A proposito in particolare della disuguaglianza, nell’analisi sull’andamento del Paese rispetto all’obiettivo numero 10 (Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni), nell’analisi si legge che “dal 2009 in poi l’indicatore relativo all’Italia segna un evidente peggioramento. Anche se dal 2014 aumenta il reddito disponibile, contestualmente cresce il rapporto tra il reddito dei più ricchi e quello dei più poveri e la percentuale di persone che vivono in famiglie con un reddito disponibile inferiore al 60% del reddito mediano (peraltro, la tendenza all’aumento delle disuguaglianze si manifesta anche a livello territoriale in termini di dinamica del reddito disponibile)”.
Sette invece le aree di miglioramento secondo l’analisi contenuta nel database dell’ASviS che comprende gli indicatori compositi e oltre 170 indicatori elementari pubblicati dall’Istat nel dicembre 2017. E sono salute, educazione, uguaglianza di genere, innovazione, modelli sostenibili di produzione e di consumo, lotta al cambiamento climatico, cooperazione internazionale. Quattro, infine, i temi per i quali la condizione appare sostanzialmente invariata: alimentazione e agricoltura sostenibile, sistema energetico, condizione dei mari e qualità della governance.
Gli indicatori, spiega l’associazione, sono stati costruiti utilizzando la metodologia AMPI, adottata anche dall’Istat per costruire gli indicatori compositi del Benessere Equo e Sostenibile (BES). “Rispetto a quelli presentati nel Rapporto ASviS pubblicato nel settembre 2017, gli indicatori compositi qui illustrati sono basati su un insieme rivisto e ampliato di indicatori elementari. Di conseguenza, essi presentano revisioni, anche significative, che però non alterano le conclusioni contenute nel Rapporto”, conclude l’Asvis. Secondo la quale “se un indice composito presenta un miglioramento, ciò non significa necessariamente che l’Italia sia su un sentiero che le consentirà di centrare gli Obiettivi nel 2030, ma semplicemente che il Paese si sta muovendo nella direzione giusta “in media”, in quanto non si tiene conto della distribuzione (cioè sugli aspetti legati alle disuguaglianze) del fenomeno”.
Se orientare la gestione del nostro mondo verso la sostenibilità è una sfida epocale e senza precedenti, la nuova Strategia dovrà rappresentare il quadro di riferimento per costruire l’Italia del futuro, in grado di far sì che gli SDGs divengano un impegno cogente, pluriennale e persistente di tutti i soggetti economici e sociali, verificato nel tempo mediante indicatori statistici appropriati, dettagliati e tempestivi. I tempi sono strettissimi: un anno dei 15 fissati per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 è già passato.
Bisogna accelerare il passo e prendere da subito decisioni importanti. Di conseguenza, l’ASviS propone al Governo di: imprimere un’accelerazione ai lavori finalizzati alla definizione della Strategia; comunicare quanto prima al Segretariato delle Nazioni Unite l’intenzione di presentare la Strategia italiana all’High Level Political Forum del 2017; inserire nella prossima Legge di Bilancio interventi in grado di avviare, da subito, cambiamenti positivi per gli aspetti su cui il nostro Paese è più indietro e costituire un “Fondo per lo Sviluppo Sostenibile”, con il quale finanziare azioni specifiche che verranno inserite nella Strategia. Ovviamente, la Strategia deve affrontare due sfide difficili: la definizione di un appropriato quadro giuridico e un efficace modello di governance delle politiche per lo sviluppo sostenibile; la scelta delle politiche più appropriate per conseguirlo. Discorso analogo vale per l’Unione europea, nella quale l’Italia può e deve giocare un ruolo importante, anche in vista della Presidenza del G7 nel corso del 2017.
Se lo sviluppo sostenibile deve divenire il paradigma di riferimento per l’Italia, riteniamo opportuno l’inserimento di tale principio nella Costituzione, operando sugli articoli 2, 3 e 9. Inoltre, ferma restando la responsabilità attribuita dalla legge 221/2015 al Ministro dell’Ambiente di predisporre la Strategia di sviluppo sostenibile (che suggeriamo venga formalmente approvata dal Consiglio dei Ministri), la complessità e le implicazioni pluriennali delle scelte politiche necessarie per raggiungere gli SDGs pongono in capo all’organo politico cui è affidato l’indirizzo e il coordinamento dell’azione di Governo la responsabilità primaria dell’attuazione dell’Agenda 2030. In considerazione del ruolo strategico che gli investimenti pubblici e privati assumono nella costruzione di un futuro sostenibile, e del nuovo modo di declinare il concetto stesso di politica economica, proponiamo di trasformare il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) in “Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile”, presieduto dal Presidente del Consiglio, e di rivederne la composizione alla luce delle responsabilità dei singoli ministeri nell’attuazione dell’Agenda 2030.
D’altra parte, poiché quest’ultima non chiama in causa unicamente le istituzioni politiche, ma richiede il coinvolgimento degli stakeholder nei processi decisionali e li spinge ad assumere direttamente iniziative utili per raggiungere gli SDGs, proponiamo la creazione di un Comitato consultivo sull’Agenda 2030 e le politiche per lo sviluppo sostenibile, cui partecipino esperti nelle varie materie rilevanti per gli SDGs e rappresentanti delle parti sociali e della società civile. Inoltre, il Governo dovrebbe predisporre annualmente un “Rapporto sullo sviluppo sostenibile in Italia” che valuti il percorso del nostro Paese verso gli SDGs. Raccomandiamo anche di condurre un’analisi dettagliata dell’attuale distribuzione delle responsabilità attribuite ai comitati interministeriali esistenti rispetto alle materie dell’Agenda 2030. Analoga analisi riferita ai diversi livelli di governo dovrebbe essere svolta dalla Conferenza Unificata, per poi definire le azioni più opportune al fine di assicurare l’allineamento tra politiche nazionali e territoriali. Suggeriamo che il Parlamento, al quale spetta un ruolo centrale nel processo che deve condurre l’Italia sul sentiero della sostenibilità, dedichi attenzione all’Agenda 2030 in modo sistematico, tenendo conto anche della funzione di valutazione delle politiche pubbliche attribuite al Senato dalla legge costituzionale che sarà sottoposta a referendum popolare in autunno. Riteniamo indispensabile il disegno e la realizzazione di una campagna informativa estesa e persistente nel tempo sui temi dello sviluppo sostenibile, che diffonda in modo capillare e in forma facilmente comprensibile i contenuti del Rapporto annuale di cui sopra.
Fondamentale è anche l’avvio di un programma nazionale di educazione allo sviluppo sostenibile, finalizzato a formare le nuove generazioni. Infine, poiché a un anno dalla firma dell’Agenda 2030 il Paese non dispone ancora di una base dati “ufficiale” con gli indicatori esistenti per l’Italia tra gli oltre 230 selezionati dalle Nazioni Unite rilevanti per l’Italia, reiteriamo la richiesta all’Istituto nazionale di statistica di realizzare quanto prima tale strumento, con dati riferiti non solo alle medie nazionali, con disaggregazioni territoriali (in particolare per le città), per gruppi socio-economici rilevanti e per genere. Invitiamo il Governo ad assicurare che il Sistema statistico nazionale disponga delle risorse umane e strumentali per elaborare tutti gli indicatori definiti dalle Nazioni Unite, assicurarne la tempestività e il dettaglio, così da massimizzarne l’utilità per tutte le componenti della società. Sul piano delle politiche, il Rapporto avanza numerose proposte utili per il disegno della Strategia in una logica “sistemica”, articolate intorno a sette temi: cambiamento climatico e energia; povertà e disuguaglianze; economia circolare, innovazione e lavoro; capitale umano, salute ed educazione; capitale naturale e qualità dell’ambiente; città, infrastrutture e capitale sociale; cooperazione internazionale. Molte raccomandazioni riguardano la ratifica urgente di importanti convenzioni ed accordi internazionali, come l’Accordo di Parigi sulla lotta ai cambiamenti climatici, e soprattutto l’attuazione di normative già esistenti, il che renderebbe possibile il conseguimento di numerosi SDGs.
Nuove strategie a medio termine andrebbero elaborate in specifici settori o su aspetti di natura trasversale: ad esempio, si propone l’elaborazione di una Strategia per le aree urbane, in analogia a quanto già fatto per le aree interne, sostenuta da investimenti pluriennali orientati alla mitigazione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico, dal dissesto idrogeologico e dai rischi naturali, come quello sismico. Una tale impostazione, unita a politiche orientate allo sviluppo della cosiddetta “economia circolare”, estesa anche agli aspetti sociali, riuscirebbe non solo a ridurre l’impatto delle attività umane sull’ambiente, e quindi a migliorare le condizioni di vita delle persone, ma anche ad offrire nuove opportunità di sviluppo economico e occupazionali. Il tema delle disuguaglianze economiche, sociali, di genere, generazionali e territoriali va posto al centro di tutte le politiche, pena l’insostenibilità dello sviluppo e degli assetti istituzionali: su questo tema si avanzano alcune proposte specifiche, da leggere insieme a quelle riguardanti l’educazione e lo sviluppo della cultura, elementi fondamentali per sostenere e potenziare il capitale sociale. Infine, ma non per questo meno importante, in tema di cooperazione internazionale si sottolinea la necessità di dare piena attuazione alle azioni avviate negli ultimi anni, utilizzando il quadro concettuale dello sviluppo sostenibile come orientamento degli interventi da realizzare nei paesi terzi. Questo Rapporto costituisce una opportunità di riflessione che l’ASviS propone a tutto il Paese, per il cui sviluppo sostenibile continuerà a lavorare, con spirito di servizio e piena disponibilità al confronto su tutti i temi da cui dipende il futuro, non solo in Italia, della generazione presente e di quelle future.
L’adozione dell’Agenda 2030 rappresenta un evento storico da più punti di vista. Infatti, è stato espresso un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale. In questo modo viene superata l’idea che la sostenibilità sia unicamente una questione ambientale e si afferma una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo. Ogni Goal si riferisce a una dimensione del sistema umano-planetario che evolve nello spazio e nel tempo, e tutti insieme puntano a realizzare quell’equilibrio globale rappresentato dalla sostenibilità dell’intero sistema. Inoltre, tutti i paesi sono chiamati a contribuire allo sforzo di portare il mondo su un sentiero di sostenibilità, senza più distinzione tra paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo, anche se evidentemente le problematiche che ciascun obiettivo pone possono essere diverse a seconda del livello di sviluppo già conseguito. Ciò vuol dire che ogni paese deve impegnarsi a definire una propria strategia di sviluppo sostenibile che gli consenta di raggiungere gli SDGs entro il termine stabilito, rendicontando regolarmente sui risultati conseguiti nell’ambito di un processo coordinato dall’ONU. L’universalità degli SDGs rappresenta il loro punto di forza. Essi colgono, infatti, problemi comuni a tutti i paesi e ne mettono in evidenza l’interdipendenza poiché, in un mondo globalizzato, le azioni di un paese si ripercuotono sugli altri, che si tratti di corruzione, di emissioni clima-alteranti, di cattiva amministrazione, di traffici illegali o di consumi energetici eccessivi. Inoltre, gli SDGs richiamano anche al rispetto delle norme internazionali sui diritti umani, il lavoro e l’ambiente. L’Agenda 2030 richiama in modo esplicito le responsabilità di tutti i settori della società, dai governi (centrali e locali) alle imprese, dalla società civile ai singoli cittadini.
In particolare, i settori produttivi, le imprese, i gestori di servizi, le banche e gli altri intermediari finanziari sono chiamati ad inserire gli SDGs nei propri programmi e nei propri bilanci, puntando a ridurre l’impatto delle rispettive attività sull’ecosistema, ottimizzando l’uso delle risorse (umane e materiali) e riducendo drasticamente gli sprechi, favorendo la creazione di nuova occupazione e la ridistribuzione della ricchezza prodotta come contributo alla lotta per l’eliminazione della povertà. L’Agenda 2030 e gli SDGs costituiscono un tutt’uno e nessun obiettivo deve essere conseguito a spese di un altro, il che rende essenziale un approccio coordinato nella loro attuazione. Di conseguenza, è indispensabile che le politiche e le misure adottate per il loro conseguimento siano basate su un approccio integrato e multilivello, che coinvolga tutte le responsabilità di governo e le componenti sociali attraverso processi decisionali e attuativi aperti e partecipati. Gli obblighi previsti dal monitoraggio dell’Agenda 2030 L’attuazione dell’Agenda 2030, ivi compresa l’analisi della distanza dagli SDGs e dai sotto-obiettivi, viene monitorata dall’High Level Political Forum (HLPF) delle Nazioni Unite, il quale si riunisce annualmente sotto l’egida del Comitato Economico e Sociale (ECOSOC), mentre ogni quattro anni la riunione si svolge sotto l’egida dell’Assemblea Generale. Le riunioni annuali si tengono a livello di ministri, mentre quelle quadriennali a livello di Capi di Stato e di Governo. Il compito dell’HLPF è quello di valutare i progressi, i risultati e le sfide importanti per tutti i paesi, nonché di assicurare che l’Agenda resti “rilevante ed ambiziosa”. Per fare ciò verranno utilizzati diversi strumenti, quali il “Rapporto Globale sullo Sviluppo Sostenibile”, che valuterà i progressi verso gli SDGs e le pratiche nazionali, da condurre su base volontaria. I circa 240 indicatori statistici relativi ai Goal e ai Target, approvati dalla Commissione Statistica dell’ONU l’11 marzo di quest’anno, giocheranno un ruolo cruciale nelle valutazioni annuali e soprattutto in quella quadriennale. Analisi dei problemi, delle sfide e dei progressi verranno svolte anche a livello regionale, attraverso le Commissioni economiche regionali dell’ONU o altri organismi rilevanti. Il processo di monitoraggio prevede un forte ruolo degli stakeholder e della società civile, chiamati ad analizzare e valutare le politiche e i progressi verso gli SDGs. In questa prospettiva, l’HLPF valorizza le più interessanti esperienze nazionali di coinvolgimento della società civile, soprattutto al fine di disegnare e attuare in modo integrato le politiche settoriali. Tale partecipazione dovrebbe realizzarsi anche nell’ambito di altri organismi dell’ONU di carattere intergovernativo. D’altra parte, le organizzazioni della società civile sono invitate ad annunciare in modo esplicito i propri impegni nei confronti dell’attuazione dell’Agenda e il conseguimento degli SDGs, indicando obiettivi concreti e misurabili.
Lo sviluppo sostenibile: uno schema concettuale che cambia l’approccio alle politiche L’adozione degli SDGs come quadro di riferimento globale per la conduzione delle politiche nel corso dei prossimi 15 anni (e oltre) sta stimolando un’intensa riflessione, sia di carattere concettuale sia applicato, su come adottare un approccio integrato alle politiche economiche, sociali e ambientali, in grado di considerare simultaneamente gli effetti di un intervento particolare rispetto ai diversi obiettivi. Ad esempio, è evidente che una politica economica orientata ad espandere i consumi potrebbe avere effetti negativi sul piano ambientale, a meno che non sia sostenuta da una riconversione del sistema energetico, così da minimizzare l’impatto sulle emissioni di gas serra. D’altra parte, in un sistema in cui “tutto dipende da tutto”, e in mancanza di valutazioni adeguate dei vantaggi e svantaggi di una certa politica rispetto ai diversi obiettivi, l’uso degli SDGs potrebbe, di fatto, bloccare ogni decisione. Organizzazioni internazionali e centri di ricerca si stanno impegnando per sviluppare quadri concettuali che aiutino a comprendere le relazioni tra i vari obiettivi e, quindi, a consentire alle autorità politiche di prendere decisioni in grado di amplificare gli effetti positivi delle singole politiche sul massimo numero possibile di obiettivi, riducendo al minimo quelli negativi. Ad esempio, l’Agenzia per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) ha proposto una “ontologia” dei diversi concetti contenuti negli obiettivi e nei sotto-obiettivi, così da connettere gli uni agli altri, consentendo di comprendere i nessi causali e le relazioni tra di essi.
Un gruppo di studiosi ha proposto una scala degli obiettivi e dei sotto-obiettivi articolata in sette categorie: ad un estremo della scala si collocano gli obiettivi “incompatibili” tra di essi (protezione delle riserve naturali e pieno accesso alle aree naturali per scopi di divertimento), mentre all’altro si trovano quelli “indivisibili” (eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne ed una partecipazione piena delle donne alle posizioni di leadership), passando per gli obiettivi “indipendenti” tra di loro. L’OCSE ha trovato che 8 dei 17 obiettivi sono abbastanza coerenti con 9 delle 11 dimensioni del benessere su cui è costruito il Better Life Index, tre sono riconducibili alle diverse tipologie di disuguaglianze, 11 obiettivi hanno a che fare con le quattro forme di capitale (economico, umano, sociale e ambientale) da cui dipende la sostenibilità del benessere, due elementi dello schema OCSE (benessere soggettivo e relazioni sociali) non trovano immediato riscontro negli SDGs e uno (il Goal 17) non ha un legame diretto con il benessere, in quanto si tratta di un approccio “trasversale” alle politiche settoriali (mezzi di attuazione dell’Agenda). Questo esercizio assume una certa rilevanza in quanto consente di collegare le analisi e le raccomandazioni che l’OCSE elabora sui diversi ambiti politici con lo schema degli SDGs, il che può aiutare i paesi membri dell’Organizzazione ad inserire le politiche settoriali nel quadro concettuale dello sviluppo sostenibile.
Questi esempi confermano che l’adesione all’Agenda 2030 richiede un cambiamento significativo, ma non impossibile, nel disegno delle politiche economiche, sociali ed ambientali, basato su due fondamentali pilastri: l’integrazione tra le diverse dimensioni dello sviluppo, con il superamento definitivo dell’idea che esista una gerarchia, anche temporale, tra economia, società e ambiente, e la considerazione paritetica degli effetti di breve e di lungo periodo delle politiche. Aver scelto di fissare degli obiettivi a 15 anni relativi a quasi tutti gli ambiti del benessere umano e del pianeta, fortemente connessi gli uni agli altri, impone un approccio diverso al disegno delle politiche, nonché una regia centrale di queste ultime (non a caso viene raccomandato dalle organizzazioni internazionali che la regia dell’attuazione delle strategie nazionali di sviluppo sostenibile sia svolta dall’ufficio del primo ministro). D’altra parte, va riconosciuto che la prospettiva di lungo termine dell’Agenda 2030 non si sposa facilmente con i meccanismi che presiedono alle scelte politiche. La necessità di ottenere risultati nel breve termine, allo scopo di accrescere il consenso politico ed essere confermati al potere, è una realtà dalla quale non si può prescindere. Va poi riconosciuto che conseguire gli SDGs può richiedere decisioni che impongono dei costi nel breve termine, a favore di benefici di medio-lungo termine. La disponibilità di indicatori statistici tempestivi sui diversi sotto-obiettivi e di strumenti analitici (modelli) capaci di valutare in modo integrato le politiche economiche, sociali ed ambientali, e quindi dimostrare i vantaggi attesi da scelte orientate allo sviluppo sostenibile, può aiutare a sostenere politiche orientate al medio-lungo termine.
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