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Non serve tornare ai tempi di Osvaldo Bagnoli (magari poter avere ancora oggi un allenatore del suo carisma in panchina…) per sapere che gli psicodrammi, frutto di una buona dose di autolesionismo, fanno parte della storia genoana. Questa lunga vigilia di Genoa-Napoli, che arriva dopo la manita del- l’Inter a San Siro contro un Grifone quasi inerme, porta con sé il vento gelido della contestazione. Storia vecchia, ma non si capisce a chi possa giovare (alla squadra sicuramente no) una chiamata via social dei leoni da tastiera rossoblù che invitano i tifosi per stasera, dalle 20 in poi, a ricordare allo stadio quanto grande sia la distanza fra loro e il presidente Enrico Preziosi.



STRAPPO Viene da dire: peccato. «Sono convinto che la nostra squadra abbia ampi margini di miglioramento, ma il gruppo deve comunque tenersi fuori dalle polemiche o dalle contestazioni», taglia corto Ivan Juric, che immaginava di trovarsi davanti a una situazione delicata, quando ha detto sì al suo ritorno, ma probabilmente non sino a questo punto. Peccato, già, perché non si capisce bene cosa abbia scatenato l’ira di una parte della tifoseria: la sintonia con il predecessore del croato, Ballardini, era totale («lui ha fatto un grande lavoro, ma il mio calcio è diverso», il commento di Juric stesso), ma il gioco latitava. E poi, certo, il k.o. di sabato a Milano è stato brutto, «ma certe volte commettiamo ingenuità, siamo una squadra giovane».

SCELTE Resta da capire come allestirà il suo Grifone il buon Juric contro un avversario «già temibile, ma che con l’arrivo di Ancelotti in panchina è diventato imprevedibile», ammette il tecnico. Che, stasera, per sostituire Sandro sulla mediana, potrebbe giocarsi dall’inizio la carta dell’esperienza e del coraggio di Veloso, uno che nelle battaglie calcistiche non si è mai tirato indietro, e che ha dichiarato come il popolo genoano sia uno stimolo per un calciatore genano. Nel 3-5-2 già annunciato ci sarà di nuovo posto per Piatek titolare, al fianco dello scatenato Kouamé. E pure sul polacco, che durante la sua gestione ha smesso di segnare, Juric ha parlato in termini assolutamente positivi: «Ha avuto le sue occasioni anche nelle ultime partite, ma ci sono momenti in cui il pallone proprio non vuole entrare». Scopriremo il resto stasera: dietro l’angolo, in caso di rovescio, c’è l’ombra di Nicola e Ranieri, senza dimenticare che Ballardini è ancora a libro paga. E, comunque, giova ricordare che sino ad oggi, piaccia oppure no, i soldi li ha sempre messi Preziosi. Costretto, stasera, a seguire il suo Genoa da casa. Che tristezza.

E’ tornato in Italia per rivivere serate come queste. Da tuffo al cuore, anche a 32 anni e con una fascia da capitano legata al braccio che non contempla il dover tradire l’emozione. Mimmo Criscito si è ripulito la “fedina calcistica” – inteso come ammonizioni – giusto in tempo per sfidare la squadra della propria città: lui, napoletano di Cercola, un pensierino a chiudere la carriera sotto il Vesuvio lo ha pure fatto, una volta conclusa l’epopea russa nello Zenit. Il richiamo del Genoa ha prevalso, qualcosa doveva ancora dire con la maglia che lo ha proiettato verso il calcio di livello. Così stasera, a Marassi, Criscito sarà uno di quelli coi riflettori puntati addosso.

Il suo attaccamento verso Napoli è acclarato, impossibile da rinnegare. Nella difesa a tre del Genoa non c’è stato il bisogno – e nemmeno il tempo, in realtà… – di ambientarsi. Da Ballardini, che già aveva provveduto ad arretrare Criscito, a Ivan Juric ora timoniere genoano: il capitano si è cucito addosso il ruolo di sentinella. Tenendo anche a memoria i gol presi, un po’ troppi, ma in questo momento va così. E la responsabilità raddoppia: Criscito sa perfettamente che l’ambiente Genoa, per certi versi, sa essere una centrifuga tipo la contestazione annunciata stasera. Ma ha con sé gli anticorpi necessari.

Dopo 69 giorni, di nuovo lì. A Genova, dove Ancelotti prese coscienza che il modulo sarriano mal si conciliava con la sua filosofica di gioco, tutta in verticale, con accelerazioni continue ed una corsa da fare non più su 30, ma 60 metri. Dopo quella notte amara, 12 partite da 4-4-2, con una sola sconfitta (il confronto diretto in casa Juve), 7 vittorie, 4 pareggi, soltanto 6 gol subiti (erano 6 nelle prime 3 sfide stagionali) e 23 fatti, tra serie A e Champions League, dove il Napoli vanta il primato di unica italiana imbattuta dopo 4 gare. Dispiace per l’amico Genoa (il gemellaggio dura dal 1982), ma stasera il Napoli sarà ancora più motivato ad incassare i 3 punti, per poi il giorno dopo tifare per il Milan nel test-match con una Juventus scossa dal ko casalingo in Champions con lo United.

Ancelotti sa che non sarà semplice superare il Grifone in piena crisi e vuole approfittare di ogni piccolo passo falso bianconero per accorciare il distacco di 6 punti in classifica. «Andiamo in uno stadio caldo e dove ci siamo già scottati nella gara con la Samp – ha ricordato il coach – per giocare contro una squadra molto motivata, perché viene da 2 sconfitte. Sarà una partita intensa e dovremo tenere botta dal punto di vista fisico. Per noi sarà una prova di maturità, perché è normale trovare motivazioni col Psg in Champions, è più complicato essere al top pure nella successiva sfida di campionato. Sono però fiducioso e mi aspetto il Napoli al 100 per 100». Stavolta la formazione potrebbe essere più identificabile, per espressa ammissione di Ancelotti: «Sarà una gara intensa e servirà fisicità per prevalere: considererò molto questo aspetto nelle mie scelte.

Qualche cambio ci sarà, ipotizzarne 6 mi sembra però un po’ troppo». Allora la sensazione porta ad immaginare una squadra con 4 novità rispetto al Psg: Hysaj per Maksimovic, Rog per Allan, Zielinski per Ruiz e Milik per Mertens che ha recuperato dal problema alla spalla, ma che dovrebbe cominciare dalla panchina. Forse… Perché Dries ha segnato 6 gol in 5 partite di Serie A, più di chiunque altro nello stesso periodo. Al suo posto si prevede il riutilizzo di Milik, nel personale derby polacco con Piatek, ancora capocannoniere in Serie A. In rampa di lancio anche Ounas e Malcuit, sollecitati lungamente dal tecnico nella rifinitura. L’insidia maggiore? La spiega Ancelotti: «La Champions League, che toglie molte energie. Occorre uno sforzo supplementare per evitare imprevisti, soprattutto nelle partite che vengono dopo. Ma è un rischio necessario, perché la Champions è la competizione più importante al mondo e il Napoli ha le caratteristiche per giocarla al meglio».

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Europa è già lontana. C’è il campionato che incombe e Carlo Ancelotti ha chiesto di mettere da parte l’entusiasmo per la Champions League e di concentrarsi sulla sfida di questa sera, a Marassi, contro il Genoa. Teme, l’allenatore, che la squadra possa avere un calo mentale e fisico dopo lo sforzo compiuto contro il Paris Saint Germain. «Le insidie sono dietro l’angolo. Giocheremo in uno stadio che ci ricorda una brutta serata. A Genova, abbiamo lasciato i primi tre punti, contro la Sampdoria. E l’avversario che ci aspetta sarà motivatissimo, l’ambiente lo supporterà, come sempre. Personalmente, sono contento di quello che stiamo facendo, ma dovremo stare attenti, col Genoa sarà una prova di maturità».

SORPRESE Partite come quelle di martedì sera non hanno bisogno di stimoli, le motivazioni si trovano in automatico. Il problema sarà trovarle in una gara alla quale c’è il rischio di arrivare svuotati. E per andare sul sicuro, l’allenatore ha annunciato che ci saranno pochi cambi rispetto alla formazione che ha pareggiato col Psg. In pratica, potrebbe esserci il rientro di Hysaj e l’impiego di Rog a centrocampo, mentre in attacco dovrebbe esserci Milik a far coppia con Insigne. Battere il Genoa, dunque, e attendere che cosa accadrà domani sera a San Siro, dove il Milan sfiderà la Juventus. «Non mi aspetto nessun regalo, sono certo che vedremo una bella partita, intensa e vibrante come sempre. Noi, però, dobbiamo pensare al nostro risultato», ha osservato Ancelotti.

CALENDARIO Una mano alle ambizioni del Napoli potrà darla, sicuramente, il campionato che da qui a Santo Stefano prevede impegni contro squadre di medio-bassa classifica. «Io dico sempre che il grado di difficoltà di una partita dipende solo da noi. Con la Roma è stata più facile di quello che pensavamo, con l’Empoli più difficile in base al nostro atteggiamento. Dire che sulla carta è più facile è un pericolo. Juve in fuga? Ora si, perché ha avuto una continuità straordinaria, finora. A noi tocca rincorrere e fare il possibile», ha spiegato l’allenatore che ha confermato il pieno recupero di Mertens adesso in competizione con Milik per una maglia di titolare. «Io voglio che tutti abbiano il desiderio di giocare sempre, poi ci sono le scelte e dipende dal carattere di ognuno comprenderle o meno, ma non mi piace avere uno che è contento di stare in panchina. Mertens è recuperato dal problema alla spalla e sta bene».

COMPRENSIONE L’argomento Mourinho non poteva essere ignorato. Gli insulti e la reazione del tecnico del Manchester United hanno diviso la critica. Alla domanda se i tifosi della Juventus siano fastidiosi con le loro offese, Ancelotti ha portato la mano vicino all’orecchio e ha ribattuto sorridendo: «Non ho capito bene», mimando il gesto di Mourinho. Poi, è ritornato serio: «Ognuno di noi ha una responsabilità e bisogna tenerlo presente sempre. Essere insultati per 90 minuti però non fa certo piacere. La reazione di Mourinho è comprensibile, anche perché non è stata una cosa volgare ma ironica. Ci può stare dopo una gara di offese. Il problema vero è che si offuscano i 90’ di gioco, e non è certo un problema un gesto di pochi secondi. E non mi riferisco solo alla Juventus, ma è la cultura generale del calcio italiano quella dell’insulto. Accade anche a Napoli, a Milano: è giunto il momento di dire basta».

La contestazione dei tifosi, le polemiche dopo la sconfitta con l’Inter, le voci sui possibili sostituti e su una panchina a rischio, un avversario come il Napoli. Per Ivan Juric una settimana difficile ma il tecnico croato alla vigilia della gara con i partenopei ha spiazzato tutti. «Io sono sorprendentemente tranquillo. Sapevo ad esempio che il calendario sarebbe stato difficile sin dal mio arrivo e lo sarebbe stato per qualunque altra formazione – ha spiegato -. Inoltre mi sono totalmente isolato, senza preoccuparmi di null’altro che della squadra. Anche della contestazione l’ho saputo solo perché mi è stato riferito. Posso dire invece che la squadra è migliorata sia nel gioco che nell’intensità e nel coraggio.

Che ha fatto tante cose bene, esclusa naturalmente la gara con l’Inter. Ma anche nella sconfitta con i nerazzurri ho trovato lati positivi: dal mio punto di vista sarebbe stato peggio se sul 3-0 avessimo chiesto agli avversari di fermarsi. Invece abbiamo comunque provato a reagire e a recuperare. Così abbiamo finito per prendere altre due reti ma sarebbe stato umiliante invece chiedere di fermarsi». Una settimana di lavoro senza influenze esterne e un avversario tutt’altro che semplice. «E’ un Napoli che da pochi punti di riferimento e sfrutta bene gli spazi, una squadra più imprevedibile rispetto a quello di Sarri – ha proseguito Juric -.Ma noi siamo in crescita e dobbiamo fare la partita giusta. Dovremo avere il coraggio di attaccare e offendere come abbiamo fatto contro la Juventus e il Milan». Poche le novità attese tra i giocatori nell’undici iniziale. «Con l’assenza di Sandro devo decidere se schierare Veloso o Mazzitelli – ha spiegato -, mentre in difesa ho fiducia in Romero. Davanti partirò sicuramente con due attaccanti poi magari ci saranno differenze nelle scalate. Sono convinto che la mia squadra abbia ampi margini di miglioramento». Torna dunque titolare il bomber Piatek «Lasciarlo in panchina con l’Inter era la scelta giusta viste le tre gare in una settimana. Ora è pronto e sa che ci sono momenti in cui la butti sempre dentro altri meno. Da parte nostra vogliamo metterlo in condizione di fare gol il prima possibile e non solo lui ma anche Christian (Kouamé)».

Lo imita, si schiera e poi denuncia. A Castelvolturno è andato in scena il Carlinho day: Ancelotti, come Mou, porta la mano all’orecchio pubblicamente e, prima con ironia, poi con fare molto più serio, si colloca in prima linea contro gli insopportabili insulti da stadio. E lo fa partendo da una difesa diventata collettiva per Mourinho, nonostante qualcuno avesse definito “incomprensibile” la sua reazione provocatoria, sì, ma giunta al termine di 90 minuti di volgarità, vissuti mercoledì sera, da tecnico dello United e da ex dell’Inter, all’Allianz Stadium. «Basta litigare, viviamo lo sport in maniera semplice e responsabile. Essere insultati per 90 minuti non fa piacere – ha spiegato Ancelotti – e la reazione di Mourinho è stata comprensibile, anche perché non volgare, ma ironica. Mi chiedo perché si stanno nascondendo quei 90’ di offese, per parlare solo di un gesto di pochi secondi. Purtroppo, l’insulto è un problema di cultura generale italiana e non mi riferisco solo ai tifosi Juve. Certe cose accadono anche a Napoli, a Milano e in tanti altri stadi».

L’ironia…..! Bisognerebbe averne anche a piccole dosi, e maneggiarla con cura, per tuffarsi completamente, l’espressione lieve e sorridente, in quell’inferno che è il calcio. E si può essere «special one» a modo proprio, mica solo perché lo suggerirebbe semplicemente la bacheca, per resistere a quell’insidia, perché qui,, in questo Mondo, non si parla d’altro: la domanda da cento milioni di dollari è lì, nell’aria limpida d’una vigilia qualsiasi, sarebbe la cronaca che lascia da parte le opinioni, quando suadente e rispettosa s’alza una voce, insegue un parere, per scuotere questa quiete che sta lì, sull’eco della tempesta. «Ma lei, Ancelotti, cosa ne pensa del gesto di Mourinho a Torino? Sono davvero così insopportabili gli insulti che arrivano dalle tribune?». L’Allianz Stadium è quel luogo in cui il 29 settembre gli avevano sussurrato di tutto, e chissà perché persino che «un maiale non può allenare», dunque quel signore gigioneggiante, pronto a entrare nel mischione mediatico con padronanza di argomenti, ne aveva facoltà di rispondere: però si è Ancelotti mica per caso, uno ci nasce o ci diventa, e in quella posa anche un po’ scenica, certo ricca di leggerezza, ci ha infilato tutto se stesso, il senso pieno per la vita, la capacità d’essere serioso su un argomento terribilmente serio, e di condirlo con la «plasticità» dell’attore protagonista, del quale ne ha rubato la postura.

Mano destra dietro l’orecchio, sguardo assassino e risposta teneramente maliziosa. «Non ho capito bene». E voi invece capirete bene che per un po’, giusto il tempo di calarsi nella realtà, Genoa-Napoli sia scivolata ai margini di questo universo in cui l’eco d’una notte appartiene a chiunque, Ancelotti compreso: «Qui ognuno di noi ha delle responsabilità, però essere insultati per un’ora e mezza non fa piacere e la reazione che ha avuto Mourinho è comprensibile. Non è stata volgare, innanzitutto, semmai sarcastica. E ci può stare, perché per novanta minuti ha ascoltato di tutto. Questa, ahinoi, è una questione che rientra nella cultura generale del nostro Paese, perché vicende del genere non accadono solo allo Stadium ma anche a Napoli, a Milano. E forse è il momento di dire basta. La sfida con il Psg, qui al San Paolo, è stata vissuta in una atmosfera bellissima e così dovrebbe essere sempre. Bisogna vivere lo sport in modo semplice e responsabile».
SI GIOCA. Poi il pallone torna al centro del villaggio globale ed è sano gergo che investe una partita da ripulire da quelle insidie occulte che s’annidano nel post-Champions: «Perché è chiaro che energie ne sottrae quella che è la manifestazione più importante del Mondo. E anche la più bella. Noi stiamo facendo bene ma vogliamo fare ancora meglio e stavolta mi aspetto una prova di grande maturità, perché se è vero che contro il Psg le motivazioni vengono da sole, diventa più complicato trovarle con il Genoa. E riuscire a farlo significherebbe essere al 100%».

SI AMBISCE. C’è una sentiero lunghissimo che conduce nell’ignoto e Marassi è una tappa, l’ennesima, di questo tour favolistico nel quale planare: «La Juventus è in fuga, ha avuto un percorso straordinario, ma noi inseguiamo con decisione, per cercare di avvicinarla: e il campionato è ancora lungo. Il Genoa avrà fame, noi dovremo essere bravi a domare una gara complicata: ci servirà fisicità e posso dire che stavolta non ci sarà rivoluzione, cambierò qualcosa ma non cinque-sei come successo di recente. Ed è superfluo chiedermi se sia qui per vincere, se riuscirci, eventualmente, rappresenterebbe l’impresa più ardua della mia carriera». Comprenderete: non vi sente.

Visto da vicino, chissà mai quale effetto farà…: perché certe cose si conoscono, e certo che sì, ed altre sono tutte ancora da scoprire. Il vanto dell’Est è in quelle movenze da «killer» dell’area di rigore, nella capacità – si chiamerà cinismo – di trovare ciò che vuole e quasi al primo colpo: poi, forse, verrà la percezione dei sensi, un attaccante si sa si lascia ingolosire, e comunque ci sono almeno tredici motivi (nove snocciolati in campionato, il resto in coppa Italia) per vivere questa notte in nome di Krysztof re di Genova, quella rossoblù, quella che aperto un fronte di mercato a sorpresa, quando ancora non s’era capito granché.

DOMANDA. Come si dice anche nel calcio, domandare è lecito e rispondere è cortesia: ed è bastata una telefonata, a De Laurentiis e a Preziosi, per calarsi in quella trattativa rimasta lì appesa, già un mese fa, una sorta di perlustrazione a futura memoria, forse una mossa per tentare di strappare almeno una opzione morale. Niente da fare: per ora Piatek, il signore del gol, il capocannoniere di questa serie A nella quale si è catapultato come un pistolero, resta dov’è, almeno sino al prossimo giugno. Poi si vedrà, ovviamente: ma partendo da una valutazione di mercato che farà impallidire, perché dopo che sei tornato dalla miniera ed hai scoperto d’averci scovato un giacimento d’oro, sei tu a fare il prezzo.

RENDIMENTO. E’ chiaro che tutto dipenderà dal rendimento, ch’è stato sovrannaturale in questa fase ascendente della stagione, utile per dimostrare che il Genoa, al di là dei guai attuali, ha fiuto: raccontano a Pegli e nei dintorni che era dai tempi di Milito che non si riempivano gli occhi in quel modo, in quei sedici metri divenuti terra di conquista.

Il Napoli s’è tuffato in anticipo, sono trucchi del calcio, e un mese fa circa, a Solopaca, contravvenendo alle sue abitudini, De Laurentiis l’ha confessato: Piatek ci piace, ne ho parlato con Preziosi e con il suo management. E comunque è presto ancora». O forse non è mai troppo tardi, per constatarne le qualità, la voracità, l’adattabilità ad un club che aspira ad essere grande nel tempo: però anche stasera, standosene seduto in panchina, Giuntoli gli dedicherà un po’ della propria attenzione, sommandola a quella già riservatagli ripetutamente e in gran segreto.

SUPER BOMBER. Piatek ha scelto le maniere forti, entrando con gentilezza (diciamo così) nel calcio italiano e fracassando chiunque gli sia capitato: subito quattro gol al Lecce, in coppa, poi una sequenza terrificante – roba da Guinness dei primati – nove reti nelle prime sette partite di campionato. Il Napoli cerca un super bomber – anche all’interno di se stesso, con il Mertens ritrovato o con il Milik da recuperare, dopo due interventi ai legamenti – e quando il belga pareva fosse caduto in letargo e il «proprio» polacco inseguiva se stesso, s’è interrogato sulla natura di questo ciclope dell’area di rigore, l’ha radiografato, l’ha studiato, l’ha circuito, buttando sul tavolo una prima offerta ch’è rimasta lì, tra l’erba di Marassi (quella rossoblù), un quadrifoglio per chi l’afferra.

Le casacchine hanno un’anima, che però talvolta diventa perfida, ed è abbagliante scorgere il Napoli che si lancia sul Genoa in quella versione assai hot, altrimenti si direbbe inedita, e che danza intorno a una formazione rivoluzionata ma anche rivoluzionaria nella rifinitura di Castel Voltuno: difesa a quattro, e vabbé, centrocampo plausibile (però con il croato Rog al fianco di Hamsik), e ci sta, e poi in avanti fuori Insigne e Milik e dentro Mertens e Ounas. E’ un indizio, ma non basta per avere la prova provata che possa esserci un Napoli così distante da quello che ha pareggiato in Champions League contro il Psg ma anche da quello che ha strapazzato l’Empoli: però con Ancelotti, con la sua sedicesima squadra, conviene non sbilanciarsi con pregiudizi.

E comunque si cambia, ma giusto un po’, con un Napoli che dovrebbe avere, dinnanzi ad Ospina, Malcuit a destra e Hysaj che sta a sinistra tra i soliti Albiol e Koulibaly; e poi in mediana, con gli intoccabili Callejon, Allan e Hamsik, la corsia mancina apparterrà a Zielinski; e in attacco, ops, con Lorenzo Insigne ci può stare sia Mertens che Milik, possibilità quasi eque, anche se quel belga, reduce da una tripletta nell’ultima gara di campionato giocata al San Paolo contro l’Empoli, ha una voglia matta. Il resto è racchiuso in quella tentazione della partitella: sarà stato un esperimento, forse…

Fu quando gli si inarcò il sopracciglio sinistro che s’intuì d’essere in vista d’un momento – nel suo piccolo – storico: «Così non va». E in quel modo non sarebbe più andata. Stadio Marassi di Genova, però all’epoca bardato di blucerchiato, quando il Napoli diventa completamente di Ancelotti ed esce – ma rispettosamente – dal «Sarrismo» totalizzante: di quel giorno, il 2 settembre, è rimasto qualcosa, piccole tracce si direbbe, poi si è entrati in una nuova epoca, personalizzata dalla faccia divorata dall’ira che diviene per i giocatori un poster a futura memoria. Carlo Ancelotti è stato un lanciafiamme, ma forse lui non lo sa: perché quella notte, dopo un 3-0 bruciante sulla pelle e nell’anima, ne disse un paio che mirarono, puntarono, colpirono al cuore e poi ne fece un altro paio, a partita in corso e (soprattutto) quindici giorni dopo, utili al Napoli affinché capissero tutti, le star comprese.

LO STRAPPO. Non è mai facile accettare le proprie debolezze e il 2-0 per la Sampdoria, alla fine del primo tempo, spinse Ancelotti ad intervenire con rigore e immediatezza: fuori Insigne, chi mai l’avrebbe detto? E anche Verdi, tentativi d’esterni di un 4-3-3 o di un albero di Natale finito in cantina ancor prima che lo si addobbasse con le palline. E poi, al fischio di chiusura, quell’espressione severa che possono avere gli allenatori dopo che sono stati sconfitti brutalmente ma anche una severità che mai prima di quell’istante. «Brutto atteggiamento, bisogna cambiare». Lo fece immediatamente, con la Fiorentina, senza aver avuto neanche tanto tempo per allenare quel Napoli sparso con le proprie Nazionali in giro per il mondo: gli bastarono una ventina di minuti, un paio di occhiatacce, una spruzzata di ironia e il 4-4-2.

RIECCOLO. Marassi ha rappresentato lo spartiacque, oppure si potrebbe dire il toccasana, perché poi, l’unico vero accidente di percorso s’è registrato a Torino, contro la Vecchia Signora, quando il Napoli era già un altro, e aspettava soltanto di sapere quanta autorevolezza avesse in sé.

La festa continua: dal San Paolo al Ferraris, da Fuorigrotta a Marassi, da Napoli a Genova, dal calcio al calcio che è pur sempre uno sport anche se qualcuno finge di dimenticarsene. Sarà bello esserci, più d’altre volte, perché questo gemellaggio ha radici solide, si manifesta ogni anno, si rinnova quando le due squadre, Genoa e Napoli, si affrontano ma solo per novanta minuti, mentre sugli spalti resiste quell’abbraccio infinito che vivrà anche dopo il fischio finale.

PIENONE. Come al San Paolo per la sfida al Psg, coi suoi 55.489 spettatori che hanno fissato il primo vero pienone stagionale, anche quest’oggi il Ferraris accoglierà un nuovo record di presenze. Da giorni, virtualmente, c’è stato il sorpasso ai 20.511 presenti col Parma: 25mila biglietti già venduti in attesa di tutti quelli che andranno a ruba nelle prossime ore per una partita attesissima in città.
BIGLIETTI ALLO STADIO. Oltre al Ticket Office del Genoa e al circuito Listicket, a partire dalle ore 15 chiunque potrà acquistare i tagliandi in giacenza direttamente allo stadio, in via Monnet, fronte Tribuna. Non servirà la tessera del tifoso, basterà recarsi al Ferraris e scegliere il settore tra quelli disponibili. Tutti, in pratica, ad eccezione della Gradinata Nord e, soprattutto, del settore ospiti: duemila biglietti esauriti – com’era prevedibile – nel giro di poche ore.

ESODO AZZURRO. Ma i tifosi del Napoli saranno ovunque: dovrebbero esserne 6mila e anche di più, si faranno notare per l’azzurro accesso e, assieme ai genoani, potranno ammazzare l’attesa visitando il Museo della Storia del Genoa, al Porto Antico, aperto eccezionalmente dalle 10 alle 19. Sarà una festa di sport, una scia d’entusiasmo contagioso che era partita dal San Paolo, martedì scorso, con lo spettacolo dei sostenitori del Psg allo stadio a piedi, festanti, intonando cori assieme ai “colleghi” che li hanno calorosamente accolti. Senza barriere, com’è giusto che sia ovunque.

La finestra di Leo Junior sul calcio italiano è sempre aperta. Non si perde una partita l’ex centrocampista brasiliano, in campo nel Mondiale di Spagna ’82 e in Italia con Torino e Pescara. «Mi ha impressionato il Napoli nella ripresa contro il Psg perché Carletto l’ha sistemato bene dopo le sofferenze del primo tempo. Poteva vincere», ha detto ieri sera all’emittente umbra Radio Onda Libera. I brasiliani d’Italia, anche quelli passati di qui, li conosce a fondo: «Allan avrà sempre più spazio in Nazionale se riuscirà a giocare con continuità. E’ uno che difende bene, s’inserisce e ha un buon lancio. Jorginho e Alisson sono diventati più maturi grazie al vostro campionato, come del resto è successo a me anche se arrivai già 30enne. Jorginho si è adattato subito alla Premier seguendo Sarri».
Le quattro italiane lanciate in Champions sono la riscossa dopo l’esclusione dal Mondiale? «Quello purtroppo non si cancella e l’Italia è mancata parecchio anche a noi brasiliani».

VEDRETE PAQUETA’. Che momento attraversa il calcio brasiliano? «E’ una fabbrica di materiale umano, abbiamo dei talenti straordinari come Paquetà che al Milan potrà crescere, Paulinho del Bayer Leverkusen e Vinicius Junior del Real Madrid. Tecnicamente è meno elevato, però c’è più intensità. L’ultimo Mondiale qualcosa ha insegnato e penso alla Croazia. Anche noi abbiamo il Var ma c’è confusione».
La Serie A com’è cambiata invece? «E’ sempre un campionato tattico, anche con gli stranieri. Era così pure ai miei tempi, solo che allora c’erano Antognoni, Conti, Graziani e Cabrini che facevano divertire».
Il giocatore italiano più forte oggi? «Non ve ne sono se penso a gente del livello di Del Piero e Baggio. Magari viene fuori Donnarumma che ha doti e l’età. Aspettiamo di vedere cosa faranno i giovani in Nazionale».

Puntuale come un cronografo spagnolo, la sagoma caracollante di Denis Suarez s’intravede da lontano: l’ora X, quella del mercato, s’avvicina, e questo è il suo momento, ora e sempre, almeno fino a quando sarà ancora un ragazzino, con quel talento inespresso che resta a sedurre maliziosamente, di ritrovarlo al centro delle vocine. A venticinque anni (il prossimo 6 gennaio) si ha il dovere di rimettersi in gioco, di capire anche se stesso, di avere risposte concrete sul proprio futuro e su una carriera ch’è breve e non può consentire ancora di aspettare: al Barcellona, ormai è ufficiale, con Valverde non ha speranze, o ne ha pochissime, e i novanta minuti in Coppa del Re rappresentano una certezza assoluta. Denis Suarez è il genietto del Villarreal che tre anni fa spinse De Laurentiis ha confessare una passione («se mi chiedete chi mi piace, non lo nascondo: è lui»); è uno dei calciatori per i quali Giuntoli avrebbe fatto lucide e razionali follie (gli altri, in quel momento, era Dolberg, Klaassen e André Gomes) ma ormai i sogni sono svaniti e la coscienza induce a discutere di sé: 1.130 minuti nella passata stagione (fate i conti, un dettaglio) e 1.778 due anni fa (ma con Luis Enrique): cambiano gli allenatori, non il suo ruolo di precario di lusso, che inevitabilmente lo spinge a cercare collocazione.

QUI BARCELLONA. Il mercato è ovunque, nasce in questo periodo, almeno quello di gennaio, e costruisce teoremi anche possibili: Denis Suarez non ha mai smesso di rientrare tra i calciatori d’assoluto gradimento del Napoli, perché la sensibilità tecnica non è evaporata, e in Spagna, a Marca, è stato avvicinato al Napoli, rilanciando un tormentone che è appartenuto a chiunque nell’ultimo triennio. Il Napoli ha abbondanza di esterni – aspetta anche Younes, dopo aver recuperato Ounas, e sapendo che sta per rientrare Verdi – e però è giusto e anche naturale lasciare che le microspie informino su situazioni, eventuali disagi e possibilità di affari da inseguire con cautela. Però l’età è ancora dalla sua e quando arriverà il nuovo anno, Denis Suarez sistemerà venticinque candeline sulla propria torta e finirà per interrogarsi: capirà, a quel punto, se la sua esperienza al Barça potrà dirsi compromessa o se varrà la pena crederci ancora. Perché vivere in quel universo ch’è «Més que un Club» regala emozioni ed ha un fascino dal quale è comprensibilmente complicato staccarsi. Però per il momento la Liga e la Champions le ha viste dalla panchina (tre volte), dal divano di casa perché infortunato (in quattro occasioni) o dalla tribuna, immalinconito dalla mancata convocazione (per otto partite). E il cronografo va…



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