i risultati. È come se si dovesse fare un prelievo di sangue e invece di prendere il mio si attingesse dalle vene di un mio parigrado di Verona, concludendo con un consequenziale “stanno tutti bene”. Ma non è così, naturalmente. La mia sede sorge in un quartiere borderline di Torino: non possiamo avere in corpo la stessa quantità dì stress io, i miei dipendenti e i colleghi che lavorano in borghi senza delinquenza. Il fatto di non effettuare delle autentiche valutazioni del rischio fa poi sì che la Lidl non preveda alcuna forma di prevenzione o contrasto al fenomeno».
L’orario di lavoro? Alla giornata. «Tutti i giorni ricevevo una telefonata a mezzogiorno o all’una, per sapere quale sarebbe stato il fatturato del giorno. se prevedevi di fatturare mille euro in meno, scattava l’allarme rosso. Mi intimavano: “Manda via gente”. Ma stiamo scherzando? Cosa siamo diventati, lavoratori (fissi) a chiamata? L’obiettivo è sempre quello: andare oltre, forzare le regole, abbattere, all’ennesima potenza, i costi del personale. Chiariamo bene un aspetto: non si è mai trattato di una pianificazione oraria, ma di un’imposizione. La responsabilità è dei piani alti aziendali. Se mi stimavano un incasso di mille euro l’ora, quando nel mio punto vendita si fanno piccole spese e non si guadagna mai più di 5 o 600 euro… per avvicinarsi a quei picchi irreali di produttività, dovevo correre il triplo, e magari continuare a lavorare a lungo dopo aver timbrato il badge di uscita».
Ma che freddo fa. «D’inverno si toccavano i 5 gradi di temperatura dentro il nostro magazzino. L’ho fatto presente tante volte, senza risultato».
Un lavoro usurante. «Alla Lidl Il tasso di fatica è elevatissimo. Trionfa il dogma della rapidità, specialmente per le operazioni di movimentazione delle merci sugli scaffali. Schiene rotte, ernie e placche alla schiena costituiscono la regola. E in futuro andrà sempre peggio, perché i lavoratori invecchieranno. Se l’equazione ossessiva da portare avanti è: “spendo sempre di meno, incasso sempre di più”, a rimetterci è, in primissima istanza, la salute di noi dipendenti».
Depressione e ansiolitici a go-go. «Sono ingrassato di trenta chili in tre anni per lo stress e il nervoso accumulati. Costantemente gli incubi, mi svegliavo di soprassalto. Avevo la testa piantata lì. Gli psicofarmaci, in Lidl, sono la normalità. Io sono il primo che assume regolarmente ansiolitici, e non va bene. Tutto questo si riflette sulle malattie professionali, che sono lunghe e difficili da codificare. Pensiamo all’amianto: ci sono voluti decenni, e decine di migliaia di morti, per capirne la pericolosità. La nostra generazione non andrà, magari, a morire di lavoro; ma patirà danni irreparabili all’apparato muscolo-scheletrico, e soprattutto alla psiche».
Rappresaglia? «Mi hanno preso di mira perché volevo sapere, confutavo le loro teorie. Mi attendevano al varco, pronti a impallinarmi. Tra l’altro, ho sempre conseguito ottimi risultati: il mio era tra i migliori punti vendita in Piemonte. Ho preso un negozio in perdita e nel mio primo anno di gestione abbiamo incassato un milione di euro in più. Fatturato in espansione anche negli anni a venire. Cosa gli ha dato fastidio? La presenza di un capo filiale che toccava fili e nervi scoperti, sollevando questioni eluse. La mia battaglia non è per me. È per noi tutti».
Da noi contattata, Lidl Italia ci ha risposto con le seguenti parole: «Le confermiamo che nei confronti del sig. Fabio L. è in corso un procedimento disciplinare le cui motivazioni non hanno però nulla a che vedere con l’attività sindacale svolta dal collaboratore. Le ragioni che hanno determinato l’avvio del procedimento non possono essere rivelate per ovvie ragioni di privacy. Precisiamo che, se da un lato la nomina a rappresentante sindacale non compromette in alcun modo il rapporto di lavoro, dall’altro non preclude all’Azienda di esercitare il potere disciplinare ai sensi della normativa vigente. Infine ci teniamo a sottolineare che Lidl Italia è da sempre aperta al dialogo con le organizzazioni sindacali con cui, negli anni, ha instaurato un rapporto di proficua collaborazione».
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